Apparizioni deformi e loro modalità di estrinsecazione.
Luce e Ombra 1933
Il noto studioso Raoul Montandon (autore, fra l’altro, di una riuscita compilazione sui «fluido umano ») ha pubblicato nella «Revue Spirite» (numeri di luglio e agosto a. c.) un interessante saggio sul tema: «A proposito delle deformità fisiche e di altre caratteristiche esteriori nelle apparizioni di defunti». L’Autore menziona alcuni dei casi più tipici in cui le visioni o i fantasmi materializzati di defunti apparvero al percipiente con gli stessi caratteri somatici ch’essi avevano prima della morte (casi riferiti da Florence Maryat, da Helena P. Blavatski, ecc.). Per contro il Montandon fa sua un’ovvia obiezione di Cesare Vesme, ed esclude che – data come ammessa l’ipotesi spiritica – il «corpo eterico » di un defunto debba conservare la forma del corpo abbandonato. Scrive infatti il Vesme: è possibile che il «corpo eterico » di un individuo brutto o malato debba conservare le caratteristiche della bruttezza o della malattia? Che il « corpo eterico » di un giovane debba conservare questa prerogativa nei confronti di una persona morta in tarda età? Ecc. Per contro il Montandon cita le osservazioni di Bouvier, secondo le quali la «traccia fluidica» di un arto amputato, p. es., conserva nelle fotografie che si è riusciti a ottenerne le peculiarità estrinseche dell’arto. «Le esperienze di de Rochas, di Durville, di Lancelin, di Lefranc, ecc., hanno dimostrato», scrive il Montandon, « che il «doppio », nei suoi diversi elementi, si presenta come una controparte iperfisica, come un « sosia » strettamente somigliante, plasticamente parlando, all’individuo, quale esso appare, sul piano fisico, alla nostra visione normale».
Come conciliare quest’apparente contraddizione, in cui stanno di fronte il ragionamento logico da un lato, e precise esperienze dall’altro? Il Montandon è costretto a rifarsi alla teoria delle immagini « astrali », e supporre che queste constino di prolungamenti nel tempo di singoli istanti della vita individuale; cosicché in qualsiasi punto questa specie di «continuum» potrebbe sezionarsi, in modo da offrire la raffigurazione dei singolo istante da rappresentare. In appoggio alla sua tesi, il Montandon cita due lunghi messaggi estratti dalle comunicazioni medianiche intitolate Lettres de Pierre (Parigi, 1928-31): comunicazioni che furono ottenute a mezzo della scrittura automatica. In esse si conferma che «un’impronta indelebile rimane di tutti i quadri che hanno «impressionato» i luoghi della terra»; e lo spirito comunicante dichiara alla madre: «tu potrai ritrovare la mia forma terrestre dovunque mi cercherai» (il che equivale a dire: in tutte le forme da me rivestite in qualsiasi istante della mia vita).
La comparsa, in visione o in forma materializzata, di un’«entità» fisicamente deforme o comunque con le tipiche caratteristiche somatiche presentate dall’individuo in vita, sarebbe dunque un mezzo di cui l’« entità » stessa si servirebbe per farsi riconoscere: non sarebbe già una forma sine qua non del suo supposto « corpo eterico». Solo l’ipotesi degli anzidetti «archivi d’immagini» può conciliare, secondo il Montandon, i termini del contrasto più sopra indicato.
A noi pare invece che occorrerebbe tenere in maggior conto l’ipotesi ideoplastica, poiché è chiaro che l’ideoplastia non può riferirsi se non alla forma in cui si ricorda o s’immagina l’« entità» che viene visualizzata o materializzata. Solo un esame minuzioso dei singoli casi potrebbe permettere di vedere se questa ipotesi sia o no applicabile alla totalità di essi, e se quindi, in quanto più prossima al già «noto », essa sia o meno in grado di contrapporsi vittoriosamente a quella del Montandon.
Emilio Servadio