La parapsicologia di ieri
L’Illustrazione del Medico n. 174, 1960, pagg. 22-24.
Il termine “parapsicologia” (che poco a poco va sostituendo in tutto il mondo quello, per molti versi criticabile di “metapsichica”) indica lo studio scientifico di certi fenomeni extranormali – psicofisici, psicofisiologici, psicologici – che sono sovente (ma non sempre) in connessione con particolari individui (sensitivi, medium). Tale studio non ha nulla a che fare con eventuali interpretazioni mistiche, spiritistiche od occultistiche dei fenomeni in questione. Anche se non sono tutte cervellotiche, simili interpretazioni esulano comunque, a priori, dal piano della ricerca scientifica.
La considerazione obiettiva (osservazione, esperimenti) dei fenomeni parapsicologici è cominciata già nel secolo scorso. Tuttavia soltanto da venti o trent’anni si può realmente parlare di un “atteggiamento parapsicologico” del tutto pari, per dignità e senso di responsabilità, a quello che contraddistingue la vera scienza.
Ciò non significa che sino a trenta anni fa non si fosse fatto nulla. Già Mesmer aveva cercato, a modo suo, di formulare una teoria generale che giustificasse i fenomeni veri o presunti, del “magnetismo animale”. Qualche decennio dopo, illustri scienziati – francesi, inglesi, tedeschi, russi, italiani – si sono occupati con coraggio e fervore dei fenomeni detti “medianici”, che sembravano avvenire in presenza di soggetti (medium) come Florence Cook od Eusapia Paladino. Ai nomi famosi di Crookes, di Richet o di Lodge si affiancavano quelli di alcuni grandi medici italiani (specie neuropsichiatri e fisiologi), come Cesare Lombroso, Enrico Morselli, Leonardo Bianchi, Filippo Bottazzi. Parallelamente, o in anni successivi, furono studiate le facoltà di chiaroveggenza (oggi si direbbe: di “percezione extrasensoriale”) della “sensitiva” americana Piper, della inglese Osborne Leonard, del polacco Ossowietzki. Poco prima della guerra 1939-1945, le ricerche e gli studi avevano raggiunto notevoli posizioni: era stato effettuato, specie ad opera di apposite Società, un enorme lavoro di raccolta e di classificazione dei “fenomeni” più disparati: erano stati compiuti innumerevoli esperimenti con medium, sensitivi e soggetti qualsiasi (specialmente in materia di telepatia e di chiaroveggenza): il premio Nobel Charles Richet aveva pubblicato un voluminoso Traité de Métapsychique; il dottor Eugène Osty, Direttore dell’Institut Métapsychique International, aveva dimostrato, con ingegnosi apparecchi, che dall’organismo di un soggetto medianico, Rudi Schneider, sembrava provenisse un quid che riusciva ad intercettare radiazioni infrarosse: era stato iniziato, con risultati incoraggianti, lo studio diretto (psicofisiologico, psicotecnico, psicologico generale) di taluni sensitivi e medium; la letteratura specifica (libri, monografie, riviste) era diventata immensa, incontenibile…
Tanto più contrastava, di fronte a questo dilagare di esperienze e di pubblicazioni, l’atteggiamento freddo, e talvolta ostile, delle Università, delle Accademie, della cosiddetta “scienza ufficiale”. L’interesse di celebri scienziati per la metapsichica veniva spesso considerato come una “debolezza” da parte dei loro colleghi; le pretese “scientifiche” dei ricercatori venivano sistematicamente respinte con incredulità o con sarcasmo…
Gli studiosi engagés sostennero, naturalmente, che tutto ciò dipendeva da misoneismo, dalla paura di veder sovvertiti ab imis certi schemi e nozioni, ed anche dalla erraticità dei fenomeni, che non si potevano captare o riprodurre a volontà. Non si trattava solo di atteggiamenti scioccamente negativi, come quelli di chi si oppose al riconoscimento della circolazione del sangue, dei meteoriti, o del grammofono. Si trattava – ahimè! – anche del fatto che le ricerche metapsichiche erano inquinate da elementi spuri, in teoria come in pratica: che accanto alle esperienze e gli scritti di studiosi severi si svolgevano le pseudo-esperienze, o si pubblicavano le elucubrazioni di dilettanti o di esaltati che si autodefinivano scienziati: e che persino indagatori seri e bene intenzionati si lasciavano, spesso e volentieri, fuorviare da emozioni incontrollate, o dal “desideroso pensare”; con risultati che metodologicamente e scientificamente era cortese eufemismo dichiarare “inattendibili”. Quindi, fieno e fiori: ma è comprensibile che l’abbondanza del fieno facesse, a un certo punto, respingere l’intero carico da parte di chi non aveva la pazienza, o le doti necessarie a far discriminazioni.
Queste le premesse, e le condizioni, che portarono all’avvento di un indirizzo di studi più rigoroso e severo, che oggi si contraddistingue col nome di parapsicologia. La moderna impostazione è che taluni “metapsichisti” di “antica osservanza” si ostinano, coscientemente o meno, a non voler riconoscere – è contrassegnata in primo luogo dai metodi e dalle scoperte, che ebbero inizio intorno al 1930, della “scuola americana” di parapsicologia (Duke University, Durham, Carolina del Nord, Stati Uniti), guidata dal prof. J.B. Rhine.
I problemi che il Rhine si pose furono: 1) se era possibile che una persona percepisse o reagisse ad oggetti o ad eventi o a pensieri, indipendentemente dai sensi riconosciuti, ossia mediante una presunta “percezione extra sensoriale” (in inglese, extrasensory perception, generalmente abbreviata in ESP); 2) se si poteva, sperimentando su più soggetti (in condizioni tali da escludere l’uso dei sensi), ottenere risultati che avessero un significato statistico.
Per la verifica di tali “se”, il Rhine e i suoi collaboratori adoperarono tecniche basate: a) sul numero limitato e fisso degli oggetti, delle immagini, o altro materiale su cui doveva esercitarsi la presunta ESP; b) sul numero larghissimo di prove effettuate con gli stessi soggetti, o con gruppi omogenei di soggetti; c) sulla introduzione progressiva di modifiche e di espedienti specifici, volti a isolare fasi e fattori della ricerca generale.
Il materiale usato dalla scuola di Durham (e poi da altri gruppi di lavoro e da singoli studiosi nei principali paesi del mondo) è consistito sin dall’inizio, generalmente, in speciali mazzi standard di carte da giuoco – le cosiddette “carte Zener”. Sono mazzi di 25 carte con cinque diversi simboli ripetuti cinque volte: un circolo, un quadrato, un’onda, una croce e una stella.
Gli esperimenti con queste carte sono stati molto vari. Un esempio di ciò che avviene può essere la richiesta, a un dato soggetto, di disporre in gruppi di 5 le 25 carte, avendo in mente di distribuire i gruppi secondo i 5 simboli, ma senza potere in alcun modo vederli. Un altro esempio è quello in cui il soggetto ha a sua disposizione cinque tasti elettrici corrispondenti ai 5 simboli. In una stanza lontana (a volte addirittura in un altro edificio) lo sperimentatore scopre via via le carte, comunicando al soggetto ogni alzata a mezzo di un segnale elettrico. Il soggetto risponde premendo quello dei cinque tasti che a suo avviso dovrebbe corrispondere alla carta alzata.
Come si valutano i risultati? In primo luogo, per una seria valutazione è necessario che i dati disponibili siano, oltre che omogenei, dell’ordine dei “grandi numeri”. Ciò premesso, e data la composizione già descritta dei mazzi, è ovvio che la probabilità media d’indovinare una carta è 5:25, ossia 1:5. In un numero limitato di colpi, tale media potrà subire forti deviazione, ma non così se il numero sarà sufficientemente grande. Se in molte esperienze rigorosamente controllate, rispettivamente con uno, due o più soggetti, si dovesse regolarmente constatare che il numero dei colpi “indovinati” eccede sensibilmente il rapporto di 1:5, ed anche i limiti entro i quali detta media dovrebbe oscillare secondo il calcolo delle probabilità, sarà lecito pensare alla eventualità che a turbare le leggi del “caso” si sia inserito un fattore ignoto, un margine più o meno ampio, extra sensoriale, di conoscenza, matematicamente valutabile.
E questo è proprio ciò che è accaduto a Durham. Dal 1935 a oggi, le “passate” delle carte Zener sono state milioni: e sia globalmente (ossia, tenendo conto di tutte le singole esperienze), sia limitatamente a vari importanti esperimenti specifici, il “caso” è stato regolarmente battuto, e l’ipotesi dell’esistenza della ESP si è sempre più consolidata. Rhine calcolò che a tutto il 1940 erano state fatte nel suo Laboratorio 220.455 prove: che la media globale positiva era stata di 5,23, con una deviazione di 2.090 e un rapporto critico di 11,12 – il che dà una probabilità contro il caso di alcuni miliardi a uno. Tali risultati non si sono smentiti nel successivo, recente ventennio.
Simili confronti numerici, d’altronde, impallidiscono di fronte a quelli di esperienze singole, in cui le cifre paragonate all’unità ascendono a espressioni astronomiche. Provi chi vuole a calcolare le probabilità nel caso delle esperienze eseguite dal prof. B.F. Riess, della Hunter Academy di New York. Il soggetto percipiente era una ragazza, situata in edificio diverso e distante da quello in cui si trovava l’agente. Orologi sincronizzati erano a loro disposizione. In queste condizioni, il soggetto, su 74 passate del mazzo di carte, superò l’incredibile media di 18 punti su 25. Una passata diede addirittura un punteggio pieno di 25 su 25…
Le esperienze del Laboratorio di Durham, e quelle di molti altri gruppi di studiosi e singoli parapsicologi che hanno lavorato sulla stessa linea, sono state ormai condotte su centinaia e migliaia di soggetti e sulle più varie categorie d’individui: giovani, vecchi e bambini; maschi e femmine; sani e ammalati; ipertiroidei e ipotiroidei; superintelligenti e subintelligenti; “sensitivi” e gente qualunque; normali e psicotici. I risultati, oltre a non essere stati inferiori all’attesa per quanto riguardava la “sconfitta del caso”, hanno consentito di valutare assai esattamente molte condizioni psicologiche e fisiologiche, ambientali e interpersonali, relative alla ESP (in senso sia favorevole, sia sfavorevole). Si è constatato, ad esempio, che lo slancio, l’entusiasmo, l’interesse fanno aumentare le percentuali e viceversa; che certe sostanze chimiche hanno una influenza positiva, mentre altre abbassano le medie; che nelle serie di qualche lunghezza, i risultati migliori si hanno all’inizio e alla fine, secondo la ben nota “curva a U” dell’affaticamento; che la distanza, o gli ostacoli fisici, non sembrano influire sui risultati (se non, forse, per ragioni autosuggestive). Psicologicamente, il processo ESP è inconscio, e non può essere direttamente influenzato o controllato dalla volontà.
In un prossimo articolo considereremo l’attività recente della “scuola di Durham”, e gli altri aspetti più salienti dell’odierna parapsicologia. Per ora basterà notare che almeno in parte, la nostra giovane disciplina si è andata spostando dallo studio del singolo, del raro, dello straordinario, dell’irripetibile, a quello delle masse, dell’ordinario, del riproducibile e del prevedibile – come è stato, è e sarà di ogni scienza veramente degna di questo nome.