Introduzione a:
Sigmund Freud, « Inibizione, sintomo e angoscia »,
Enaudi, Torino, 1951

Inibizione, sintomo e angoscia è un lavoro tanto piccolo di mole quanto denso di contenuto. Qualcuno l’ha giudicato uno dei più «compatti» e difficili scritti di Freud; e l’autore di questa traduzione ammette di averlo riletto cinque volte, e ogni volta con profitto.
L’opera fu pubblicata da Freud nel 1926. Essa consta di dieci capitoli di testo, più uno di Aggiunte. La materia non vi è distribuita secondo uno schema molto rigido. Si ha, piuttosto, l’impressione che Freud abbia – come più volte gli è accaduto – « ragionato con se stesso », e abbia accompagnato il lettore nelle varie vicende del suo excursus intellettuale, anziché limitarsi a presentargliene i risultati finali. Ciò rende la lettura più attraente, ma non certo pia facile!
I problemi che Freud si è posti accingendosi a questo lavoro riguardano principalmente le caratteristiche limitatrici, negative e penose delle formazioni psiconevrotiche e le relative questioni genetiche e strutturali.
Perciò egli comincia con l’esaminare il fenomeno dell’inibizione, che consiste nella particolare limitazione di una funzione per effetto di un « atto difensivo » dell’Io, di fronte alle esigenze sia dell’Es, sia del Super-Io. Freud non manca di ricordare l’importanza dell’inconscia erotizzazione di questa o quella funzione (mangiare, camminare, scrivere, ecc.) per lo stabilirsi delle anzidette inibizioni, le quali, nelle nevrosi, vanno regolarmente oltre i desideri e le intenzioni coscienti del soggetto, e si distinguono perciò in modo chiaro dai «freni » che l’individuo normale può deliberatamente imporsi. Il sintomo appare, in confronto alla inibizione, come qualche cosa di molto più vasto, vario e complesso – ancorché certi fenomeni possano essere considerati, da un punto di vista descrittivo, tanto sintomi quanto inibizioni. L’inibizione (inconscia) è, come si è detto, una « difesa » automatica dell’Io. Il suo risultato è la rimozione dell’istinto e delle rappresentazioni temute, e ne risulta una limitazione delle funzioni dell’Io. Ciò che succede poi non appartiene più alla fenomenologia dell’inibizione, bensì a quella del sintomo – anche nei casi in cui questo non si manifesti in altro modo. I sintomi nevrotici non sono confinati fenomenologicamente alle funzioni dell’Io. Essi presentano, nel loro assieme, un quadro straordinariamente vasto, tale da rendere evidente che alla loro formazione concorrono méccanismi psichici distinti e diversi dalla semplice inibizione.
Della formazione dei sintomi in generale si occupa appunto Freud a partire dal secondo capitolo di questo libro. Egli però considera, in un primo tempo, i sintomi che risultano dal solo processo della rimozione, e si pone al riguardo vari quesiti: tra essi, se e come defluisca la carica psichica inerente alla tendenza rimossa, e di quali forze disponga l’Io per agire cosi decisamente nei confronti dell’Es. Le risposte che Freud dà a tali domande sono, rispettivamente, le seguenti: che il deflusso della carica viene esso stesso inibito o deviato; e che l’lo collega la carica preconscia della rappresentazione istintuale da rimuovere con situazioni penose precedenti, individuali e preter-individuali, venendo così a disporre di notevolissime energie di controcarica. Nella rimozione, cioè, la carica psichica viene ritirata dalla rappresentazione preconscia dell’impulso istintuale, e l’energia disponibile è impiegata nella produzione di angoscia. Tale angoscia tuttavia non è primaria, ma riattiva angosce precedenti relative a situazioni traumatiche di base.
Le considerazioni successive, e quelle del terzo capitolo, riguardano altri problemi della formazione del sintomo: la sua posizione rispetto al moto istintuale primitivo e all’espressione motoria; il suo aspetto di « corpo estraneo »; i tentativi, da parte dell’Io, di assuefarvisi e di « legarlo » – e da qui, certe specifiche resistenze sintomatologiche, ed i vari « tornaconti secondari » della nevrosi; ecc.
Nei capitoli dal quarto al sesto, Freud cerca nuovo materiale d’indagine circa la formazione dei sintomi e il problema dell’angoscia (sin qui soltanto delineato) in singoli casi clinici appartenenti a diversi gruppi di psiconevrosi. Il primo caso considerato è quello celebre di una zoofobia isterica infantile ( il piccolo Hans »), da lui stesso pubblicato nel 1909. Dal riesame di questo, e di altri due casi di nevrosi infantile anch’essi precedentemente esposti, Freud giunge a conclusioni nuove e importanti circa la formazione del sintomo. Anzitutto, quei casi mostrano, e sia pure in grado diverso, che a tale formazione avevano concorso altri fattori oltre la rimozione – e cioè, precisamente, lo spostamento, la proiezione e la regressione. In secondo luogo, che il meccanismo di difesa principale – la rimozione – non è, come egli aveva supposto precedentemente, la causa di una trasformazione in angoscia della carica istintuale inibita, bensì, esso stesso, la conseguenza di una situazione angosciosa. Nei casi considerati, l’angoscia è stata provocata dalla paura di evirazione; ma in ogni caso – conclude Freud – « l’atteggiamento angoscioso dell’Io è il fattore primario, é costituisce l’impulso alla rimozione ».
Questo radicale mutamento delle idee che Freud aveva enunciate già molti anni prima, studiando le cosiddette « nevrosi attuali » (la sua prima formulazione al riguardo risale al 1895), solleva naturalmente nuovi problemi: primo fra i quali, quello se la sorgente dell’angoscia sia veramente ed esclusivamente un pericolo temuto (vero o immaginario, passato o presente); oppure se, in certi casi, e limitatamente, sia ancora accettabile la tesi primitiva, dell’angoscia da trasformazione di libido. Freud, insoddisfatto, si rivolge a nuovi settori della clinica psicoanalitica, soprattutto allo scopo di studiare la formazione del sintomo nelle nevrosi non fobiche, e il prodursi dell’angoscia. L’« opacità » – come egli la chiama – dell’isterismo di conversione gli consiglia di abbandonare questo particolare campo, e di rivolgersi a quello delle nevrosi ossessive. In tali nevrosi egli mette in luce, accanto ed oltre alla rimozione, i meccanismi difensivi della regressione, delle formazioni reattive, dell’annullamento, dell’isolamento; e inoltre vi considera la parte preponderante del Super-Io, il disimpasto degli istinti, l’importanza degli impulsi aggressivi e distruttivi. Sempre più chiaro gli appare che la rimozione non è che uno dei vari meccanismi inconsci di difesa dell’Io, e sempre pia probabile il fatto che singoli meccanismi di difesa siano tipici delle singole nevrosi, e relativi a singole fasi di sviluppo istintuale. Tuttavia si riaffaccia a questo punto il problema dell’angoscia: nei casi in cui non può esserne resa responsabile la paura di evirazione, in quelli di tante donne sofferenti di angoscia nevrotica, che cosa produce la situazione angosciosa? Tutta la questione necessita un riesame, e Freud lo effettua nei successivi quattro capitoli del suo lavoro.
Lo spunto iniziale per l’anzidetto riesame gli è offerto, una volta ancora, dalle zoo fobie infantili. Freud aggiorna, in primo luogo, le nostre conoscenze sulla rimozione alla luce delle nuove vedute sul dualismo degli istinti: mentre prima aveva parlato quasi esclusivamente di rimozione degli impulsi libidici, appare chiaro che il processo, nella particolare nevrosi considerata, si riferisce tanto alle componenti libidiche quanto a quelle aggressive del complesso edipico. In tali fobie, come si è visto, l’angoscia che provoca la rimozione è dovuta alla paura di evirazione. Questa paura si ritrova, sebbene più indirettamente, in altre forme fobiche; ed anche nelle nevrosi ossessive il timore dell’Io di fronte al Super-Io può ricondursi a quello originario nei riguardi del padre ritenuto capace di evirare. In tutti questi casi, comunque, l’angoscia è una reazione dell’Io di fronte a una situazione di pericolo – per evitare la quale, in sostanza, viene formato il sintomo: e ciò, a parte qualsiasi considerazione sul carattere inconscio, irrazionale ed arcaico di tali reazioni, sensazioni e formazioni. Tuttavia, come già si è detto, la paura di evirazione non può essere invocata in tutti i casi. Qual è, ad esempio, la « situazione di pericolo » che provoca angoscia nella nevrosi traumatica? Freud manifesta qui, per la prima volta, l’opinione che la paura di evirazione possa essere un momento, sebbene saliente e caratteristico, di una serie di eventi, il cui comune denominatore è il « distacco »: eventi che tutti, poco o tanto, hanno carattere traumatico e contrario alla libera affermazione degli istinti di conservazione e dell’Eros. Distacco degli escrementi dal corpo del bambino ai primi controlli delle funzioni sfinteriche, distacco del bambino dal seno materno al divezzamento, distacco (temuto) del bambino dalla madre nutrice e protettrice, distacco primo e fondamentale, infine, dell’essere umano dalla madre alla nascita. Ecco dunque – sembra dirsi Freud – dove possiamo trovare il prototipo della situazione angosciosa: nell’esperienza, invero formidabile, del passaggio dallo stato di simbiosi intra-uterina a quello di vita singolare ed autonoma. «Siamo tentati di supporre che vista un momento storico che lega strettamente insieme le sensazioni e le innervazioni dell’angoscia. In altre parole, che lo stato d’angoscia sia la riproduzione di un evento che contiene le condizioni di un simile aumento di stimoli, e della scarica lungo vie determinate, e che attraverso ciò, dunque, la pena dell’angoscia riceva il suo carattere specifico. Il modello originario di un simile evento appare, nella specie umana, la nascita… ».
Di un nuovo esame delle varie condizioni – fisiologiche e psicologiche – degli stati angosciosi. Freud addiviene a ulteriori conclusioni arca il problema generale dell’angoscia, ed il suo rapporto con la condizione prototipica della nascita. A suo parere, esistono due possibilità dei manifestarsi dell’angoscia: una indeterminata, e genericamente « riproduttiva· » rispetto all’altra, la quale è invece originariamente determinata, e relativa alle primissime esperienze infantili. Queste esperienze, secondo Freud, ed anche quelle successive, non possono però ricondursi tutte e senz’altra determinazione ai trauma della nascita, come vorrebbe Rank. Alla tesi di Rank, Freud muove, anzi, tutta una serie di valide obiezioni. In ogni età troviamo particolari motivi per l’induzione dell’angoscia, ed essi costituiscono sempre un qualche cosa di nuovo, anche se la situazione così indotta si ricollega, per inconscia associazione, alla proto-angoscia che accompagna la nascita. Freud accentua qui i vari aspetti omologhi del motivo « separazione »: dalla madre, dal seno, ecc. Tale motivo (la separazione) si estende, beninteso, sino a comprendere il timore di « perdita di affetto » (distacco morale), che, pia particolarmente nella femmina, corrisponderebbe alla perdita oggettuale temuta dal maschio.
Nel nono capitolo, Freud chiarisce ancora meglio il rapporto tra la formazione dei sintomi e lo sviluppo dell’angoscia. A seconda del grado di evoluzione istintuale raggiunto, l’Io, attraverso gli uni o gli altri meccanismi difensivi, sviluppa i sintomi per sottrarsi all’angoscia (perciò ogni tentativo dall’esterno di abolire i sintomi si risolve in produzione di angoscia, e perciò, nei casi meno favorevoli, il fronte difensivo sintomatico tende ad ampliarsi). Vien fatto naturalmente di chiedersi perché certe nevrosi infantili guariscano da sé, in fasi successive dello sviluppo, e che cosa impedisca tale soluzione « autonoma »· nelle nevrosi degli adulti – problema, quest’ultimo, probabilmente insolubile, e certo sinora non risolto.
Chi diventa nevrotico? e perché? – si chiede ancora Freud. Qual’è il momento discriminativo che contraddistingue gli individui i quali riescono a sottomettere l’angoscia alla normale attività psichica, in confronto a quelli che non vi riescono? Freud cita in proposito, criticandole, le tesi di Adler e, nuovamente, quelle di Rank. Non può peraltro offrire, in loro vece, una teoria del tutto soddisfacente, i fattori quantitativi, la coazione a ripetere, sembrano costituire gli eventuali presupposti biologici e filogenetici delle nevrosi, e su essi si innestano le determinanti psicologiche, a loro volta inerenti alla imperfezione del nostro apparato psichico. «L’lo viene costretto ad armarsi contro determinati moti istintuali dell’Es, a trattarli come pericoli. L’Io non può però proteggersi contro pericoli istintuali interni in un modo così efficace come contro una porzione di realtà a lui estranea. Intimamente legato esso stesso all’Es, l’Io può soltanto respingere il pericolo istintuale restringendo la sua stessa organizzazione e lasciando via libera alla formazione sintomatica quale sostituto per il pregiudizio da esso recato all’istinto. Se poi si rinnova la spinta dell’istinto ricusato, si verificano per l’Io tutte le difficoltà che noi conosciamo come sofferenze nevrotiche ». Più oltre, come Freud stesso ammette, sembra che la nostra comprensione dell’essenza e della genesi della nevrosi non possa andare.
Cosi terminano i dieci capitoli dell’opera che qui presentiamo. Le « Aggiunte· »· del capitolo undecimo non modificano sensibilmente le vedute esposte in quelli precedenti. Esse precisano tuttavia qualche punto. In particolare, forniscono un ulteriore chiarimento circa quell’angoscia che potremmo chiamare fondamentale (modellata sulla situazione della nascita) e quella di «allarme», che Freud acutamente paragona a una (auto-) «inoculazione», compiuta allo scopo di· sottrarsi mediante una manifestazione morbosa indebolita, a un attacco non attenuato». Il concetto di « meccanismo di difesa » dell’Io viene meglio chiarito, e Freud richiama, in proposito, un suo scritto del 1894, Le neuropsicosi di difesa, riprendendone il tema e l’idea direttrice, e menzionando nuovamente i meccanismi difensivi diversi dalla rimozione. Dopo avere introdotto altre distinzioni fenomenologiche in merito all’angoscia, Freud mette da ultimo a raffronto i tre affetti dell’angoscia, del dolore e del lutto, e ne addita alcuni fattori comuni, distinguendo infine gli affetti stessi in base a criteri metapsicologici, relativi alla posizione e al trattamento rispettivi dell’oggetto implicato nella situazione angosciosa, dolorosa o luttuosa.
Tale il contenuto di Inibizione, sintomo e angoscia. Esso si è prestato e si presta a molte considerazioni. Qui ci sembra soprattutto opportuno menzionare i punti dell’esposizione freudiana sui quali si è più rivolto, successivamente, l’interesse degli studiosi. Tali punti sono, a nostro avviso, principalmente: i meccanismi di difesa dell’Io; la funzione degli istinti aggressivi nella genesi delle nevrosi e nella formazione dei sintomi; il problema generale dell’angoscia.
La teoria dei « meccanismi di difesa »· tracciata da Freud in modo rapido nel cap. V e nell’Aggiunta A (3) di questo libro (1) è stata ripresa e svolto in modo sistematico da Anna Freud nell’opera, ormai classica, L’Io e i meccanismi di difesa, pubblicata per la prima volta nel 1936, e che fra breve vedrà la luce anche in edizione italiana. In tale opera Anna Freud ha distinto – in modo assai netto e convincente – ben dieci meccanismi mediante i quali la parte inconscia dell’Io tenta di fronteggiare le esigenze istintive dell’Es, di ottemperare ai comandi del Super-Io, di stornare o attenuare la realtà, e di uscirne col minor danno possibile (cosa che nella nevrosi, naturalmente, non accade). I meccanismi studiati da Anna Freud sono: la rimozione, la regressione, la formazione reattiva, l’isolamento, l’annullamento retroattivo, la proiezione, l’introiezione, il rivolgimento contro se stessi, la traformazione nel contrario e lo spostamento (con o senza sublimazione). Tutta l’esposizione è corredata di esempi e di casi clinici assai istruttivi, i quali mostrano, fra l’altro, come vari degli anzidetti meccanismi difensivi possano fondersi, e dar luogo a complessi psichici e modi di comportamento particolari.
Nelle pagine di Inibizione, sintomo e angoscia, Freud sembra aver solo parzialmente valutato le variazioni ed i progressi che le sue stesse più recenti vedute sul dualismo degli istinti (Di là dal principio del piacere, 1916; L’Io e l’Es, 1923) dovevano recare alla teoria psicoanalitica delle nevrosi. Non manca, nel capitolo VII, una presa in considerazione degli istinti aggressivi quali oggetto di rimozione; ed è evidente, anche se non troppo chiaramente indicata, la parte che Freud riconosce agli impulsi aggressivi allorché accenna all’ambivalenza e al disimpasto degli istinti nella nevrosi ossessiva, o alle caratteristiche « severe » e punitive del Super-Io nevrotico. Tuttavia, come è noto, Freud non giunse a riconoscere come pienamente autonomi gli istinti aggressivi se non nell’opera Il disagio nella civiltà, uscita nel 1930, ossia quattro anni dopo Inibizione, sintomo e angoscia. Da allora il problema dell’aggressività nella neurosogenesi si impose sempre maggiormente agli psicoanalisti e occupò Congressi internazionali e nazionali (2).
La più attenta valutazione degli istinti aggressivi e distruttivi umani, effettuata dalla psicoanalisi negli ultimi quindici o vent’anni, ha portato a importanti revisioni teoretiche in ogni settore della dottrina, e non ha mancato di esercitare la sua influenza nelle numerosissime discussioni e disamine che si sono avute in merito al problema veramente « centrale » dell’angoscia. Qui non è possibile, evidentemente, far altro che un rapido riassunto delle tesi e dei punti di vista principali, relativi a tali contributi. Giova ricordare, anzitutto, che Freud, nel capitolo IV (Lezione XXXII) delle Nuove lezioni introduttive alla psicoanalisi (1933), dopo avere ribadito le modifiche già arrecate alla teoria dell’angoscia, ammette esplicitamente che questa possa avere « una duplice origine: una volta come conseguenza diretta del fattore traumatico, l’altra come segnale d’avviso, che minaccia la ripetizione di un tale fattore ».
Le varie tesi e controversie più recenti sull’angoscia si riferiscono, soprattutto, alla definizione e alla valutazione del «fattore traumatico» (per adoperare il termine freudiano) che provoca l’angoscia primaria. La maggior parte degli psicoanalisti si è pronunciata al riguardo in un modo alquanto diverso da Freud, nel senso cioè di far cadere l’accento assai più su eventi interni che non su eventi esterni risentiti o temuti (nascita, divezzamento, evirazione), come Freud indicava. Melanie Klein sottolinea, ad esempio, il rapporto fra angoscia della primissima infanzia e impulsi primari distruttivi diretti contro l’Io – impulsi da lei considerati, in piena adesione alle vedute freudiane sui protoistinti, quali manifestazioni di un istinto della morte. La stessa Anna Freud ritiene che « se le esigenze degli impulsi istintivi diventano eccessive, la muta ostilità dell’lo nei riguardi dell’istinto si intensifica sino all’angoscia » (non precisa però a quali istinti alluda). Jones ritiene che le componenti aggressive dell’istinto possano essere «sentite dai bambino come in se medesime dannose e pericolose », e che la reazione a esse possa essere l’angoscia nella sua forma più primitiva, « pre-ideazionale ». Secondo Weiss, l’accesso d’angoscia è dovuto a un « trauma endogeno », metapsicologicamente descrivibile come l’irruzione di una carica di energia distruttiva nell’Io. Come si vede, siamo qui piuttosto lontani da ciò che Freud scriveva in Inibizione, sintomo e angoscia (Cap. VII), che cioè l’ «esigenza istintuale non è in se stessa un pericolo, ma lo diventa solo perché porta con sé un vero pericolo esterno, quello dell’evirazione ».
L’accennato « spostamento d’accento » circa le sorgenti dell’angoscia è, ormai, esplicitamente o tacitamente, accettato dalla maggior parte degli psicoanalisti. Si ammette oggi generalmente che non sia necessario, per una descrizione metapsicologica dell’angoscia, risalire a una situazione di pericolo esterno, la quale – teoricamente almeno – potrebbe anche mancare. Nella stessa concezione freudiana, del resto, all’ « angoscia reale » si contrappongono, già molto per tempo nella vita individuale, un’«angoscia di fronte all’Es » e un’ «· angoscia di fronte al Super-Io»; e di queste due forme di angoscia « interna », o «internalizzata », è ben arduo, se non impossibile, dire come precisamente esse si possano distinguere, o sino a quale punto esse siano « normali », e da quale punto in poi possano definirsi «nevrotiche». Come osserva Anna Freud, l’ « effetto dell’angoscia sperimentata dall’Io a causa della forza degli istinti è il medesimo di quello prodotto dall’angoscia di fronte al Super-Io ». Ciò porta, naturalmente, alla questione dell’angoscia in rapporto alle prime relazioni oggettuali e alle prime internalizzazioni di oggetti. Chi scrive ha già avuto occasione di manifestare, in un altro suo lavoro (3), l’opinione che « ogni sorta di pericoli relativi agli oggetti interni può essere causa di angoscia »; che l’angoscia può « essere destata da tensioni istintuali, e in particolar modo dalla minaccia proveniente dall’istinto distruttivo proiettato e nuovamente introiettato »; e che « appare sempre più evidente il precoce rendersi indipendente dell’angoscia infantile da cause esterne ». Non sembra che si possa sfuggire a tali conclusioni, qualora si ammetta – come ormai ammettono anche taluni analisti non appartenenti alla « scuola inglese » di psicoanalisi – che esistano «precursori interni » del Super-Io già in un’epoca assai primitiva dell’esistenza.
Sebbene, come sì è visto, alquanto oscillante, non priva di punti oscuri e ricca di quesiti non risolti, l’esposizione freudiana dell’angoscia è tuttavia estremamente stimolante e tale da indurre a sempre nuove e utili riflessioni. Forse il luogo d’incontro che potrebbe conciliare le varie e diverse vedute qui ricordate, va cercato nel fondamentale e precoce stabilirsi di una « dialettica » interiore in seno all’apparato psichico umano. I vari aspetti fenomenologici di questa dialettica si possono ravvisare sia in taluni momenti salienti della progressiva individualizzazione rispetto al mondo esterno, – nascita, divezzamento -; sia, e a nostro avviso con molto maggiore importanza per la formazione dell’individualità psichica, nelle precoci « divisioni interne »· per cui l’uno o l’altro oggetto o istanza interiore assume una sorta di autonomia rispetto ad altri oggetti o istanze. Dalla fase di « non distinzione· »,· propria alla vita fetale, l’individuo passa, con la nascita, dapprima ad una nuova situazione, puramente subiettiva, di non distinzione (l’« Io egocosmico» di Federa), e subito dopo, già nei primi mesi dell’esistenza, a situazioni di « distinzione »· sia esterna che interna. A tale sorte dell’essere, alla tensione che si stabilisce tra la situazione di fatto e la tendenza a un ritorno all’indistinta, alla contraddizione immanente tra il desiderio dell’uno e la necessità del molteplice, è probabilmente da ricondurre l’origine di ogni angoscia umana. L’angoscia del neonato che non fa più tutt’uno con la madre, quella dell’infante separato dalla mammella materna, quella del bambino che teme la perdita della figura protettrice, quella del fanciullo – o dell’adulto nevrotico – insicuro, quella dell’Io di fronte alle « forze straniere » dell’Es o all’ « oggetto temibile »· interno (Super-Io o suo precursore) – tutti questi tipi di angoscia hanno un aspetto comune: il fatto che l’individuo, per vivere, deve·· «distinguere» – dentro e fuori di sé; mentre rimane in lui l’attrazione regressiva verso l’indistinta, quell’attrazione perigliosa che Freud ha descritto nelle prime pagine del Disagio nella civiltà, quel « sentimento oceanico »· per cui si vorrebbe – contro le forze clic spingono all’obiettivazione – « far tutt’uno col mondo e con le cose ». L’angoscia è il prezzo di questa rinunzia: prezzo eccessivo e antieconomico nel nevrotico, giusto prezzo per chi accetta di vivere e di operare.
EMILIO SERVADIO

1) Freud ha accennato a specifici meccanismi difensivi in altre sue opere, ma li chiama in diverso modo. Il rivolgimento dell’aggressività contro se medesimo e la trasformazione nel contrario sono indicate quali « destini degli istinti » nello studio Gli istinti e i loro destini (1915). L’introiezione e la proiezione sono denominate « meccanismi nevrotici » nel lavoro Su alcuni meccanismi neurotici nella gelosia, nella paranoia e nell’omosessualità (1922).

2) Al 2° Congresso italiano di psicoanalisi (Roma, ottobre 1950), lo scrivente presentò, al riguardo, un’ampia relazione intitolata appunto L’aggressività nelle nevrosi. In essa sono state poste in luce le deviazioni e le introflessioni dell’aggressività quali concause della formazione dei sintomi, e sottolineate le componenti autopunitive e masochistiche in varie sindromi nevrotiche. Chi scrive ha cercato, in particolare, di fissare i principali momenti della neurosogenesi in relazione agli istinti aggressivi, riportando le singole fasi a situazioni critiche nucleari della prima infanzia, e specialmente al primo instaurarsi dei meccanismi difensivi dell’introiezione e della proiezione. Ha altresì precisato, sia pur sommariamente, quale sia la parte dell’aggressività nei diversi quadri nosologici delle nevrosi dell’età ad

3) E. Servadio, Il complesso edipico: revisione del concetto (Relazione al I° Congresso italiano di psicoanalisi), in «Psicoanalisi», nn. 3-4, 1946.

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