La tragica parabola di un genio mancato
Dieci anni fa moriva Wilhelm Reich
Uomo di vasto ingegno, lo studioso austriaco già discepolo di Freud si illuse di aver scoperto una delle chiavi dell’universo: l’energia orgonica –
Finì i suoi giorni in una prigione americana.
Il Tempo 22/04/1967
Dieci anni fa moriva d’infarto nella prigione americana di Lewisburg il dr. Wilhelm Reich. Sullo strano, tragico destino di Reich vale la pena di soffermarsi nel decennale della sua scomparsa, anche perché in questi ultimi anni, non pochi studiosi italiani hanno mostrato un notevole interesse per le dottrine reichiane, e qualcuno non ha esitato a paragonare la sua statura scientifica a quella di Freud. Alcune notizie biografiche, e qualche osservazione di carattere scientifico, bastano invece a mostrare che Reich fu, per un certo periodo della sua vita, un pensatore brillante e originale; e che da ultimo un vero e proprio delirio paranoicale e megalomanico s’impadronì di lui.
Wilhelm Reich era nato in Austria nel 1897 e si era laureato a Vienna nel 1922. Discepolo di Freud, diede per una decina d’anni contributi notevoli alla psicoanalisi, formulando tra l’altro una dottrina relativa alle « resistenze del carattere » e raccogliendo in volume, nel 1933, i suoi scritti principali al riguardo, con il titolo Characteranalyse. Ancora oggi tali scritti, riveduti e corretti alla luce de recenti sviluppi della teoria, sono considerati come un ottimo apporto all’edificio della psicoanalisi.
Politicamente, Reich fu membro attivo del Partito socialista austriaco fino al 1930, anno in cui abbandonò tale partito, si trasferì a Berlino e aderì al comunismo. E’ Curioso notare che Reich e Arthur Koestler appartenevano alla stessa cellula, come Koestler ricorda in un suo scritto non dei più noti, pubblicato nel 1949. Quale comunista, Reich sostenne in un primo tempo che i conflitti psichici umani erano dovuti soprattutto alla pressione esercitata sugli istinti (particolarmente sull’istinto sessuale) dalle istituzioni della società capitalista, ossia dalla morale borghese, dalla religione ufficiale e dalla scienza accademica. Secondo Reich, la psicoanalisi freudiana avrebbe trovato perciò il suo pieno sviluppo soltanto nel trionfo del comunismo rivoluzionario!
Purtroppo, le speranze di Reich in una rinnovata « Psicoanalisi comunista » andarono completamente fallite. Come tutti sanno, la psicoanalisi si è sviluppata nei paesi occidentali, e già a suo tempo vari studiosi marxisti attaccarono sia la dottrina freudiana, sia le teorie di Wilhelm Reich. Alla ripulsa dei circoli marxisti seguì ben presto la condanna della Associazione Psicoanalitica Internazionale a cui fino a quel momento Reich aveva appartenuto. Contrariamente a quanto hanno scritto alcuni tra i superstiti ammiratori e difensori di Reich, il suo allontanamento dalle file degli analisti riconosciuti non avvenne né sotto il segno dell’anticomunismo, né sotto quello di una « ortodossia » dottrinale.
Un biofisico
Nessuno aveva avuto alcunché da obiettare alle innovatrici teorie di Reich sull’analisi del carattere, così come nessuno avrebbe potuto impedire ad un analista qualificato di appartenere a questo o a quel partito politico. Ma a nessuno – si osservò – era lecito pretendere che una dottrina scientifica dovesse avere una precisa connotazione politica.
Rendendo le sue dottrine indissolubili dall’ideologia marxista, Reich si era messo fuori della psicoanalisi e della scienza. Perciò, nel 1934, egli fu escluso dall’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Negli anni seguenti abbandonò successivamente le posizioni psicologiche, psichiatriche e psicoanalitiche, e si batté in favore di varie teorie di tipo organicistico. Certe tipiche rigidità di carattere dei nevrotici furono da lui considerate non più come effetti di « resistenze psichiche », ma come cause, per curare le quali introdusse una combinazione di manovre fisiche – quali rilassamento, pressione delle mani sul corpo del paziente, eccetera – per cui (egli pensava) il paziente stesso veniva « rivitalizzato ».
Non contento di essersi in tal modo avvicinato a certe tecniche settecentesche del « magnetismo animale », introdotte da Mesmer, Reich annunziò intorno al 1940 che l’energia della materia vivente (specialmente quella che si manifestava sul piano sessuale) era l’espressione di una energia cosmica, da lui scoperta, e chiamata « orgone ».
Rientrato negli Stati Uniti dalla Norvegia, dove si era rifugiato per sfuggire alle persecuzioni naziste, e dove le sue teorie avevano sollevato polemiche furiose, Reich si considerava ormai molto più come un biofisico che come uno psichiatra. L’ orgone era infatti secondo lui qualche cosa di molto concreto, dimostrabile in laboratorio.
All’orgone egli aveva attribuito persino un colore: il blu. « La fisica classica – scriveva – si sforza di spiegare il blu del cielo come diffusione del blu
e dei colori dello spettro nei gas dell’atmosfera. Tuttavia è un fatto che si ritrova il colore blu in tutte le funzioni che si ricollegano all’energia orgonale cosmica, atmosferica od organica.» Alla funzione dell’orgone, Reich attribuiva tanto la luminosità bluastra del legno marcito come la
fosforescenza delle lucciole, i fuochi di Sant’Elmo, e le aurore boreali. « Le formazioni di nubi e gli uragani – scriveva ancora -, fenomeni rimasti fino ad oggi senza spiegazione, dipendono da modificazioni nella concentrazione dell’orgone atmosferico ». Nel corpo umano
l’orgone – secondo Reich – è alla base dell’energia sessuale. Nel 1947 annunziò di avere misurato tale energia con i contatori Geiger. L’unità estrema della materia vivente, a suo avviso, non era la cellula, ma il bion, o « vescicola d’energia ». Esso consisterebbe in una membrana che circonda un liquido, il quale « batte senza tregua, mosso dall’energia orgonica ». Questa pulsazione sarebbe a suo avviso la danza della vita.
Basterebbero i cenni precedenti per mostrare fino a qual punto il brillante ingegno di Reich si fosse deteriorato. Non solo egli andava appresso a una chimera, e a presunti fenomeni che nessuno è mai stato capace di riprodurre in alcun laboratorio: ma – nella guisa propria dei deliri paranoicali e megalomanici credeva di avere scoperto una delle chiavi dell’universo, e di avere scatenato una rivoluzione paragonabile a quelle di Copernico o di Newton.
Fantascienza
La condensazione e l’utilizzazione dell’energia orgonica, secondo lui, avrebbero potuto servire ai più vari fini: dalla lotta contro il cancro e la leucemia alle azioni destinate a far cadere la pioggia, o a disperdere le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche. Reich aveva inventato una cabina terapeutica: l’ «accumulatore di orgone ». Si trattava di cassette con fodera metallica, contenenti sabbia, e rivestite di legno o cellulosa. Più tardi, le pareti di tali accumulatori furono perfezionate, e formate da una serie di strati alternati di lana d’acciaio e di stoppa. La permanenza più o meno prolungata entro uno di questi accumulatori avrebbe potuto servire – affermava – a curare e guarire una quantità straordinaria di malattie. Nel 1951 egli pubblicò un opuscolo, intitolato L’accumulatore di orgone. Le descrizioni in esso contenute superano in assurdità qualsiasi romanzo o novella di fantascienza. In un laboratorio che aveva stabilito nel Maine, Reich aveva installato una grande « sala· orgonica » foderata di fogli di metallo. Aveva inoltre piazzato ben tre « batterie orgoniche » destinate a far dissolvere le nubi e a far cadere la pioggia; e nel 1954 dichiarò senza batter ciglio, a un giornalista del New York Post, che la pioggia torrenziale che stava cadendo in quel momento era opera sua…
In una delle sue opere tardive, Listen, little man (« Ascolta, piccolo uomo »), pubblicata nel 1948, si manifesta apertamente il grado di megalomania raggiunto da Wilhelm Reich. In tale libro egli si considera un’aquila di fronte a pulcini, si paragona a Galileo, a Copernico e a Pasteur.
La messa in commercio, da parte di Reich, delle summenzionate cassette, o « accumulatori di energia orgonica », decise le autorità ad intervenire. Si era nel 1956. Reich aveva apertamente violato le leggi americane, mettendo in vendita o affittando « apparecchi » privi di qualsiasi efficacia e vantando loro qualità tanto grandiose quanto inesistenti. Venne condannato a due anni di prigione, e vani furono gli sforzi di coloro che cercarono di farlo ravvedere. Sino all’ultimo, con la pervicacia dei megalomani, egli si dichiarò convinto di essere nel giusto, e affermò che nessuno al mondo era in grado di esaminare e discutere con lui le sue teorie e le sue « scoperte ». Nel 1957 l’inventore della terapia «orgonica» moriva d’infarto, in una comune prigione, in mezzo a comuni delinquenti.
EMILIO SERVADIO