Gavino Lepori, l’ex carabiniere assassino vedeva nelle autorità i suoi “persecutori”
Il Tempo 01/10/1959
Il suo delitto sarebbe la reazione abbastanza tipica di una «personalità paranoide» con delirio persecutorio – Non si può escludere tuttavia che il suo tragico caso possa essere classificato fra le schizofrenie
La espressione « mania di persecuzione », comunemente popolarmente adoperata per definire la condizione psichica di chi pervicacemente immagina che qualcuno « ce l’abbia » con lui, non è scientificamente corretta. Riportare, dunque, come molti hanno fatto, che lo sciagurato Gavino Lepori, uccisore del dottor De Virgilio, soffrisse di « mania di persecuzione », non ne definisce propriamente la personalità. In base ad alcuni elementi biografici e anamnestici sembrerebbe invece potersi dire, in prima approssimazione, che il Lepori dovesse essere soggetto ad episodi paranoidali con delirio persecutorio, e probabilmente che questo sia, nell’insieme, uno di quei casi che la psichiatria moderna chiama di « personalità paranoide ».
Il termine « paranoia », con i suoi derivati, è uno dei più vecchi nella letteratura psichiatrica. Era già adoperato da Ippocrate per definire certe malattie mentali. Fu ripreso nel diciottesimo secolo da Vogel e nel diciannovesimo da Kahibaum. Ma la precisazione moderna del concetto è di Kraepelin, che volle con esso indicare specifici casi di disturbo mentale a sviluppo lento, caratterizzati da idee deliranti, sistematizzate e fisse, aventi origine interna, e che non implicavano un deterioramento intellettuale.
La vera paranoia secondo la definizione di Kraepelin è, tutto sommato, assai rara. Molto frequenti sono invece i casi di soggetti quali presentano spunti, o tratti, o episodi paranoidi, o paranoicali, con relativa fluttuazione degli oggetti o delle circostanze di riferimento, ma con prevalenza, nelle loro idee irrazionali e deliranti, sia del motivo della « grandezza », sia di quello della «persecuzione». Questo ultimo prevale di gran lunga oggigiorno rispetto all’altro, e ciò può, almeno in parte, giustificarsi in base a considerazioni di carattere storico e sociologico. La nostra cultura offre di fatto in gran copia cause di timore, d’insicurezza ed ostilità, con cui tutti dobbiamo fare i conti: mentre non danno molti incentivi a veri e propri deliri di grandezza.
Anche l’individuo più normale è soggetto a lievi distorsioni nei suoi apprezzamenti di come si comportano nei suoi riguardi talune persone, gruppi di persone, o enti: e questo tanto più, quanto più domini in lui l’ansia o l’insicurezza. Tuttavia la frequente espressione « ma lo fanno apposta! », adoperata da gente che ha fatto inutilmente una « coda », o da chi non ha trovato, nel giorno stabilito, il documento lungamente promesso, non costituisce alterazione psichica, in quanto le suddette persone non pensano veramente che l’impiegato X o l’ufficio Y congiurino ai loro danni! Ciò che caratterizza – fra l’altro -, il pensiero paranoicale è invece la convinzione di essere perseguitati: convinzione che se talvolta può trarre momentaneamente in inganno, si manifesta altre volte in termini perfettamente assurdi, tali da non fuorviare neppure un profano. Esempi classici di tale assurdità sono le idee – abbastanza frequenti in questa epoca di tecnica avanzata – dl misteriosi «apparecchi» che emetterebbero speciali radiazioni o « onde », mediante le quali si potrebbe essere influenzati e dominati a distanza.
Nell’una o nell’altra delle sue varie forme e strutture (dall’episodio transitorio alla personalità paranoicale sino alla vera e propria schizofrenia del tipo paranoide), questo grave disturbo psichico ha le sue radici nell’infanzia, e non si può certo escludere che tali radici affondino a loro volta in un terreno ereditario e costituzionale. L’influenza dell’ambiente familiare e della comunità appare, in vari casi, netta e importante – soprattutto per determinare il tipo della futura reazione. In certe comunità, per motivi storico-culturali, alcuni schemi reattivi sembrano essere quasi predeterminati: non sarà difficile, ad esempio, che un individuo di colore sviluppi, se del caso, il proprio delirio a carico di una o più persone, o di enti, che in un modo o nell’altro rappresentino il « persecutore bianco ». Nel Lepori, che aveva ovviamente esperienze di rapporto e di dipendenza rispetto a certe autorità, il « persecutore » doveva con tutta probabilità impersonarsi in un rappresentante (ch e il suo delirio gli faceva ritenere malevolo ai suoi danni) delle autorità stesse. La sua vita interiormente povera, a guardar bene, è esclusivamente contrassegnata dalle sue relazioni – quali che esse fossero – con autorità militari o di tipo militare: prima il servizio nell’arma dei Carabinieri; poi l’internamento nel campo di Mauthausen; infine la continuata dipendenza dal Ministero della Difesa.
L’età del Lepori è, dal punto di vista della valutazione del suo comportamento, assai significativa. E’ stato infatti osservato che nella grande maggioranza, i disturbi paranoicali si sviluppano fra i trentacinque e i cinquantacinque anni. Pur non potendosi del tutto escludere che il caso in questione potesse essere classificato fra le schizofrenie, è altrettanto accertato che i deliri schizofrenici si manifestano in genere assai prima della terza decade di vita. Dalle scarne notizie biografiche pubblicate, si rileva che il Lepori fu internato per la prima volta quando aveva passato la trentina, e poi dimesso. La sua attuale età (52 anni), e il lungo periodo di stress, figurano presumibilmente fra le circostanze favorevoli allo sviluppo di un nuovo episodio. E’ noto che dopo la cinquantina, gli elementi interiori di insicurezza – e le eventuali reazioni abnormi, nevrotiche o psicotiche – possono assumere maggiore ampiezza e colori più foschi, in quanto l’individuo sente diminuire le sue forze, e approssimarsi la vecchiaia.
Le possibilità di trattamento psicologico o psichiatrico di personalità di questo genere sono tuttora piuttosto scarse. L’avvicinamento psicoanalitico – laddove è tentabile – dovrebbe essere effettuato da persona espertissima, e pronta ad allontanarsi anche non poco dalla tecnica ortodossa. Le altre vie sono quelle della rieducazione ambientale e, in sede propriamente psicoterapica, di un paziente, fermo instancabile confronto con la realtà.
E’ quasi superfluo avvertire che queste note, basate su informazioni piuttosto manchevoli, e rapidamente vergate, sono intese a chiarire alcuni concetti generali, e non certo a valutare (a distanza) un caso individuale e specifico, sul quale dovranno ovviamente pronunziarsi sia i magistrati, sia coloro che si occuperanno del caso stesso dal punto di vista psichiatrico e criminologico.
Emilio Servadio