Viaggio di una clandestina nell’oscuro mondo di Freud
Avventuratasi incautamente in un regno non suo, la regista svedese denuncia ben presto, nel film «Giochi di notte», il proprio dilettantismo e passa di errore in errore – Travisate con molta disinvoltura le teorie psicoanalitiche
Gli equivoci della «psicoanalista» Mai Zetterling
Il Tempo 15 settembre 1966
Non abbiamo visto Giochi di notte della regista svedese Mai Zetterling che tanto scalpore e scandalo ha sollevato alla Mostra cinematografica di Venezia. Tuttavia, quanto abbiamo potuto leggere in merito al film, e il modo in cui la regista e la principale protagonista, Ingrid Thulin, si sono espresse al riguardo, permettono di considerare Giochi di notte dal punto di vista psicologico, sessuologico e del costume, rettificando alcuni equivoci in cui parecchie persone – a cominciare dalle due signore citate – sembrano essere cadute.
Dobbiamo per lealtà supporre che le intenzioni di Mai Zetterling fossero oneste, e che Giochi di notte non sia stato girato con intenti poco o tanto pornografici. A che cosa si è dunque ispirata la Zetterling? Che cosa si è proposta di mostrare o di dimostrare?
Non pochi, fuorviati da talune impostazioni del film, hanno tirato in ballo, a suo riguardo, Freud e la psicoanalisi. In Giochi di notte sono infatti rievocate torbide vicende dell’infanzia e della fanciullezza del protagonista, e queste vengono messe in rapporto di causa ad effetto con il suo comportamento nevrotico, e con le sue gravi difficoltà psicosessuali, allorché il suddetto· raggiunge l’età adulta.
«Complesso d’Edipo!» – hanno esclamato trionfanti certi esegeti del film della Zetterling; e hanno abbondantemente citato la «fissazione» infantile alla madre, e le seduzioni materne, quali «premesse edipiche» dei guai successivi a cui va incontro il malcapitato figlio.
Quello che costoro hanno dimenticato, e che la psicoanalisi ha invece messo bene in luce, è che il comportamento effettivo dei genitori ha assai minore importanza, per i successivi sviluppi e orientamenti della personalità, di quanto molti possono credere. Ciò che soprattutto conta, è il modo soggettivo in cui il bambino interpreta le proprie esperienze, e il permanere nel· suo inconscio delle sue impressioni e fantasie precoci.
L’aggressività
In altre parole: un individuo può ben diventare un inibito sessuale anche se la madre non lo ha mai «sedotto» da bambino nei modi smaccati e gravemente patologici in cui Irene, la madre di Jan, eccita e corrompe il figlio in varie sequenze di Giochi di notte. Anche se volessimo ammettere che sia lecito tradurre in linguaggio filmico situazioni appartenenti alle più gravi forme di perversione o di aberrazione psicologica (il che è discutibile perché, a nostro avviso, i mass-media non dovrebbero sostituirsi alla casistica clinica, o alle riviste specializzate), sarebbe almeno desiderabile che tale «materiale» fosse presentato e interpretato correttamente. Siamo sicuri che nessun psicoanalista svedese, eventualmente consultato, avrebbe espresso un parere «tecnicamente» favorevole al film della Zetterling.
Ma c’è di più. In polemica con certi criteri e gusti considerati genericamente come «italiani», Mai Zetterling ha dichiarato che per uno svedese, la sessualità non è immorale, mentre sono immorali l’aggressività e la violenza. Gli italiani – essa ha detto in sostanza – si scandalizzano dinanzi alle vicende erotiche, ma non hanno parole di biasimo nei riguardi dei film in cui si spara, si tortura o si uccide. Per gli svedesi – essa sostiene – è vero il contrario: la sessualità è una cosa bellissima e naturalissima, mentre appare ripugnante la distruttività in qualunque sua forma. «Il sesso è come l’anima, nel mio Paese non è un problema… Voi italiani siete ossessionati dai complessi…» eccetera, eccetera.
Conveniamo che se le cose stessero in questi termini, la regista di Giochi di notte avrebbe ragione. Qualsiasi persona sana di mente deve ammettere che fare all’amore è meglio che fare la guerra – e ciò, anche senza aver letto le celebri pagine di Freud in cui si manifesta la speranza che gli istinti dell’Eros abbiano la meglio su quelli della distruzione e della morte. Il guaio è che nei film della Zetterling non si contrappone affatto l’Amore alla Morte, e che in esso la sessualità, lungi dall’essere una manifestazione gioiosa e appassionata di volontà di vivere, è permeata da cima a fondo di cariche distruttive. Il secondo bambino della madre fatale muore appena nato. Tra i «complimenti» che Irene e il suo amante si rivolgono ci sono frasi come «che piacere proverei a vederti morta» o «vorrei spappolare la tua bocca». Da adulto, Jan cerca di uccidere Melissa (una delle sue amiche) senza alcuna ragione, se non forse perché la madre, quando era bambino, gli aveva detto che «alle ragazze piace un po’ di brutalità». La vecchia zia Astrid esprime la sua disapprovazione verso due altri tipi del film – Lotte e Albin – spaccando tutto quello che trova. E via discorrendo.
Ci si potrebbe obiettare che quello, appunto, è il modo abnorme e sado-masochistico in cui si esprime la patologia dei personaggi di Giochi di notte, e a cui si contrappone la sessualità libera e gioconda delle persone sane. Ma neanche questo risponde a verità. Si direbbe che da cima a fondo, la regista svedese si sia sentita costretta a presentarci le vicende umane molto più sotto il segno di Thanatos che sotto quello di Eros. Persino quando il protagonista, alla fine, si libera delle torbide scorie del passato, lo fa in forma distruttiva, ossia ponendo sotto il suo castello una carica di tritolo, che lo riduce in frantumi – non senza avere prima solennemente enunciato il seguente principio: «La gente prende coscienza di se stessa soltanto scienza di se stessa soltanto sul letto di morte».
Se quest’ultima frase riassume la filosofia del film, dobbiamo dire che essa esprime esattamente il contrario di ciò che insegna la psicoanalisi. La «presa di coscienza » che si consegue attraverso l’analisi coincide con una progressiva affermazione della vita – come ha esattamente visto Norman Brown nella sua ampia disamina del valore umano e sociale delle teorie psicoanalitiche, intitolata appunto La vita contro la morte.
Nevrosi e suicidio
La stessa tecnica analitica, lenta e capillare, esclude una metaforica « esplosione» distruttiva nei riguardi dei contenuti psichici patogeni. Come è stato possibile, dunque, tirare in ballo la psicoanalisi a proposito di Giochi di notte?!
La verità, ci sembra, è che troppa gente parla o scrive o sdottoreggia di psicoanalisi del tutto a casaccio, e senza conoscerne i fondamenti, in relazione al film della Zetterling, come a proposito di altre opere cinematografiche o letterarie, qualcuno ha esclamato o ha scritto: «Basta con la psicoanalisi!». Noi vorremmo esclamare: «Basta con questi travisamenti della psicoanalisi!». E lasciate – ci piacerebbe dire – alle varie o ai vari Zetterling del mondo cinematografico o di quello artistico-letterario – la scienza agli scienziati, e la psicoanalisi agli psicoanalisti.
Ma non possiamo non osservare ancora, e per finire, che sarebbe nostro vivo desiderio convincerci che per gli svedesi – come ci si dice l’amore e il sesso sono tanto più chiari, semplici e luminosi che per noi italiani. Sino a questo momento, la cosa non ci risulta né sul piano psicologico-clinico (in Svezia allignano, quanto e forse più che altrove, la corruzione minorile, l’omosessualità, le malattie veneree, le nevrosi e le crisi suicide), né su quello dell’espressione artistica e cinematografica. In quali film svedesi – ci chiediamo l’amore e la sessualità sono presentati nel modo giocondo e «puro» esaltato da Mai Zetterling? Forse in quelli di Bergman? E ve l’immaginate con quale senso di gioia di vivere, e di amorosa letizia, potranno uscire all’aperto gli spettatori di Giochi di notte?
Emilio Servadio