Magia e psicopatia di Aleister Crowley
(Conferenza tenuta presso il Centro di Studi Parapsicologici di Bologna il 21 marzo 1966)
Nel 1907 uscì in Inghilterra un libro intitolato « A Star in the West » (Una stella in Occidente). Ne era autore uno studioso inglese, J. F.C. Fuller, che poi percorse una brillante carriera militare. Già altamente significativo nel titolo, il libro in questione era un inno di altissima lode, una vera esaltazione, del genio poetico, filosofico e magico di un altro inglese, Aleister Crowley, che in quell’epoca aveva 32 anni. Fuller riteneva che Crowley fosse veramente una gloria, un luminare della nostra epoca, l’astro rivelatore di tempi nuovi.
Diversi anni dopo, nel 1934, il giudice Swift – a Londra rivolgendosi ai giurati in un processo intentato da Aleister Crowley per diffamazione contro una scrittrice inglese, Nina Hammet, che aveva pubblicato contro di lui cose da lui ritenute calunniose ed offensive, si espresse ai giurati nel modo seguente: « Per oltre quarant’anni sono stato impegnato, in un modo o nell’altro, nell’amministrazione della giustizia. Credevo di conoscere ogni forma concepibile di malvagità; ritenevo che, nell’una o nell’altra occasione, tutto ciò che era vizioso o cattivo mi si fosse presentato davanti. Ho imparato da questo caso che, se si vive abbastanza, si può sempre apprendere qualche cosa di nuovo. Non ho mai appreso cose più spaventose, orribili, blasfeme ed abominevoli, di quelle che sono state messe in atto dall’uomo che si definisce a voi come il più grande poeta vivente. Siete dello stesso parere, o volete che la causa prosegua? ». La giuria – senza neanche ritirarsi – dopo una rapida consultazione, emise un verdetto a favore di Nina Hammet, e condannò Crowley ai danni e alle spese.
Chi era questo Aleister Crowley, che qualcuno portava alle stelle, definendolo anzi addirittura « una stella », e che qualcun altro definiva nei termini che abbiamo or ora indicati?
Aleister Crowley è stato indubbiamente una grande personalità, uno scrittore erudito e fecondo, uno squisito poeta, che alcuni critici inglesi hanno paragonato niente meno che a Swinburne. Ma il suo nome, ancora oggi, specie in Inghilterra, viene pronunciato con un certo raccapriccio, tanto che anche sul piano letterario non gli è stata resa la giustizia, che pure, come poeta, meriterebbe.
Il suo nome e la sua opera sono circondati da un’aureola sinistra, e vedremo tra breve, percorrendone poco a poco la biografia, perchè questa fama sia per molti rispetti giustificata.
Si può essere grandi, come tutti sanno, anche nel male. La figura di Crowley non è soltanto oscura. Presenta alcuni punti luminosi, ma credo che da quanto vedremo risulterà chiaro che questi punti sono troppo pochi, e non riescono in alcun modo a neutralizzare quello che di veramente tenebroso c’è nella sua vita e nelle sue imprese.
Crowley nacque nel 1875 in Inghilterra, a Leamington (Warwickshire). Il padre apparteneva a una ricca famiglia quacchera; era un fanatico religioso, facente parte della fraternità dei Plymouth Brethren. La madre era altrettanto, se non più, bigotta del marito, e dopo la morte di questi, avvenuta quando il figlio aveva 11 anni, divenne ancor più ristretta di mentalità, ancor più religiosamente ottusa.
Questi genitori esercitarono un’influenza estremamente oppressiva sul figlio, che si chiamava in realtà Edward Alexander (il nome di Aleister fu di sua scelta arbitraria). Fu la madre, che scorgendo nel figlio alcuni tratti d’insofferenza e di ribellione, gli diede – una madre al figlio ! – l’appellativo di « Bestia dell’Apocalisse ».
In questa atmosfera il giovane Crowley si sviluppò e subì, oltre a quella dei genitori, l’influenza altrettanto nefasta di un crudele e oppressivo zio materno.
Alla pubertà avvenne ciò che doveva avvenire, ossia una ribellione totale e radicale a tutto ciò l’aveva oppresso e che gli era stato inculcato. Tale ribellione prese aspetti estremamente singolari, data appunto la singolarità irripetibile di questa eccezionale personalità.
Il nome con cui la madre lo aveva chiamato per condannano, egli lo assunse fieramente come un appellativo da ostentare; e da allora, già molto giovane, si definì e si proclamò « La Bestia », o «La Grande Bestia». Si firmò molte volte con le parole greche To Mega Therion («· La Grande Bestia ») e adottò come suo numero magico il 666, che come si sa è quello della Bestia dell’Apocalisse. La sua fu una rivolta totale, e senza compromessi, contro tutti i valori familiari, sociali, tradizionali, e in modo particolare contro quelli del cristianesimo.
Nel 1895, come egli descrive in una sua memoria, Crowley raggiunse la certezza di essere il personaggio rappresentativo dell’epoca, colui che avrebbe potuto condurre in porto la più grande rivoluzione filosofica e religiosa del nostro tempo. Il padre morì, come si è detto, quando Crowley era ancora molto giovane. Rimasto erede di una notevole fortuna, egli si sentì – come avviene in molti casi consimili – padrone del mondo. Andò a studiare a Cambridge, e colà pubblicò, non ancora ventenne, i suoi primi saggi poetici e letterari. Questi scritti sono in edizioni difficilmente reperibili, e sconfinano spesso nella pornografia. Alcuni di essi furono determinanti nel promuovere, anche dopo molti anni, giudizi tutt’altro che favorevoli a suo riguardo. Crowley era comunque un uomo di intelligenza eccezionale. I suoi anni a Cambridge furono in buona parte dedicati allo studio di testi rari e mal noti di filosofia orientale, e specialmente di magia e di occultismo materie di cui divenne uno dei più grandi conoscitori di ogni tempo. Erano ben poche le dottrine esoteriche, iniziatiche, magiche ed occultistiche che Crowley non conoscesse, e non soltanto attraverso i libri – poichè egli aveva in qualche modo fatto sue ed assorbite molte dottrine, a livelli e in guise che ancora sbalordiscono. Conosceva diverse lingue morte e parecchie lingue vive. Era insomma un individuo, dal punto di vista anche soltanto culturale, fuori classe.
Crowley – come egli stesso ci narra – uscì da Cambridge con tre interessi: l’alpinismo la poesia e la magia. In diversi modi, su cui adesso ci soffermeremo soddisfece ampiamente tutti e tre.
In questa sede, naturalmente, interessano soprattutto gli interessi e le vicende Occultistici e magici di Crowley molto più che non la sua opera letteraria, che potrebbe essere ampiamente discussa in altra occasione.
Il primo ingresso non più soltanto teorico, ma pratico di Crowley nell’occultismo avvenne in Svizzera verso la fine del secolo passato, in seguito al suo incontro con un chimico, certo Julian S. Baker, che s’interessava di alchimia e di esoterismo. Baker lo presentò, a Londra, a un altro occultista George Cecil Jones, che apparteneva a un ordine ermetico, quello della « Golden Dawn » (Aurora dorata). Mentre sino a qualche anno fa, non molto si sapeva di questa fratellanza, alcune recenti pubblicazioni specialmente americane hanno chiarito ciò che essa era e ciò che voleva. Qui basterà ricordare che la « Golden Dawn » era il ramo inglese di una fraternità occulta di origine tedesca, di cui esponente importante era una donna, certa Anna Sprengel. I rapporti di Crowley con la « Golden Dawn » furono abbastanza movimentati.· La fraternità si componeva di membri i quali passavano attraverso una serie di gradi iniziatici. Lo stesso tipo di iniziazione fu poi adottato da Crowley quando egli fondò a sua volta un ordine. I gradi in questione erano dieci. Cominciavano da « Zelator » e continuavano con « Theoricus », « Practicus », Philosophus », «Adeptus Minor», « Adeptus Major », « Adeptus Exemptus », «Magister Templi», « Magus » ed « Ipsissimus ». Alla « Golden Dawn » appartenevano personaggi piuttosto notevoli della società inglese di allora, ma naturalmente la loro appartenenza alla fraternità era tenuta celata. Tuttavia già allora qualcuno sapeva che vi appartenevano il noto romanziere Machen ed anche Villiam Butler Yeats, che come tutti sanno è stato uno dei più grandi poeti inglesi dell’epoca presente. Il 18 novembre 1898 Crowley fu iniziato nella «Golden Dawn» e prese il nome di « Frater Perdurabo ».
Uno degli esponenti più importanti della fraternità era S. L. Mac Gregor Mathers, che aveva fra l’altro tradotto un testo rimarchevole di magia, nel quale si trovano dettagliate istruzioni per l’effettuazione di una grande operazione magica. Il testo in questione, che è ora facilmente reperibile, è « La magia sacra di Abramelin ». L’opera esercitò una grande influenza su Crowley, il quale decise a un certo punto di effettuare prima o poi l’operazione, lunghissima e complicatissima, ivi indicata.
E’ di questi anni la convivenza di Crowley con un certo Allan Bennett. Costui, pur versatissimo nelle scienze esoteriche, era una persona molto diversa da Crowley. Le sue aspirazioni avevano tutt’altro carattere: non aveva interesse per la magia cerimoniale, e si occupava soprattutto di Yoga, tanto che a un certo punto si decise a lasciare l’Inghilterra e ad andare a fare l’asceta e l’eremita a Ceylon, dove poi Crowley ebbe occasione di andarlo a trovare alcuni anni dopo. I due vissero insieme per un certo tempo, e si ha l’impressione che alla partenza di Bennett, Crowley deteriorasse. Venuta meno una certa influenza moderatrice che Bennett aveva esercitato su di lui, Crowley si diede infatti a forme piuttosto basse di incantamenti e di riti, tanto da cadere nella più stramba magia evocatoria e nella necromanzia.
Per iniziare l’ « operazione di Abramelin », sulla quale ormai aveva fissato l’attenzione, Crowley pensò bene di trasferirsi in Scozia, e lì assunse un’altro nome – uno dei tanti nomi che via via si attribuì – e si fece chiamare Lord Boleskine. Boleskine era il luogo dove era andato ad abitare, e che si trovava, neanche a farlo apposta, presso il Loch Ness, cioè vicino alla località che doveva diventare famosa in tutto il mondo a causa del celebre « mostro » – che questo esista oppure no -. Le pratiche esoteriche e magiche di Crowley in Scozia sono state ampiamente descritte da lui stesso e da qualche suo biografo. Esse consistevano soprattutto in evocazioni di certe entità e di certi principi, evocazioni le quali, a quanto sembra, erano di quando in quando accompagnate da fenomeni di tipo – oggi diremmo – parapsicologico. Beninteso le manifestazioni in questione si possono considerare in molti modi, a seconda che non ci si creda affatto, che si ritenga fossero più o meno allucinazioni di Crowley o di chi gli stava vicino, che si definiscano come fenomeni di tipo medianico, oppure in qualche altro modo. Chi partisse da punti di vista rigorosamente cattolici vedrebbe probabilmente, in certe operazioni di Crowley, l’influenza del Maligno! Io non oso pronunciarmi al riguardo: però sarei piuttosto per una interpretazione molto prudente di carattere parapsicologico. Ritengo effettivamente che Crowley avesse e sviluppasse in sé, attraverso metodi e tecniche eccezionali, energie e possibilità di carattere nettamente paranormale. In tal senso militano i resoconti di varie persone, testimoni di quello che avveniva con lui, o intorno a lui.
Naturalmente uno spirito irrequieto come Crowley non poteva durare a lungo nel sistema di coordinate della « Golden Dawn ». Dopo alcune peregrinazioni viaggi a Parigi, a Londra, ecc., egli finì infatti col rompere i rapporti con Mathers e anche con la fraternità. Non si sa bene se fu estromesso, o se se ne andò di sua iniziativa. Comunque la sua associazione con l’ordine terminò bruscamente.
Qui comincia un’altra fase, non meno interessante, nella vita di questo essere straordinario. Crowley andò al Messico, e qui cominciarono le sue imprese alpinistiche. Il Centro America offre ancora oggi delle possibilità non comuni per gli alpinisti, specialmente per un certo tipo di alpinismo (ne abbiamo avuto anche in tempi recenti alcuni esempi poiché degli alpinisti, e in particolare alpinisti italiani, hanno vinto vette importanti di quel continente). Allora – erano i primi anni del secolo Crowley si associò con Eckenstein, che era un celebre alpinista dell’epoca, inventore fra l’altro di un tipo di ramponi da ghiaccio che portano il suo nome. Insieme, i due effettuarono l’ascensione del Popocatepetl, che allora era una montagna molto rispettabile, come lo è d’altronde anche ai giorni nostri.
E’ da notare che Crowley, alpinista d’eccezione ai suoi tempi, sofferse tutta la sua vita di asma: cosicché si può bene pensare che la sua passione per l’alpinismo fosse in buona parte quella che potremmo chiamare una compensazione a questo suo deficit organico. Questa considerazione va parecchio incontro alle vedute di Adler, per il quale, come si sa, molte manifestazioni degli individui hanno precisamente questa caratteristica: sono, cioè, compensazioni di deficienze vere o presunte, organiche o psicologiche, della loro personalità.
Nel 1902, Crowley, spostatosi in Asia, affrontò il famoso K 2, e insieme on Eckenstein, Guillermod e alcuni altri compagni d’impresa, arrivò, senza far uso di respiratori, ad un’altezza di 7.000 metri: affermazione, questa, che nelle stesse condizioni non fu più ripetuta. Due o tre compagni di Crowley arrivarono in quell’occasione circa un centinaio di metri più in alto del livello raggiunto 7 anni dopo, cioè nel 1909, dal Duca degli Abruzzi nella sua famosa spedizione. E’ interessante notare come la « censura » che si è estesa oggigiorno a tutta la figura di Crowley abbia messo in ombra persino questi aspetti sportivi, veramente notevolissimi e tutt’altro che disprezzabili, della sua personalità.
Nel 1903, Crowley sposò una certa Rose Kelly, la quale fu la sua ispiratrice e gli permise di creare alcuni dei suoi poemi più belli: i « Poemi a Rose ». Fu questa, d’altronde, una delle moltissime donne nella vita di Crowley. Crowley esercitò sulle donne un influenza estremamente notevole, ma – occorre pur dirlo – bene spesso nefasta. Rose Kelly, dalla quale ebbe un bambino, e dalla quale divorziò nel 1910, entrò l’anno successivo in manicomio per demenza scatenata dall’alcool (così fu diagnosticata) e vi restò; la seconda moglie di Crowley morì anch’essa in manicomio. Per lo meno di una delle donne di Crowley si sa con certezza che commise suicidio. Malgrado tutto ciò, le donne erano estremamente attratte da lui, tanto da consentire a tipi di coesistenza con codest’uomo che ben difficilmente una donna « compos sui » potrebbe accettare. D’altra parte l’influenza di Crowley sugli uomini fu per altri versi altrettanto eccezionale, e per certi rispetti fece pensare talora a qualche cosa di veramente fascinoso, se non paranormale.
Nel 1904 la moglie di Crowley, Rose, cominciò a manifestare fenomeni che oggi diremmo medianici: cadeva in stati di trance, aveva visioni. Mentre i due si trovavano al Cairo, Rose disse diverse volte a Crowley che il Dio Horus lo aspettava, e Crowley – così ci raccontano i suoi bibliografi – era estremamente incerto sugli sviluppi di tutta la vicenda. Finalmente, visitò un giorno con la moglie il Museo del Cairo; a un certo punto Rose vide una stele che rappresentava Horus, e disse: « È quello ! ». Crowley si avvicinò, e con sua enorme sorpresa vide che il numero d’ordine di quella stele era il 666, era cioè il « suo » numero. Da questa straordinaria coincidenza egli trasse un auspicio: che cioè quello fosse un incontro fatale, determinato e determinante, per cui si sentì per così dire autorizzato ad iniziare una nuova operazione magica, estremamente importante da vari punti di vista. Per tre giorni – così egli ci descrive, e così disse a suo tempo Rose che gli stava vicina Crowley ebbe, in una specie di strano tempio che aveva stabilito privatamente nella sua abitazione al Cairo, fenomeni che Oggi chiameremmo, in termini parapsicoloici, di «voce diretta».
Crowley riferisce cioè che da un angolo della stanza-tempio, una voce gli dettava un testo che egli trascriveva via via che veniva pronunciato secondo ciò che la voce diceva. L’entità che dettava si auto-denominò Aiwass, e dichiarò di essere stato un antico sacerdote egiziano. Naturalmente non possiamo sapere se si trattasse di un sogno ad occhi aperti di Crowley, o in che cosa sia consistito il fenomeno: ma il testo che ne risultò è di enorme importanza per tutti i successivi sviluppi della vita di Crowley. A questo testo, che ancor oggi esiste in non molti esemplari, fu dato il nome di «Liber Legis» (Il libro della legge). Il suo contenuto è estremamente discutibile; esso contiene dei passi che non si potrebbero leggere in pubblico e che non possono essere qui trascritti. Vale la pena, in ogni modo, riassumere quali sono stati i principi di questo codice, che dopo di allora improntò tutta la vita di Crowley, la sua opera e le sue azioni.
Il principio-base è questo: « Do what thou wilst shall be the whole of the law ». Questo appare a prima vista un principio tale da consentire qualsiasi libertà o qualsiasi licenza: ma esso venne interpretato da Crowley nel senso che tale « volontà » non fosse da intendersi in termini così immediati e coscienziali. La « volontà » è ciò che l’individuo effettivamente vuole nelle profondità della sua psiche; e potrebbe pertanto coincidere in questo senso più proprio, con quello che gli Indiani chiamano il « Dharma », cioè la legge interna e irripetibile di ogni singolo individuo.
Quella anzidetta è una interpretazione piuttosto ottimistica, perchè in pratica Crowley si sentì autorizzato a fare veramente, in molte occasioni come gli talentava e a far quindi coincidere il suo «will» con ciò che effettivamente riteneva opportuno in quel momento e in quelle circostanze.
Il secondo punto principale del « Libro della legge » è quello secondo cui ogni uomo (e ogni donna) è « una stella » indicando con questo la irripetibilità di ogni singolo individuo, con una probabile allusione alla immortalità dell’anima. Il terzo punto – che come si comprende non andò esente da acerbe critiche – è che «unico peccato è il porsi dei limiti».
Appare abbastanza chiaro che la filosofia di Crowley si apparenta ad altre filosofie ben note. Essa coincide, in fondo, con la filosofia del « superuomo » di Nietzsche, ed anche con la filosofia – se tale si può chiamare – manifestata in molte opere di Gabriele d’Annunzio.
Ricordiamo ad esempio che una delle poesie più famose di Crowley, che fu declamata in pubblico il giorno dei suoi funerali, è l’ « Inno a Pan »; e si sa bene quanto questa figura mitologica, con tutto ciò che essa implica, fosse cara a d’Annunzio, e come d’Annunzio l’abbia anch’egli cantata in poesia.
Come si è detto, Crowley alternava magia, alpinismo e poesia in una successione continua.
Egli effettuò un’altra notevole impresa alpinistica nel 1905, attaccando il Kanchenjunga nel gruppo dell’Everest. Anche in questa occasione arrivò a un’altezza di 7.000 metri, dopo di che scoppiarono dissidi fra lui ed altri componenti della spedizione, cosicché l’impresa – anche a causa del tempo pessimo – fu abbandonata. Nella sua sbrigliata fantasia poetica, Crowley disse che un dèmone della montagna si era opposto a farlo proseguire; e anche nei suoi tardi anni, in certi momenti in cui tutto gli andava male e gli sembrava avverso, soleva dire: « E il dèmone del Kanchenjunga che mi perseguita e che non mi perdona ».
Crowley passò successivamente alcuni anni in Oriente e poi in Africa, dando varie prove della sua energia psichica e fisica veramente eccezionale. Compì lunghe peregrinazioni nei deserti africani ed effettuò operazioni magiche sotto il sole, alle temperature altissime ben note. Una volta, in Africa, gli apparve – così egli ci narra – un dèmone da lui evocato. La descrizione si legge con estremo interesse, anche se c’ è ovviamente da chiedersi fino a che punto giocasse l’immaginazione del « mago », o fino a che punto avvenisse in realtà qualche cosa di più o meno tangibile e veridico. Ma quali sono, infine, i rapporti fra magia, immaginazione, e illusione? Vale qui la pena di ricordare ciò che dice il grande William Wake. Nella sua opera The last judgment (« L’ultimo giudizio ») egli scrive: « La visione o immaginazione è una rappresentazione di ciò che eterna mente esiste, realmente e immutabilmente. Questo mondo dell’immaginazione è il mondo dell’eternità; è il grembo divino dove tutti andremo dopo la morte del corpo vegetativo. Questo mondo dell’immaginazione è infinito ed eterno, mentre il mondo della generazione, o vegetativo è finito e temporale. Esistono in quell’eterno mondo le realtà permanenti di tutto ciò che vediamo riflesso in questo vetro vegetale della natura. « Ciò significa e mostra che effettivamente non è semplice definire i confini tra illusione e immaginazione, o stabilire, nella fattispecie quali cose effettive e tangibili avvenissero intorno a quella straordinaria persona che fu Aleister Crowley.
Nel 1910, a rottura già avvenuta con Mathers e con la Golden Dawn, Crowley fondò un ordine suo proprio, che contrassegnò con le lettere A.A., sigla delle parole « Astrum Argentinum ». Come si vede, era rimasto in lui qualche riflesso dell’ordine a cui aveva precedentemente appartenuto. Appartengono a questo periodo le prime idee di Crowley sopra la costituzione di un cenacolo o abbazia, a cui egli pensò di dare il nome di « Abbazia di Thèlema ». Tale idea era venuta a Crowley dalla lettura di Rabejais questi aveva appunto immaginato un cenacolo intitolato « Abbaye de Thélème », posto sulle rive della Loira, in cui saggi, filosofi, e persone di mondo convenivano per vivere in grande libertà, e secondo una filosofia di tipo edonistico. Va ricordato che «Thèjema» è parola greca e significa « Volontà ».
L’ « Abbazia di Thèlema » rimase per qualche anno nella mente di Crowley come una speranza, come qualche cosa che un giorno o l’altro egli avrebbe forse realizzato. Tuttavia passarono alcuni anni prima che potesse tradurre in atto le sue speranze. Nel frattempo si era unito con una certa Leah Faesi, che aveva conosciuto a New York, e che aveva eletto a compagna dandole il nome di « donna scarlatta ». Ricordiamo che anche questa è una denominazione dell’Apocalisse e si può ritenere che alla « Bestia 666 » non potesse non corrispondere un personaggio femminile definito appunto « donna scarlatta » nel testo giovanneo. A dire il vero, Crowley ebbe nella sua vita parecchie « donne scarlatte », tuttavia Leah Faesi fu una di quelle più importanti. Finalmente, nel 1920, Crowley dopo aver consultato il libro magico cinese «Y King», decise che il tempo era ormai maturo, e che l’Abbazia di Thélema avrebbe potuto finalmente realizzarsi. Secondo le indicazioni «occulte» ricevute, la sede dell’Abbazia avrebbe dovuto trovarsi in Italia, e più precisamente a Cefalù, in Sicilia.
E a Cefalù, nel 1920, alle falde del grande promontorio ben noto, e al cospetto del mare, Crowley istituì la sua Abbazia di Thélema. La sede dell’Abbazia era in realtà una casetta senza grandi pretese, che esiste ancora sebbene completamente trasformata. L’ambiente fu totalmente modificato e decorato da Crowley, il quale aveva una notevole abilità pittorica. Egli dispose naturalmente nell’interno un locale adibito a tempio per i suoi riti e per le sue evocazioni magiche, e affrescò le pareti con dipinti che sono ormai quasi completamente scomparsi e che sono assai difficilmente commentabili data la loro indole. Attualmente, colui che abita nella casa che fu un giorno l’Abbazia di Thélema ha fatto dare una mano di bianco su quelle incredibili pitture, e se n’è salvato soltanto qualche frammento. Le pitture esistono beninteso ancora sotto l’intonaco, ma varie difficoltà si frappongono al loro ripristino, che pur sarebbe altamente interessante da vari punti di vista.
La vita nell’Abbazia – così come ci risulta dai racconti scritti di varie persone che vi hanno partecipato – era delle più strane. Coloro che vi abitavano erano tutti più o meno affascinati da Crowley e si comportavano nei modi che egli indicava. Si prestavano a tutto ciò che Crowley voleva, a cominciare dai primi riti dell’alba, d’invocazione al sole, sino alle messe gnostiche, durante le quali Crowley, abbigliato con paludamenti magici, danzava. Queste cerimonie erano contrassegnate anche da sacrifici di piccoli animali. Leggendo le cronache, si ha l’impressione che le aberrazioni e le fantasie di Crowley si fossero estese a tutto un gruppo. Si trattava in pratica di un circolo di persone che si comportavano in modi altamente anormali, cosicché si può bene immaginare quali fossero i commenti e le impressioni delle persone che, sia pur di rado, entravano in contatto con loro.
Il ricordo di Crowley e della sua Abbazia non è completamente svanito a Cefalù. Qualcuno rammenta ancora che Crowley ogni tanto veniva nella cittadina, il cranio completamente rasato, portando sempre con sé un bastone, alla cui estremità superiore era avvolto un piccolo serpente di metallo. Superfluo dire che sul suo conto correvano infinite dicerie. Il fatto che convivesse con più donne, ad esempio, lo aveva fatto chiamare il « Mormone », dato che qualcuno sapeva che gli appartenenti alla setta dei Mormoni praticavano in passato la poligamia, per cui era abbastanza spontaneo, in persone non meglio informate, ascrivere a tale setta anche Aleister Crowley.
Comunque, le vicende che si andavano svolgendo a Cefalù erano di tale natura, da offrire ben presto il fianco a violenti attacchi contro Crowley da parte di alcuni importanti giornali inglesi, come il Sunday Express, John Bull, ecc. Negli articoli pubblicati, Crowley veniva considerato e definito come « l’uomo più malvagio del mondo »; i riti di Cefalù erano definiti ignobili e blasfemi… Tutto ciò scosse molto l’opinione pubblica inglese. Ad aggravare la situazione di Crowley contribuì non poco una pubblicazione, che egli allora aveva curata per bisogno di denaro, intitolata « Il diario di un tossicomane ».
A varie riprese della sua vita Crowley si era dato alle droghe, sempre naturalmente assunte a scopi che a suo dire erano magici e occulti. E’ ben difficile definirlo un tossicomane, anche se si può pensare che i fini per i quali assumeva le predette sostanze fossero da lui proposti secondo quella che in termini psicologici moderni si potrebbe chiamare una « razionalizzazione ». Sta di fatto che le dosi di stupefacenti che Crowley era capace di assorbire superavano di molto quelle considerate comunemente letali per la massima parte delle persone. Crowley provò su se stesso a infinite riprese una notevole gamma di droghe diverse: oppio, eroina, cocaina, hashish, ecc. Pare che sia stato il primo in Europa a far importare dall’America Centrale delle piante di peyotl, il cactus da cui si ricava la mescalina, droga che ha fatto molto parlare di sé in anni successivi, ma che a quell’epoca non era ancora conosciuta in Europa.
« Il diario di un tossicomane » contiene molti particolari sicuramente inventati, e introdotti al solo scopo di impressionare il lettore. Tuttavia, come si è detto, questa pubblicazione aggravò notevolmente la posizione di Crowley nell’opinione pubblica inglese, poiché si aggiungeva a tutte le dicerie o fantasie relative al suo ordine occulto, alle cosiddette « messe nere », che si diceva fossero celebrate nell’Abbazia di Thélema, e via discorrendo. Naturalmente l’eco delle proteste e degli scandali inglesi non poteva non arrivare di ritorno alle sponde italiane, preoccupando le autorità del Paese: le quali, nell’aprile del 1923, notificarono a Crowley un ordine di espulsione.
La reazione del « mago » fu abbastanza moderata, e si concretò in pratica nella pubblicazione di due piccoli pamphlets contro Mussolini, attualmente quasi introvabili, e intitolati tutti e due « Songs for Italy ». Essi portano come sottotitolo: « Parturiunt montes, nascitur ridiculus Mus (solini) », ossia « Partoriscono i monti e nasce un ridicolo topolino », identificato con il « Duce » di allora. Fu questa praticamente la sua unica vendetta per l’espulsione che il Governo fascista gli aveva notificato.
Dopo di allora, Crowley visse più che altro in Inghilterra. Ormai era anziano, e per certi rispetti precocemente invecchiato. Ho ricordato all’inizio che egli intentò nel 1934 un processo contro una scrittrice, Nina Hammet, che aveva rievocato in un suo libro varie vicende del suo passato, tra cui, beninteso, le cerimonie di Cefalù. Crowley ebbe il torto di intentarle causa per diffamazione, perse la causa, e finì così con l’essere ulteriormente danneggiato sul piano economico. La ricchezza che Crowley aveva ereditato dal padre era stata sperperata in vario modo, cosicché gli ultimi anni del « mago » furono contrassegnati da notevoli difficoltà economiche. Egli li trascorse più che altro a Richmond, vicino a Londra. Il suo desiderio di sbalordire il prossimo era rimasto, come qualcuno che lo visitò in quegli anni ancora ricorda. Continuò ad usare, come aveva sempre fatto, vari stupefacenti: il che però non gli impedì di vivere sino ad una età piuttosto avanzata, perchè morì nel 1947 – tranquillo, a quanto si dice, e senza pentimenti – e venne cremato a Brighton.
Ai suoi funerali partecipò un numero ristretto di seguaci e di amici. Fu letto in quella occasione l’ « Inno a Pan »; furono declamati alcuni passaggi del Libro della Legge e della Messa gnostica, e vennero suonate musiche di circostanza. Alcuni giornali inglesi scrissero in quella occasione che ai funerali di Crowicy era stata celebrata una « messa nera ». Ciò beninteso era solo nella fantasia dei giornalisti.
Vale adesso la pena di soffermarsi un momento sulla personalità di Crowley e di fare al riguardo qualche considerazione psicologica. I tratti principali del suo carattere si potrebbero riassumere così: era persona dai grossolani infantilismi; era mitomane e megalomane; aveva in sé elementi indubbi di crudeltà, come risulta anche da qualche episodio che abbiamo ricordato; soffriva di un notevolissimo esibizionismo, come provano fra l’altro tutti i suoi vari travestimenti e l’assumere successivamente nomi e pseudonimi altisonanti, e come lo prova anche il suo sfrenato e continuo desiderio di stupire. Molte delle cose che diceva le pensava fino a un certo punto, mentre per il resto erano destinate a sbalordire coloro a cui si rivolgeva. Sembra di poter dire che avesse anche pronunciate tendenze inconsce autolesive, poiché in fondo molte cose da lui fatte sembravano eseguite apposta per attirargli contro la riprovazione e l’aggressività degli altri. Il fatto stesso che un uomo di così brillanti qualità sia finito come è finito, cioè in oscurità e in povertà, sembra essere una dimostrazione di queste sue inconsce tendenze all’autodanneggiamento. Tra l’altro, Crowley è anche riuscito, con la sua condotta, a obliterare quel tanto di gloria che avrebbe potuto conservare come poeta, come letterato, come erudito, come orientalista, e insomma come personalità di primo piano anche al solo livello culturale.
D’altra parte in ciò che faceva non mancava spesso una vera grandezza. Dai suoi scritti appare una insolita – specialmente per quei tempi – larghezza di visione. La sua « Weltanschauung », per quanto distorta, demoniaca, disarmonica, era una grandiosa visione panteistica. D’altronde, un uomo che compie le prodezze alpinistiche che abbiamo ricordato sembra vedere lontano, e non soltanto con gli occhi fisici. Crowley aveva in sé elementi di nobiltà e di fierezza che non possono non essere riconosciuti e, malgrado tutto, ammirati.
Viene fatto di ricordare, a proposito delle anzidette caratteristiche di Crowley, quello che Goethe ha scritto in «Dichtung und Warheit », a proposito di quello che il poeta stesso chiama «l’elemento demonico»: « L’elemento demonico – scrive Goethe – si manifesta in tutte le cose corporee ed incorporee, e persino negli animali; tuttavia è soprattutto in rapporto con l’uomo che possiamo osservare la sua misteriosa azione. Essa rappresenta una forza che se non è contraria all’ordine morale, tuttavia è in contrapposizione con esso, cosicché l’uno può considerarsi l’ordito e l’altro la trama. Per i fenomeni che ne risultano – scrive ancora Goethe – vi sono innumerevoli nomi, ma le più temibili manifestazioni del demonico si hanno quando lo si vede predominare in qualche carattere individuale. Tali persone non sono sempre le più eminenti per intelletto o per loro doni speciali, e si distinguono di rado per bontà di cuore; sembrano emanare una tremenda energia, esercitano un meraviglioso potere su tutte le creature e persino sopra gli elementi, e in verità chi può stabilire sin dove una simile influenza si estenda? Tutte le forze morali combinate sono impotenti contro di loro. Invano la parte più illuminata dell’umanità cerca di gettare sospetti su di essi e di farli apparire come ingannatori o impostori: le masse ne sono attirate. Raramente o mai essi trovano uguali presso i loro contemporanei, nulla può vincerli se non l’universo stesso. E’ dall’osservazione di fatti come questi che deve essere sorto il detto, strano e tremendo: « Nemo contra Deum, nisi Deus ipse ».
Le anzidette penetranti osservazioni di Goethe sembrano applicarsi molto bene a Crowley. Quanto ai fenomeni parapsicologici, che hanno, secondo molti, contrassegnato la sua vita e la sua azione, occorre dire che nulla di definitivo e di certo può essere affermato. Si ascrivono tuttavia a Crowley due sogni premonitori, uno relativo alla morte del padre e uno relativo alla morte della madre. Entrambi questi luttuosi avvenimenti sembrano essere stati enunciati da lui assai prima che gli eventi si verificassero, e tra le premonizioni e gli eventi stessi sembra esservi stata una notevole corrispondenza di tempi e di modi. A uno dei suoi discepoli, Norman Mudd, Crowley aveva predetto che sarebbe morto per annegamento: e il Mudd effettivamente finì suicida e annegato. Durante l’ « operazione » fatta in Scozia per eseguire il cerimoniale di Abramelin, alcune persone videro curiosi oscuramenti intorno all’ambiente in cui Crowley lavorava, ed egli stesso scrisse che durante l’operazione doveva tenere la luce accesa benché tutto si svolgesse in pieno giorno. Crowley passò una notte nella famosa « camera del re » della grande piramide d’Egitto, e disse che la camera splendeva come se rilucesse una luna tropicale. Egli scrisse che tale « luce astrale » rimase durante tutta l’invocazione, e si protrasse per qualche tempo anche dopo.
Abbiamo già ricordato che il misterioso Aiwass, da cui derivò il « Liber Legis », sembra si manifestasse per voce diretta:, e si sa che la voce diretta è un fenomeno – vero o presunto che sia – di ordine nettamente parapsicologico e medianico. Crowley si vantava infine di essersi reso invisibile in almeno un paio di occasioni. Beninteso, possiamo accogliere questa come una delle sue tante fantasie. Il « mago » aveva indubbiamente pronunciatissime abilità ipnotiche. In qualche occasione, sembra essere riuscito a impartire comandi ipno-suggestivi a distanza, a persone che erano già in qualche modo legate a lui e a cui egli fece compiere particolari azioni da lui stesso volute. Nella sua quasi incredibile facoltà di sopportare un uso eccessivo di stupefacenti, è forse da vedersi un’altra qualità « paranormale »? Non lo sappiamo. E’ possibile dunque che Crowley sia stato un vero e proprio « centro » di fenomeni decisamente parapsicologici, ma di ciò, ripetiamo, non ci sono testimonianze o documentazioni precise.
Su Crowley esiste ormai una vasta letteratura, formata in gran parte da articoli più o meno responsabili, ma anche da alcuni libri (vedi Bibliografia) che potranno essere consultati con profitto.
Nell’estate del 1964, io trascorsi qualche tempo a Cefalù e potei ulteriormente documentarmi sulla Abbazia di Thélema, sulla «Bestia 666», e su ciò che si era svolto alcuni decenni addietro tra il « mago », le sue donne, e i suoi seguaci. Mi fu possibile, trovandomi sui luoghi, ricostruire mentalmente il clima psicologico straordinario di quell’epoca, le vicende quasi incredibili, romanzesche, spettacolari, talora tragiche, qualche volta ripugnanti, che contrassegnarono il soggiorno di Crowley tra il monte e il mare, in quegli anni già lontani. Questo « mago », questo angelo ribelle, mi apparve nell’immaginazione in tutto il suo sinistro splendore, ma anche nella squallida tristezza della sua finale sconfitta. Ricordo che una sera, guardando verso il promontorio dove egli aveva per qualche tempo imperato, e dove avevano risuonato le sue invocazioni magiche e pagane, dove si erano manifestate in qualche modo le forze, quasi sempre negative, da lui scatenate, mi sentii prendere da una certa pietà per questo esiliato, per questo irrequieto, per questo disperato scalatore tanto di picchi terrestri quanto di vertici superumani. Allora mi sono sentito soddisfatto di essere un semplice uomo, e di non avere mai, neanche per un momento della mia vita, osato pensare di poter diventare un superuomo. Mi compiacqui di essere intensamente uomo sulla terra e di pensare non a incantamenti o a miracoli, ma al riso e al pianto dell’uomo e della donna, al bacio, al grido, al bene e al male. Che la mia vita – pensai in quella occasione – continui ad essere un’avventura, ma che non sia una frenetica scalata al cielo, e neppure la sicurezza matematica di un paradiso previsto. Mi dissi che questa incertezza, in fondo, è proprio quella che ci qualifica come uomini, che ci distingue dall’animale come dal corpo inanimato, e che ci consente di umanamente vivere, combattere, soffrire, amare.
Può darsi che Aleister Crowley, il giorno della sua fine, che come ho ricordato è stata serena, abbia anch’egli finalmente pensato così, sentito così; e che non all’esasperato incantatore, ma all’uomo ridimensionato e rassegnato, si siano alla fine aperte le porte di madreperla dell’eternità.
Emilio Servadio
BIBLIOGRAFIA
J. F. C. FULLER, The Star in the West. The Walter Scott Publishing Co., Ltd., London, 1907.
J. SYMONDS, The Great Beast. Rider & Co., London, 1955.
ID., The Magic of Aleister Crowley. Frederik Muller, Ltd, London, 1958.
CH. R. CAMMELL, Aleister Crowley. University Books, Inc., New Hyde Park, New York, 1965.