Psicoanalisi della creazione poetica (seconda parte)
Meridiano di Roma 14-02-1937

In un lavoro intitolato «La poesia come sfogo orale» (13), apparso nel 1931, il Brill, senza preoccuparsi in modo particolare dei problemi inerenti alla rima ed al ritmo, esamina l’importanza dell’ «oralità» nei rapporti con la poesia. Dopo avere anch’egli sottolineato l’importanza della «fase orale» infantile, l’Autore dichiara che nei concetto di poesia rientrano tanto le sue forme più eccelse quanto quelle più umili, e che occorre considerare l’«espressione poetica» in genere: altrimenti, egli scrive, tanto varrebbe credere di poter farsi un giudizio sulla locomozione moderna studiando soltanto i più veloci aeroplani. Considerato dunque nel suo complesso, il fenomeno poesia è, secondo il Brill «uno sfogo sensuoso e mistico a mezzo delle parole, o, per così dire, attraverso un masticare e succhiare belle parole e frasi. Il poeta giuoca col ritmo e con le rime delle parole come un epicureo con della carne delicata o con un vecchio vino inebriante…». Questa definizione, che è tale da scandalizzare soltanto coloro i quali avessero già dimenticato quanto si è or ora avvertito circa la vastissima materia a cui essa si applica, collega in un’espressione abbastanza felice il piacere orale a quelli, originariamente anch’essi carichi di oralità, inerenti alle prime esperienze infantili del ritmo e della rima. Non manca neanche l’accenno all’elemento «ludico», già da noi citato con riferimento al Freud. Di questo piacere del giocare con le parole il Brill cita numerosi esempi, specialmente tratti dal mondo infantile. Non diversamente dai pappagalli, i bambini usano spesso le parole a sproposito, paghi solo di pronunciarle, di ripeterle un gran numero di volte, di baloccarcisi. Tutti conoscono i «conteggi» infantili, composti di frasi qualsiasi, ritmate e rimate, come il seguente, che desumiamo da una piccola rivista francese redatta da bambini:
Pin pa ni caille Roi des papillons En se faisant la barbe Se coupe le menton. Un, deux, trois, de bois, Quatre, cinq, six, de buis, Sept,huif,neuf, de boeuf, Dix, onze, douze, de bouse, Vaten a Toulouse. In alcune strane poesie di Alice in Wonderland le parole stesse sono deformate, in modo da «somigliare» a vocaboli noti, ma da non raggiungere l’espressione cosciente, secondo un meccanismo che si riscontra assai spesso nel sogno; cosi: Twas brilling, and the slithy toves Did gyre and gimble in the wabe…
Questi esempi, e molti altri che si potrebbero ancora addurre, i quali mirano a mettere in evidenza gli elementi istintuali orali nella creazione poetica, sono scelti naturalmente fra le manifestazioni poetiche culturalmente meno elaborate e più vicine all’inconscio: allo stesso modo come per capir meglio molte caratteristiche dell’adulto civile è stato necessario studiare il bambino o il selvaggio. Si potrebbero ancora citare, sulla scorta de Brill, delle poesie di nevrotici o di alienati. E non potremo omettere un riferimento di sfuggita a certe espressioni poetiche del dadaismo, del surrealismo, e simili. Si consideri, ad esempio, la seguente poesia dl Gertrude Stein (da Geography and Plays):
Next to barber. I Next to barber bury. Next to barber bury china. Next to barber bury china glass. Next to barber bury china and glass. Next to barber- and china. Next to barber and hurry. Next to hurry. Next to hurry and glass and china. Next to hurry and glass and hurry. Next to hurry and hursy. A nostro modo di vedere qui sono uniti senza veli, e con un coefficiente addirittura minimo di sublimazione, i tre «piaceri-base» della creazione poetica: «sfogo orale», ritmo e rima. Non l’ombra di un concetto ne di un qualsiasi tessuto logico per nascondere poco o tanto questo gusto infantile dl parlare, per parlare, di ripetere per ripetere, da rimare per rimare. E se la citata poesia della Stein ha tutta l’aria di un «caso-limite», tuttavia si deve ammettere che in certa poesia modernissima creazioni del genere non sono rare (141. In base al materiale esaminato, il Brill ritiene che il poeta rimanga spesso aderente (in forma più o meno profonda, beninteso, e talora per semplici tratti e per singole caratteristiche) a un livello pregenitale dal punto di vista dell’evoluzione degli istinti in età infantili). Comunque, a suo modo di vedere (e noi siamo della stessa opinione), l’islintività orale sia alla radice dell’espressione poetica. Non sarebbe difficile mostrare che fasi successive a quella orali possono ‘imprimere il loro segno su questo o quel tipo di poesia; gli studi specialmente di Freud (15), Ferenczi (16) e Jones (17) sulla cosiddetta «fase anale» infantile (che segue cronologicamente, quella orale) permettono di gettare molta luce sopra la lunga elaborazione di molti poemi, .i1 loro concretarsi talvolta lento e penoso, tal’altra tumultuoso e rapidissimo, la tipica «stitichezza» di certi poeti, la non meno caratteristica «logorrea » di altri (entrambe le espressioni sono comunemente adoperate): tutte manifestazioni che confermano la nostra tesi, anche per ciò che si riferisce alla più corrente terminologia. Non crediamo di errare, per esempio, ravvivando in una certa tendenza della poesia moderna a ipervalutare il vocabolo singolo, a tesorizzare la parola insostituibile, a conferire a ogni singola espressione un valore di cosa preziosa, un comportamento tipicamente «anale», naturalmente sublimato e spostato sopra altri oggetti (18). Ma un altro problema, ben più generale e più vasto, si presenta adesso alla nostra indagine: la necessita, cioè, di considerare nelle poesia l’elemento auditivo, quell’elemento che come tale appartiene più spiccatamente alla musica. Non si può evidentemente negare che il piacere del ritmo e della rima come tale sia un piacere che, se originariamente è certo anche carico di oralità, nondimeno contiene altresì un fattore patentemente uditivo. Nell’ atto del poetare riusciamo a scorgere assai bene il carattere orale di questo piacere: ma non perciò il poeta (e prima del poeta il bambino, il nevrotico, il selvaggio) non si inebria anche della soddisfazione di «ascoltare» ritmi e rinse. Abbiamo visto che tra le prime esperienze della vita infantile per quanto riguarda il ritmo e la rima, alcune hanno carattere uditivo: così quelle inerenti allo stato fetale, così quelle che riguardano le nenie che placano il bambino e l’addormentano. E certo anche nel piacere infantile di «giuocare con le parole» si fa valere sia il gusto di pronunciarle e ripeterle (piacere orale), sa quello di “sentirle» pronunziare, di o «sentirle» ripetere (piacere uditivo). Parrebbe dunque doversi ammettere, accanto ai noti piaceri istintuali infantili anche un «piacere auditivo» specifico, finora pochissimo studiato in psicoanalisi, per il quale proponiamo, in sede di dizionario italiano-tedesco, il termine di «Horlust» (Coniato sul modello del «piacere di guardare», o «Schaulust»). Tale piacere auditivo s’innesterebbe dunque, nel caso della poesia, alla già accennata (e analïticamente studiatissima) istintività orale.
Abraham19) e, meno direttamente, Jones (20) hanno avuto occasione di esporre alcuni reperti di psicoanalisi clinica e applicata in merito all’orecchio quale «zona erogena» e quale simbolo sessuale (ricettivo). Talune considerazioni in aggiunta alle poche già fatte ci conducono ad ammettere, in età infantile, speciali libidizziazioni dell’audizione, anche indipendentemente dalla diretta stimolazione dell’epidermide auricolare. Abbiamo già menzionato varie soddisfazioni libidiche audive di bambini, di nevrotici e di selvaggi. Ricorderemo ancora le osservazioni incidentali di Marie Bonaparte (21) a proposito delle frequenti emozioni auditive del bambino piccolo (il quale dorme spesso nella camera dei genitori, o in quella attigua): emozioni inerenti a varie manifestazioni della vita intima dei genitori stessi, suscettibili d1 assumere carattere partìcolarmente stimolante, inquietante, talora addirittura traumatico per l’infante in ascolto. Anche Ferenczi, in un classico lavoro (22), muove parecchie interessanti osservazioni su questi problemi, che qui non giova ulteriormente sviluppare. Diremo solo che in talune rare forme psicopatologiche (perversioni) abbiamo potuto trovare ampie conferme in merito a quanto è stato fuggevolmente accennato. Naturalmente la questione, così interessante anche perché così poco studiata, del piacere uditivo, non è esaurita con queste brevi note. Non v’ha dubbio p. es.,a nostro avviso, che il piacere uditivo normale segue vie di sviluppo analoghe a quell’Io di altre tendenze e soddisfazioni istintuali: vie, cioè, che portano ora a sublimazioni, ora a formazioni reattive a quel piacere: donde p.es. da un lato la ricerca e il godimento propri all’audizione di suoni armoniosi, e dall’altro lo sensazioni d noia e di disgusto che accompagnano la percezione di cacofonie, dl rumori, ecc. E’ probabilmente lecito inferire, a questo punto, che uno nei criteri di apprezzamento fra suoni piacevoli e suoni spiacevoli (a parte l’eccessivo eccitamento fisiologico che anche dei bei suoni possono produrre se troppo intensi o troppo prolungati) va ravvisato nel fatto che essi richiamino o meno esperienze audititive infantili soggette a rimozione. Vengono infatti abitualmente rimosse, perchè incompatibili con l’lo adulto, le esperienze di godimento relative a suoni e a rumori inerenti all’istintività infantile, che incontrano la riprovazione degli educatori e poi dei Super-Io; mentre quelle relative ai primi ritmi alle prime musiche che si percepiscono nell’infanzia non vengono considerate come “proibite» e vengono anzi sviluppate e fatte evolvere attraverso una più o meno elaborata educazione musicale (23). Ma è per la musica come per la poesia e per qualsiasi altra forma d’arte: l’elaborazione storica e culturale di molti secoli, unita alle esigenze della sublimazione. ha permesso da un lato il quasi .sempre perfetto nascondimento della componente istintuale-auditiva del piacere musicale, e dall’altro ha reso possibile il raggiungimento di livelli altssimi di espressione, secondo la marcia sublimativa ascensionale, propria a tutte 1e più nobili creazioni umane. Ritorniamo adasso più particolarmente alla poesia. Vediamo meglio, ora, come in questa si fondano e si sublimino i piaceri primitivi inerenti all’attività dell’apparato vocale e di quello uditivo, inoltre così come abbiamo ravvisato nel comportameno dell’adulto civile rispetto alla musica anche un atteggiamento reattivo nei confronti della primitiva «Horlust», così parallelamente diremo ora che nel piacere poetico sono ravvisabili tanto continuazioni sublimativo del piacete primitivo orale quanto reazioni a tale piacere, nel senso dell’espressione per via orale di contenuti «oblativi» che contrastano con la «captatività» dell’oralità infantile (21). Altri problemi particolari potrebbero poi prospettarsi, ciascuno dei quali sarebbe indubbiamente degno di una indagine approfondita. Un primo problema interessante, per esempio, è quello della differenziazione qualitativa dell’originario piacere orale dal corrispondente piacere uditivo. Quest’ultimo. per sua natura, ci appare come un piacere passivo, dato che l’udito è il senso ricettivo per eccellenza (anzi, a rigore, è l’unico senso realmente indifeso, e che deve comunque soggiacere agli stimoli del mondo esterno): tanto che anche nel linguaggio comune, allorchè si parla di ascoltazione della musica, si adopera la frase «lasciarsi invadere, lasciarsi penetrare dai suoni». Questo atteggiamento passivo dell’ascoltatore di musica è tanto più comprensibile in quanto si pensi che la musica parla un linguaggio squisitamente emozionale. ed esige quindi minori sforzi reattivi di carattere logico dì quelli che invece pretende, nel suo stadio culturale evoluto, qualsuasi altra espressione artistica, e in particolar modo la poesia. Per contro, il piacere orale implica sempre un’attività, in quanto si possa ravvisare una componente autodistruttiva nella creazione artistica, dovremmo dunque dire che in quella poetica si esprime. Una autosoddisfazione prevalentemente orale sul «modo» attivo, in quella musicale una autosoddisfazione prevalentemente auditiva e sul «modo» passivo. S’intende che queste definizioni sono quanto mai approssimative e suscettibili di ogni sorta di revisioni.
Potrebb’essere comunque interessante studiare, sia nell’espressione poetica e ìn quella musicale considerate a sé, sia nelle forme “miste» or ora accennate, la prevalenza dell’una o dell’altra delle componenti fondamentali che abbiamo cercato di additare. In partirolar modo sarebbe importante poter studiare sul vivo questi elementi attraverso analisi di poeti e di musicisti, delle quali sinora troppo pochi casi ci vengono offerti dalla letteratura speciale psicoanalitica. Così pure, sarebbe d’indubbia utilità vedere se e quanto in certe manifestazioni moderne dell’arte poetica o musicale si possano più apertamente riconoscere delle fissazioni o dei ritorni alle rispettive originarie esperienze infantili. Il Brill, nel lavoro che abbiamo riassunto e commentato accenna fugacemente a questo problema: il Frois Wittntann (cfr. nota 14) ne sottolinea con grande acutezza i termini per quanto riguarda tutta l’arte moderna, senza peraltro giungere ad un suo approfondimento completo, che getterebbe nuove luci su importanti manifestazioni dello spirito contemporaneo.
Non dovremmo. infine, aver bisogno di ricordare come l’interesse che presentano le ricerche su alcune componenti e radici profonde delle più alte attività umane non ci faccia per nulla trascurare l’apprezzamento dei prodotti luminosi e compiuti di tale attività. Si capirà, speriamo, che noi non mettiamo in uno stesso mazzo una filastrocca infantile e un sonetto del Petrarca, e che I sublimi pensieri di un Leopardi restano per noi tali indipendentemente dai «tratti orali» che possiamo essere portati a riconoscere nella sua vita e nel suo carattere. Ma, a nostro avviso, l’ammirazione per il Koh-i-Noor nei confronti dl un pezzo di antracite non dovrebbe far velo al punto da cancellare del tutto dalla mente la nozione che anche il diamante è fatto di carbonio.

Emilio Servadio

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