Non é bastata la condanna di Oscar Wilde per frenare il malcostume in Inghilterra
E’ stato presentato un rapporto alla Camera dei Comuni, compilato da una Commissione
composta di deputati, ecclesiastici, donne, medici e giuristi, per accertare il male, prevenirlo, curarlo e, se
occorre, punirlo
Il Tempo 28/01/1959
Due eventi hanno portato nuovamente alla ribalta, in Inghilterra, un argomento assai delicato, che è tuttora oggetto di studii e discussioni da parte di psicologi, biologi, sociologi e giuristi: quello dell’omosessualità. Gli eventi sono di valore e di tipo ben diversi. Poco tempo addietro, come si è potuto leggere anche sui giornali italiani, un noto uomo politico inglese è stato denunziato e condannato per aver commesso atti innominabili in un pubblico parco di Londra, in compagnia di un giovane appartenente alle Coldstream Guards. E fin qui si tratta di cronaca: una cronaca, in fondo, abbastanza banale, sulla quale l’attenzione si è particolarmente soffermata soltanto a causa della notorietà di uno dei protagonisti.
Ma proprio in quei giorni, entrò anche in discussione alla Camera dei Comuni un progetto di riforma legislativa in tema di omosessualità basato sul cosiddetto Rapporto Wolfenden. Su questo evento vale la pena di soffermarsi con interesse, in vista degli sviluppi che possono derivarne non solo sul piano giuridico e nell’ambito della società inglese, ma praticamente in tutto il nostro mondo occidentale.
Tre anni di studi
Il Rapporto Wolfenden è il risultato di tre anni di ricerche, tutte effettuate da una commissione di esperti guidati da Sir John Wolfenden, vice-cancelliere dell’Università inglese di Reading. La commissione era formata di 15 persone, tra le quali due deputati, due ecclesiastici, tre donne alcuni medici. giuristi, ecc. Essa ha raccolto le testimonianze di circa duecento persone.
Prima di riportare e di discutere i risultati del Rapporto, non sarà male ricordare che in Inghilterra vige tuttora una legge del 1885, in base alla quale l’omosessualità è punibile come tale, anche se i relativi atti si svolgono in privato e tra persone adulte. E’ la legge che valse a Oscar Wilde, dieci anni più tardi, la condanna ai lavori forzati.
(Ben diversamente, come noto, hanno legiferato altri Stati, tra cui l’Italia, nei quali l’omosessuale è perseguibile soltanto se nei suoi atti si ravvisano gli estremi dell’oltraggio al pudore o della corruzione di minorenni.)
Il problema della prostituzione occupa soltanto un quarto del Rapporto Wolfenden, e in questa sede gioverà accantonarlo. Per quel che riguarda l’omosessualità, esso giunge a conclusioni che suonano, – come era da attendersi – aperta condanna della legge del 1885 e dei criteri che l’hanno ispirata.
Dopo avere respinto le definizioni di «naturale» o «antinaturale», considerate come filosofiche o teologiche, il Rapporto nota che i criteri di accettabilità sociale o permissibilità morale di un dato comportamento variano considerevolmente da un’area di cultura all’altra, e che così è sempre stato. L’omosessualità, secondo la Commissione, non si può definire una malattia, in quanto è compatibile con una piena sanità mentale. I conflitti psichici spesso rilevabili negli omosessuali sono – dice il Rapporto – risultati di tensioni tra essi e la società in cui vivono, e sono minori o assenti laddove c’è maggior tolleranza. Non esiste una linea precisa di demarcazione tra eterosessualità e omosessualità e, in particolare, vi possono essere tendenze inconsce verso l’una o l’altra « soluzione » del problema sessuale, in contraddizione con l’atteggiamento cosciente. L’omosessualità non è definibile come un « vizio dei ricchi », in quanto esiste in tutti gli strati sociali. Essa non è più nociva alla struttura della famiglia e alla vita familiare di quel che non siano l’adulterio o la promiscuità. Sorvolando su numerosi altri particolari (si tratta di un testo lunghissimo), menzioneremo infine che il Rapporto propone – con criteri in verità noti ben chiari – di fissare a ventun anni l’età al di sotto della quale i rapporti suddetti dovrebbero rimanere perseguibili; ma afferma, in tesi generale, che « l’omosessualità è uno stato o una condizione che non può in alcun modo riguardare la legge penale ».
Ispirato, come si può facilmente constatare, a criteri di umanità e di tolleranza veramente notevoli, il Rapporto Wolfenden non ha tuttavia mancato di sollevare, in Inghilterra e altrove, critiche talvolta anche assai aspre. Intanto, sta di fatto che dal settembre 1957 data della sua pubblicazione sono passati due anni e più senza che il Parlamento inglese abbia ritenuto opportuno occuparsene. Delle diverse Chiese Inglesi, mentre taluni rappresentanti di quella Anglicana e di quella Metodista hanno accolto il Rapporto con un certo favore, quella Scozzese si è dichiarata risolutamente contraria. L’Arcivescovo di Canterbury ha anch’egli espresso il parere che l’omosessualità debba continuare a essere considerata un delitto.
Si può guarire
Comunque, vista la scarsa volontà, mostrata dai più diretti responsabili della vita pubblica inglese, di occuparsi seriamente del problema, si è costituita in Inghilterra, fin dal maggio del 1958, una
« Società per la Riforma della Legge sull’Omosessualità », presieduta dal noto medico sessuologo e igienista Kenneth Walker, e di cui fanno parte molte illustri personalità della scienza e della cultura. Non mancano, tra i suoi appartenenti, parlamentari delle due Camere, ecclesiastici eminenti, scrittori e universitari (tra gli altri, vi figurano Graham Greene, J, B. Priestley, Angus Wilson, Philip Toynbee). I risultati della loro azione già cominciano, si direbbe, a farsi sentire.
Se è auspicabile, e tutto sommato probabile, che in Inghilterra e altrove si instauri una maggior tolleranza da parte degli organi statali nei riguardi dell’omosessualità, il problema rimane tuttavia molto aperto in sede scientifica, e non lo si « risolve » certo con leggi o decreti. Dobbiamo onestamente ammettere che dopo un ormai lungo periodo dl ricerche e di lavori, contrassegnato dai nomi famosi dl Wrafft-Ebing, di Moll, di Hirschfeld, di Havelock Ellis, di Freud (e, più recentemente, di Kinsey, di Bergler, di Westwood), sarebbe imprudente per uno studioso schierarsi senza riserve a favore dell’una o dell’altra teoria « esclusivistica » della omosessualità. Vogliamo qui alludere alle singole « scuole » che pur prescindendo (come è doveroso fare in sede scientifica) da criteri di ordine morale o filosofico, riconducono l’omosessualità a cause volta a volta o soltanto costituzionali, o endocrinologiche, o psicopatologiche, o storico-ambientali, e via discorrendo. A nostro avviso, nessuna di queste singole teorie è oggi in grado dl spiegare completamente il difficile problema.
Oggi sappiamo per certo che contrariamente a ciò che afferma il Rapporto Wolfenden – molti « soggetti » sono dei veri e propri nevrotici, che una psicoterapia analitica aggiornata può, in vari casi, radicalmente guarire e trasformare. Ma l’analista il quale credesse, sulla base della sua esperienza, e magari per certe innovazioni o scoperte di tecnica o di teoria cui è ragionevolmente giunto, di possedere la «· chiave »· scientifica del problema commetterebbe un errore.
Non meno erronea, naturalmente, è la pretesa di considerare l’omosessualità sul piano esclusivamente fenomenologico e culturale, e di classificare ·tipologicamente i « soggetti » in base a dati di comportamento, di area culturale o di fattori ambientali, così come si potrebbero catalogare· varie specie di formiche o di piante. E che dire di coloro che sono tuttora fermi su posizioni costituzionalistiche, e ritengono che uomini come Socrate o Von Platen siano assimilabili ai giovani efebi di Amburgo, o ai pastori nomadi del Belucistan? In realtà, si ha sempre più l’impressione che con il termine di omosessualità si siano designati, e si continuino ad indicare, fenomeni strutturalmente, psicologicamente e culturalmente assai diversi.
Noi vorremmo che fuori e di là dalle ricerche per una riforma di leggi o di regolamenti – ricerche sempre desiderabili e legittime – sviluppassero, a proposito del l’omosessualità, investigazioni e studi in collaborazione da parte di esperti delle più diverse discipline. Occorre ormai che i biologi e i genetisti e gli endocrinologi familiarizzino con i concetti e con il linguaggio degli psicoanalisti, degli antropologi e dei sociologi – e viceversa solo dopo parecchi anni da una simile, intensa cooperazione interscientifica e transculturale si potrà sperare di avere non già un’illusoria «teoria», ma un ampio sistema di riferimenti e di coordinate, tale da poterci consentire una più esatta valutazione di questo o quel caso o fenomeno, individuale o ollettivo, in un dato ambiente, e in una determinata fase della storia umana.
EMILIO SERVADIO