In Luce e Ombra 1929
Il Divoire, scrittore assai noto in altri campi, ha reso con il presente volumetto un pessimo servizio alla causa dell’occultismo, già di per sè così difficile a patrocinare. Molti di questi benedetti occultisti o sedicenti tali non hanno, in genere, ancora capito, che se voglion esser presi sul serio debbono assolutamente smetterla con le frasi avvolte di sottinteso, coi richiami imprecisi a testi fuori mano, col passar di continuo da un problema all’altro senza mai dare a chi legge un orientamento risolutivo, ecc. E, soprattutto, debbono definitivamente rinunziare alle frasi più o meno tenebrose e apocalittiche, piene di minacce sotterranee o di avvertimenti sibillini. Per questo lato, diremo così, sentimentale, del libretto in questione (e il riferimento si potrebbe estendere a parecchia altra gente) valga dunque la frase di Tolstoj a proposito dei drammi di Andrejeff: « questo signore vorrebbe farci paura, ma noi non abbiamo paura ».
Veniamo pure, ciò posto, al contenuto del libretto. Intanto, sembra discutibile il titolo: non si « crede » all’occultismo come si può credere ad una divinità. L’occultismo (e qui cerchiamo di far noi gli avvocati, sostituendo il Divoire come meglio possiamo) è, o pretende di essere, un corpo di dottrine, l’adesione al quale implica un’immediata e totale applicazione nella pratica da parte di colui che l’accetta. Insomma, si può essere occultisti, o non esserlo: dir di credere all’occultismo è frase ancor più stolta che affermare una « credenza », supponiamo, nell’idealismo; e non dirsi, poi, idealisti.
E assai difficile, per non dire impossibile, dare un riassunto, tracciare uno schema di questo volume. L’autore, abbiamo detto, tocca successivamente gli argomenti più diversi, non senza dare a parecchi dei 18 capitoli, in cui il libro è diviso, titoli che prometterebbero trattazioni esaurienti, come « Le scienze occulte», « Le leggi », « Essere Mago », ecc. Invece in questi, come in tutti gli altri, si passa con disinvoltura da un accenno al Péladan a una serie di avvicinamenti simbolici confusi e incompleti (v. cap. V); da una menzione onorevole per il modestissimo Caslant, autore di un volumetto in cui si insegna un « metodo di sviluppo delle facoltà supernormali », alle ingiustificatissime insolenze per il Geley, il quale, disgraziatamente, non è più qui per difendersi… Il tutto infiorato da supposti dialoghi dell’autore con incompetenti (i quali naturalmente vengono presi in giro, con discutibile buon gusto), o da scherzi del calibro seguente: parlando dell’occultista e cabbalista Vulliaud, il Divoire dice che questi, una sera, « credette venuto il momento di mostrargli il fondo delle cose » (diamine!) e prosegue affermando che le parole del Vulliaud non saprebbero esser riportate senza deformazioni. Cosicchè, in luogo di esse, ci offre mezza pagina bianca, cosparsa di puntini (incredibile, ma vero, v. p. 64). E potremmo citare altre perle, come quella di far della Chiesa Cattolica « la miglior posizione di ripiegamento » per chi si avanzi nelle incerte vie dell’occulto (immaginiamo che la Chiesa sarà non poco lusingata dell’alta funzione attribuitale dal Divoire). Eccetera.
Gli elementi buoni di questo libro (poiché. qualcuno, a scrutar bene, ce n’è), sono come sommersi dal resto, e tutto l’insieme non può che dispiacere ai pochissimi occultisti seri, così come è dispiaciuto a noi che, simili in questo al Divoire, ci interessiamo alla letteratura occultistica (senza, con questo, « credere » all’occultismo), ma non ne facciamo il nostro pane quotidiano.
E. SERVADIO
(1) Paris, Aux editions de France. 1928.