Il complesso edipico: revisione del concetto
Psicoanalisi – Applicata alla Medicina, Pedagogia, sociologia, Letteratura ed Arte. Anno II° n°3-4

Uno dei concetti più importanti della psicoanalisi è senza dubbio quello del complesso di Edipo. Tuttavia, sbaglierebbe chi credesse di poter formulare, oggi, tale concetto come fu enunciato da Freud molti anni or sono. Scopo di questa relazione è indicare i principali mutamenti e sviluppi avveratisi nella concezione del complesso edipico sia in seguito a revisioni effettuate dallo stesso Freud, sia grazie a contributi di ricerca recati da altri indagatori.
Le prime enunciazioni freudiane sul complesso edipico si trovano già chiaramente nella « Scienza dei sogni »; esse sono state ulteriormente approfondite e parzialmente modificate nell’ «Analisi della fobia di un bambino di cinque anni» e nei saggi «L’organizzazione genitale infantile» e « Il tramonto del complesso di Edipo ». Dopo quest’ultimo lavoro, apparso nel 1924, la teoria non subisce mutamenti da parte di Freud sino ai 1932, anno in cui si pubblicano le « Nuove lezioni introduttive alla psicoanalisi ».
All’inizio, e per vario tempo, Freud si occupò più del complesso edipico del maschio che non di quello della femmina: così come in genere nella sua opera egli rivolse la sua attenzione ai problemi profondi della psicologia maschile in grado alquanto maggiore che non a quelli della psicologia femminile – la quale, come egli stesso ebbe a dichiarare, gli parve sempre particolarmente irta di difficoltà. Fu così che enunciando i termini del complesso di Edipo, Freud, e alcuni altri con lui, pensarono a tutta prima soprattutto alla situazione del bambino maschio: cosa che si rivela, tra l’altro, anche nella scelta della denominazione del complesso in esame. Per esso, nel caso della bambina, non si è trovato infatti se non l’appellativo di ripiego, mitologicamente e psicologicamente improprio, di « complesso di Elettra », o si è più sbrigativamente parlato di « complesso edipico della femmina».
Secondo la concezione iniziale di Freud, dunque, il bambino maschio, a un’età oscillante fra i 3 ed i 5 anni, attraversa una fase nella quale rivolge alla madre amore, al padre sentimenti ambivalenti di ostilità, di timore e di ammirazione. Nella sua più tipica espressione, la « situazione edipica » è dunque quella nella quale il maschietto vorrebbe il possesso esclusivo della madre, e l’eliminazione del padre. L’atteggiamento inverso, in questa prima schematica enunciazione, è quello della femmina: amore per il padre, ostilità e ambivalenza per la madre.
A un’ulteriore determinazione giunse Freud dalla necessità di armonizzare questo schema con ciò che egli andava notando circa l’evoluzione dei rapporti oggettuali nel bambino e lo sviluppo dei suoi istinti. Freud credette di poter stabilire che appunto fra i 3 ed i 5 anni nel bambino raggiungessero il loro apice i rapporti oggettuali, e che tale età coincidesse altresì, dal punto di vista della evoluzione della libido, con la preminenza della fase fallica. Ciò rendeva più convincente la definizione del complesso edipico del maschio, ma complicava alquanto le cose per ciò che riguardava la femmina. Come Freud cercasse di risolvere tali difficoltà, vedremo tra breve. Per quanto riguarda il maschio, Freud precisò, nel saggio « il tramonto del complesso edipico », che la fase fallica cede alla minaccia di evirazione, e che la susseguente introiezione dell’autorità parentale forma il Super-Io, erede del complesso di Edipo. E’ da notare che nelle sue descrizioni del formarsi del Super-Io, Freud dà preminente importanza alla figura del padre, pur non escludendo una partecipazione dell’imago materna in tale formazione.
Freud ammise per tempo la possibilità, nel bambino maschio, del formarsi di un complesso edipico invertito, nel quale la posizione assunta dal soggetto è di rivalità nei confronti della madre e di dedizione passiva al padre.
La prima grave difficoltà riguardante il complesso edipico femminile era evidentemente quella del rovesciamento della situazione della bambina rispetto alla madre. Non vi era dubbio, per Freud, che l’attaccamento sessuale della bambina alla madre fosse originariamente positivo uguale, in ciò, a quello del bambino maschio. Ciò era conforme alla teoria della libido e dei suoi sviluppi oggettuali. Come poteva capovolgersi questa situazione? Freud fece cadere l’accento, al riguardo, ancora sulla fase fallica. La bambina, al pari del maschio – egli disse – non concepisce dapprima se non esseri fallici, ritiene che la sua clitoride si svilupperà, che la madre provvederà al riguardo, che la madre stessa le fornirà un membro come hanno i maschietti: questo è ciò che Freud chiama l’atteggiamento pre-edipico della bambina, e che altri autori hanno definito il suo complesso edipico invertito normale, in seguito alla frustrazione di tali suoi desideri, subentra nella bambina il complesso di evirazione: questo, a sua volta, la distacca dalla madre e la fa rivolgere al padre, che da rivale qual era nella fase pre-edipica, diventa oggetto di amore, come quello che può darle il membro desiderato. Infine – come precisa Freud stesso nelle «Nuove lezioni» al desiderio di avere il membro si sostituisce il desiderio di avere un bambino. Nella femmina, dunque, il complesso di evirazione precede il complesso edipico, mentre nel maschio lo segue. La situazione di angoscia tipica della bambina nella fase edipica, secondo Freud, è la paura di perdita d’amore: mentre quella del bambino maschio è la paura d’essere evirato.
Il complesso edipico positivo della femmina s’instaura dunque, nella concezione ulteriore di Freud, quale soluzione e superamento del suo complesso di evirazione. Dato che il complesso edipico così concepito va incontro alle principali esigenze della femminilità normale – eterosessualità, passività, amore per il sesso maschile – Freud sottolinea da ultimo il fatto che per la femmina il raggiungimento di detto complesso rappresenta molto più una soluzione che non una situazione di crisi come nel maschio, e che la femmina, di conseguenza, entra nel complesso edipico « come in un porto » e non ne esce se non dopo lungo tempo e spesso non completamente.
Secondo questi schemi, sviluppati come abbiamo detto da Freud in vari lavori, ci troviamo dunque praticamente di fronte a due « storie edipiche » molto differenti. Le differenze principali nello sviluppo psicosessuale del maschio e della bambina, e le maggiori difficoltà che questa dovrebbe superare, possono riassumersi come segue:

1) Mentre nel maschio il segno dell’amore oggettuale rimane lo stesso – dalla madre ad altre donne – la femmina deve passare da un primo amore omosessuale – la madre – ad un secondo amore eterosessuale – il padre – e poi all’amore per l’uomo in generale;

2) mentre nel maschio l’atteggiamento attivo della sessualità infantile si continua nella sessualità adulta, la bambina deve mutare l’attività sessuale infantile della fase fallica in passività sessuale adulta;

3) mentre l’organo esecutivo rimane esterno nel maschio, dalla masturbazione infantile alla sessualità genitale adulta, nella femmina occorre passare da un organo esecutivo esterno – la clitoride – a uno interno – la vagina: la quale, secondo Freud, non ha alcuna parte nella sessualità infantile.

Questa notevole diversità nelle concezioni del complesso edipico e della sua storia a seconda che si tratti del maschio o della femmina non manco di sollevare già di per sé parecchi interrogativi. Ci si chiese, fra l’altro, come si conciliasse la teoria del Super-Io quale erede del complesso di Edipo con la formazione di un vero Super-Io femminile. Ad ogni modo, quella sin qui esposta è la teoria del complesso edipico quale si è venuta precisando sin negli ultimi lavori di Freud, e persino in uno scritto che egli lasciò incompiuto, e che fu pubblicato dopo la sua morte. Anche in quest’ultimo lavoro, apparso nel 1940, Freud sottolinea l’aspetto fallico del complesso di Edipo nel maschio, e l’ «invidia del membro» come determinante l’insorgere del complesso edipico femminile.

L’ulteriore revisione del concetto di complesso edipico si è effettuata in base ai progressivo approfondimento di alcuni punti fondamentali della teoria psicoanalitica, e cioè: 1) la dottrina degli istinti; 2) le prime relazioni oggettuali, e relative ripercussioni sulla vita interiore del bambino; 3) la genesi del Super-Io; 4) la cronologia delle fasi pregenitali; 5) le sorgenti dell’angoscia.
Cerchiamo di esaminare brevemente quali ricerche effettuate negli anzidetti settori abbiano influito sulla teoria del complesso di Edipo.

1. E’ forse superfluo ricordare che alla formulazione degli istinti distruttivi Freud giunse relativamente tardi (1920): certo molto più tardi che non a quella della componente aggressiva del complesso edipico. Prima, l’aggressività edipica, come qualsiasi altra spinta aggressiva, era ricondotta non già all’Es, ma all’Io, come leggiamo ancora esplicitamente in un lavoro del 1915, « Istinti e loro vicissitudini »: in un primo tempo l’aggressione fu considerata semplicemente come reazione dell’Io a motivi di disturbo del principio del piacere; poi come costituente essenziale degli istinti dell’Io. Ma, ripetiamo, non fu se non nel 1920 che il concetto di istinti dell’Io fu abbandonato, e l’aggressività istintuale venne ascritta all’Es.
Si rileva, quindi, che originariamente, nel concetto di complesso edipico era stata indicata erroneamente la sorgente, e non adeguatamente la reale portata, della componente aggressiva: così come le vicissitudini di questa componente furono per lungo tempo trascurate nella teoria dell’evoluzione istintuale, che riguardò quasi esclusivamente la libido.
Integrata e generalizzata la concezione di un istinto primario distruttivo, ne derivava: a) che l’aggressività e la distruttività infantili dovevano essere considerate come qualche cosa di molto più essenziale, esteso e profondo di quanto non si fosse fatto sino allora; b) che gli istinti distruttivi dovevano essere riferiti, in tutte le loro trasformazioni evolutive, ad ognuna delle fasi pregenitali, e con tanto maggior rilievo quanto più primitiva fosse la fase, e quindi quanto maggiori fossero il disimpasto e l’ambivalenza; c) che, conseguentemente, dovevano essere ristudiati i rapporti oggettuali del periodo cosiddetto pre-edipico, per vedere se e quanto venisse mutata l’idea tradizionale di tali rapporti nella fase edipica «classica»; ciò poneva in grande evidenza la questione dell’aggressività infantile nella prima relazione oggettuale, ossia nei riguardi della madre, da parte sia del maschio, sia della femmina.
La rielaborazione della teoria delle fasi pregenitali fu compiuta, come è noto, nel 1924 da Abraham: il quale non mancò di mettere in rilievo l’aggressività infantile nelle fasi, ad es., sadico-orale e sadico-anale. Ma neppure in Abraham troviamo una sufficiente valutazione dell’istinto distruttivo in quanto protoistinto: tanto è vero che egli parla in sostanza di fasi evolutive della libido, sia pure ogni tanto commista a energia distruttiva. Abraham non poteva fare di più. La nuova teoria dualistica degli istinti era di formulazione troppo recente, e ad Abraham mancava l’esperienza dell’analisi diretta di bambini. Fu questa, insieme con la sempre maggiore discesa in profondità delle analisi degli adulti, che rese più chiaro alla mente di molti psicoanalisti il valore dell’elemento distruttivo nelle prime fasi dello sviluppo psichico del bambino.

2. Ancora grazie alle analisi infantili, divenute sempre più accurate, ed estese anche a bambini in tenera età in seguito alle nuove tecniche analitiche inaugurate da Melanie Klein. fu possibile vedere sotto nuova luce il problema degli istinti nei confronti delle prime relazioni oggettuali infantili. I fondamenti di quanto adesso esporrò sono, a mio avviso, conquiste sicure della psicoanalisi, anche se nelle deduzioni che se ne possono trarre i pareri non sono del tutto concordi.
Non v’è dubbio che la prima tecnica delle relazioni oggettuali del bambino sia quella che Ferenczi denominò introiezione, e il cui concetto Freud adottò nel suo lavoro « Lutto e Melancolia ». Il bambino tende ad incorporare oralmente, a « prendere dentro », a trattenere in sé esperienze oggettuali che in realtà dipendono da fattori esterni: in primo luogo, s’intende, le esperienze piacevoli, il cui prototipo la mammella soddisfacente, che dà il latte. Sta di fatto, tuttavia, che anche nel migliore dei casi a esperienze soddisfacenti si alternano esperienze penose, riferite alla mammella arida o negata, a disturbi della digestione, ecc., e che il bambina, quindi, rivolge aggressione agli oggetti disturbatori internalizzati. Le proprie fantasie aggressive contro tali oggetti vengono esternalizzate dal bambino, o, come si dice in psicoanalisi, «proiettate» sugli oggetti esterni, i quali vengono sentiti come ostili e pericolosi. Alle nuove introiezioni di oggetti «cattivi », e come meccanismo di difesa contro le nuove spinte distruttive rivolte ad essi, succedono nuove proiezioni, e si stabilisce così un circolo vizioso. Gli oggetti, sia esterni, sia internalizzati, vengono divisi in «buoni» e in «cattivi». La primitività stessa del processo, in una età in cui non è netta la distinzione tra stimoli esterni e stimoli interni, fa appunto sì che alle due serie di oggetti buoni o cattivi esterni corrispondano due serie omologhe di oggetti buoni o cattivi interni, facenti tutt’uno con l’inconscio del bambino in seguito a identificazione. Tra le due serie avvengono continui scambi, ma è ovvio che gli oggetti esterni siano, in quella tenera età, considerati in modo tutt’altro che realistico, e che le proiezioni infantili, o esternalizzazioni, assumano caratteri fantastici e mostruosi, di cui nella vita adulta vediamo ad es. gli equivalenti nei mondi del sogno e del mito.
La teoria degli oggetti internalizzati, e delle corrispondenti proiezioni delle loro caratteristiche su oggetti del mondo esteriore, permette di superare molte difficoltà teoriche. Essa dà il giusto posto, in primo luogo, all’aggressività infantile, la quale diventa veramente parte integrante dello sviluppo psico-istintuale del bambino; giustifica la rappresentazione, a tutta prima quasi inimmaginabile, di un bambino piccolo il quale rivolge al corpo materno, e anche alla madre considerata in toto, i più forti impulsi sadistici e distruttivi, accompagnati da spaventose fantasie, le quali, ripetiamo, non sono che l’esternalizzazione di lotte interne, per la massima parte inconscie, contro immaginari oggetti cattivi introiettati; e, fatto specialmente importante per il problema che ci riguarda, stabilisce una precisa dicotomia fra oggetto amato e oggetto odiato – ancorché all’inizio l’oggetto sia in realtà unico: dicotomia la quale costituisce, come vedremo, lo sfondo primario della tradizionale polarità edipica.

3. Nessun psicoanalista dubita più, oggi, del fatto che l’introiezione sia processo molto più precoce, primitivo e decisivo di quanto si ritenesse tempo addietro. Ora, l’ammettere che nel bambino ancora in tenera età si stabiliscono delle internalizzazioni di oggetti prima parziali, poi totali – oggetti che il bambino stesso sente, a seconda dei casi, come buoni o cattivi, amichevoli o persecutori, e comunque agenti dal di dentro sulla sua condotta anche indipendentemente dagli oggetti reali – tutto ciò ha ripresentato ab ovo il problema della formazione del Super-Io nei confronti del complesso di Edipo. Già a questo punto noi possiamo vedere che la concezione tradizionale del Super-Io come « erede » del complesso edipico, come dovuto all’introiezione tardiva, posteriore alla fase fallica, della figura paterna, non può corrispondere alla realtà. Nuclei, per lo meno, del Super-Io, intesi come istanze interne introiettate influenzanti il comportamento, si formano sicuramente prima della fase fallica, prima del Super-Io tradizionalmente considerato, e anche prima di certi suoi aspetti fenomenologici descritti da Weiss e da me rispettivamente quali «presenza psichica» e « voce della coscienza ». Dobbiamo senz’altro concepire, tanto per cominciare, un Super-Io orale, o quanto meno un nucleo orale del Super-Io, dal quale si partano minacce aggressive, sempre su un piano orale – ad es., essere divorati – come rappresaglia, o pena del taglione, per le fantasie sadico-orali del bambino nei confronti della mammella materna e della madre. Analogamente dovremo concepire nuclei uretrali, anali, ecc. del Super-Io, ma non dimentichiamo che il rapporto orale, l’introiezione e la proiezione, il concetto di oggetti internalizzati e esternalizzati, e il dualismo iniziale dei protoistinti, costituiscono i fattori-base, la piattaforma senza la quale non si possono comprendere né la genesi del Super-Io, né gli sviluppi ulteriori della psiche infantile e primitiva.

4. Sospendiamo, per ora, altre considerazioni, che si presentano già inevitabili, circa il primo sorgere della situazione edipica, e rivolgiamoci alla teoria delle fasi pregenitali. Qui l’accordo degli psicoanalisti è stato raggiunto su un punto sostanziale: che le « fasi pregenitali », cioè, non possono considerarsi come insorgenze nettamente individuate e cronologicamente susseguentisi; e che solo si può parlare, in questa o quell’età infantile, di un « primato » – supponiamo orale, anale ecc., in quanto gli interessi libidici e aggressivi infantili relativi alle rispettive zone e funzioni coesistono e si mescolano sin dall’inizio. Nella sua opera postuma già ricordata, Freud ha accettato esplicitamente questo concetto: «Sarebbe un errore – egli dichiara – supporre che queste fasi si succedano nettamente l’una all’altra: una di esse può apparire in aggiunta ad un’altra, esse possono sovrapporsi vicendevolmente, o essere presenti nel medesimo tempo ».
All’infuori di ciò, abbiamo vari e contrastanti punti di vista. Si può accennare ad es. all’interessante tesi di Fairbairn, secondo la quale le fasi veramente tali nell’evoluzione istintuale sarebbero le due fasi orali di Abraham e la fase genitale finale, in quanto quelle intermedie non sarebbero che tecniche impiegate per difendere l’Io contro gli effetti di conflitti di origine orale, dovuti a incorporazioni di oggetti non altrimenti risolte. Molto più importante per il nostro assunto è il punto di vista, condiviso oggi da tutti gli psicoanalisti del gruppo inglese e da vari altri ancora, secondo cui è improprio parlare di fasi pregenitali non soltanto perchè, come abbiamo detto, esse non si succedono a mo’ di vere e proprie fasi, ma per la più ben rilevante ragione che anche nel bambino molto piccolo si debbono riconoscere interessi propriamente genitali – e non soltanto « fallici » nel senso tradizionale freudiano -, ancorchè questi assumano il loro proprio primato dopo l’insorgere rispettivo del primato orale, di quello anale, eccetera.
Melanie Klein, in vari lavori, ribadisce questo punto. Dalle sue analisi infantili, e da quelle di altri psicoanalisti della sua scuola, risulta invariabilmente che « gli impulsi genitali si stabiliscono contemporaneamente a quelli pregenitali, e li influenzano e modificano; e poichè, come risultante di questa precoce associazione, anch’essi portano tracce di certi impulsi pregenitali anche in stadi ulteriori di sviluppo, il raggiungimento della fase genitale significa semplicemente un rafforzarsi degli impulsi genitali». Per mio conto, non ho alcun dubbio circa questa tesi, che è condivisa oggi da un numero sempre maggiore di psicoanalisti, e che appare coerente e logica sia da un punto di vista strettamente analitico, sia dai punti di vista biologico e fisiologico. Se si ammette che impulsi genitali coesistano sin dall’inizio con quelli orali, anali, ecc., cade per es. senz’altro la difficoltà relativa alla concezione della bambina come pseudo-maschietto, e uno dei suoi desideri fondamentali sarà quello non tanto di possedere essa stessa un membro, ma piuttosto di riceverlo ed incorporarlo. L’atteggiamento «fallico» della bambina descritto da Freud appare allora un atteggiamento prevalentemente reattivo, dovuto a frustrazioni subite anteriormente.

5. Molto vi sarebbe ora da dire sull’angoscia infantile, problema dei più complessi e circa il quale, non è stata ancora pronunziata l’ultima parola. Senza voler qui riporre la questione circa le prime origini dell’angoscia, non v’è dubbio che essa possa esser destata da tensioni istintuali, e in particolare modo dalla minaccia proveniente dall’istinto distruttivo proiettato e nuovamente introiettato. Ogni sorta di pericoli relativi agli oggetti interni può essere causa di angoscia, sebbene le analisi infantili confermino che nel maschio questa si riferisce principalmente al motivo dell’evirazione, mentre nella femmina il motivo dominante risulta quello di essere attaccata e lesa internamente. Vedremo tosto più da vicino i contenuti di queste angosce precoci. Per ora ci basti aggiungere che esse precorrono di molto il complesso edipico tradizionalmente considerato, e che non regge più, quindi, l’idea dell’insorgere di un complesso di evirazione nel maschio in epoca successiva ai quattro o cinque anni; così come non si può più a lungo sostenere la tesi secondo la quale il complesso edipico femminile sarebbe preparato dallo speciale complesso di evirazione della femmina.

Cercheremo ora, alla luce delle necessariamente brevi e schematiche osservazioni fatte sin qui, di indicare in modo integrativo quali appaiano le moderne vedute relative al complesso edipico in confronto al concetto tradizionale.
Nella seguente esposizione riassumeremo alcune concezioni già note, completandole con punti di vista personali.
La situazione edipica così come ci appare nella descrizione classica è la cristallizzazione e semplificazione tardiva di fenomeni molto più complessi, precoci e diffusi dello sviluppo psico-istintuale infantile. Il fenomeno-base è costituito, come abbiamo accennato, dalla dicotomia dell’oggetto « buono » e dell’oggetto « cattivo » – dicotomia la quale, nella descrizione classica, s’individua da ultimo nelle dine figure parentali totali.
I primi oggetti di questa dicotomia si riferiscono, tanto nel bambino maschio come nella femmina, alla mammella materna, cosicché il rapporto orale diviene il prototipo di ogni rapporto oggettuale ulteriore. Non appena tali rapporti si estendono, sia pure parzialmente, alla figura paterna, abbiamo già gli elementi necessari per l’instaurazione di un complesso edipico in nuce, ricchissimo di motivi fantastici, mostruosi ed irreali.
Tanto nel bambino maschio come nella bambina, tale complesso edipico nucleare ha come suoi elementi primari essenziali la mammella materna ed il membro paterno, che possono essere alternativamente o simultaneamente « buoni » o « cattivi ». Lo sviluppo sessuale del bambino include sin dalla prima infanzia sensazioni e tendenze genitali, le quali sono tuttavia all’inizio fortemente influenzate dal primato orale e dai meccanismi introiettivi e proiettivi: cosicché troviamo ad es. nel maschio fantasie di appropriazione orale del membro paterno « cattivo », fantasie angosciose d’essere aggredito e divorato da tale cattivo oggetto (è questa, fra parentesi, la base del motivo mitologico del drago della caverna); eccetera. Nella bambina troviamo desideri ricettivi nei confronti del membro paterno (oro-vaginali, secondo l’espressione di Marjorie Brierley) e impulsi aggressivi contro l’intero corpo della madre per privarla del membro paterno incorporato. Tuttavia, insieme o alternativamente con queste posizioni normali del complesso edipico primitivo, troviamo nel maschio e nella femmina manifestazioni del complesso edipico invertito: il membro paterno figura regolarmente nelle fantasie inconscie del bambino maschio anche come una sorgente di soddisfazione libidica, analogamente a quanto esso immagina avvenga per la madre, ed è questa la sua prima posizione omosessuale; nella bambina – contrariamente a ciò che si riteneva – la posizione fallica e l’invidia del membro sono, come abbiamo accennato, reazione a frustrazioni nella posizione edipica normale, ossia al desiderio di sostituirsi alla madre e di ricevere, come lei, il membro paterno. Quindi, troviamo da un lato che il complesso edipico invertito del maschio è fase normale e non eccezionale del suo sviluppo psico-istintuale; d’altro lato che il complesso edipico invertito femminile non è primario ma secondario, e in sostanza più epifenomenico rispetto alla situazione edipica normale della femmina.
Quest’ultimo punto, prima ancora che da parecchi psicoanalisti inglesi, era stato nettamente indicato da Karen Horney, che in un suo scritto apparso nel 1924 aveva sostenuto che ciò che dà origine al complesso di evirazione della femmina è la frustrazione subita nel complesso di Edipo, e che il suo desiderio di possedere un membro deriva primariamente dai suoi desideri edipici, e non dall’aspirazione ad essere un maschio. La stessa Karen Horney, due anni dopo, giungeva dalle proprie analisi alla conclusione, già da noi indicata ed accettata, secondo cui nella sessualità infantile della bambina la vagina ha altrettanta parte quanto la clitoride; e ribadiva la tesi che l’invidia secondaria del membro nella bambina copre e rimuove i suoi autentici desideri femminili anteriori.
Desideri e fantasie di tipo uretrale, anale, ecc., si mescolano e si susseguono a quelli originari, di tipo oro-genitale, e influenzano le fantasie e le posizioni edipiche. Occorre tener presente che gli atteggiamenti nei riguardi degli oggetti e delle persone reali sono costantemente influenzati da quelli concernenti gli oggetti interni, e che ad es. il comportamento del bambino verso i genitori riflette una buona parte dei problemi e delle difficoltà ch’esso deve affrontare nei confronti degli oggetti anzidetti.
Credo, poi, superfluo rammentare come la rimozione investa molto rapidamente e radicalmente queste fantasie e questi conflitti, molti dei quali addirittura non affiorano neppure alla coscienza a meno che non vi siano portati nelle analisi, specie infantili. In quelle degli adulti, qualora siano spinte a sufficiente profondità, appaiono evidenti talune situazioni anche della prima infanzia in sintomi, fantasie, sogni, nell’«agire» e nella traslazione.
Le prime angosce e i primi sentimenti di colpa infantili sorgono rispettivamente in seguito ad introiezione di « oggetti cattivi » e a conflitti relativi alla situazione di ambivalenza del bambino nei riguardi della mammella specialmente, com’è ovvio, a causa delle sue tendenze orali aggressive. Appare sempre più evidente il precoce rendersi indipendente dell’angoscia infantile da cause esterne. Ferma restando la concezione freudiana dell’angoscia come dovuta primariamente a motivi traumatici, sta di fatto che il bambino sperimenta molto per tempo angosce relative a pericoli interni: attacchi da parte di oggetti cattivi, distruzione e scomparsa di oggetti per cui ha ambivalenza e verso cui alterna amore e aggressione, ecc. Nel bambino maschio, non v’è dubbio che la paura d’evirazione sia la situazione di angoscia più rilevante, ma essa appare molto più per tempo di quanto si riteneva, specie nella forma di fantasie di rappresaglia per impulsi orali-aggressivi contro il membro paterno; e non è la sola causa del tramonto del complesso di Edipo, sebbene ne sia la ragione più efficiente allorché questo complesso raggiunge il suo zenith, nell’età primamente indicata da Freud. Quanto alla bambina, abbiamo già detto che alle sue fantasie aggressive contro l’interno del corpo della madre corrispondono principalmente angosce relative all’integrità dei propri organi interni e dei contenuti in genere del proprio corpo, minacciati dalla « madre cattiva ». L’aspetto orale-aggressivo delle prime fantasie d’angoscia (paura d’essere divorati) è comune ai due sessi.
L’immagine della « madre fallica » – primamente descritta da Freud – va oggi precisata nel senso cui abbiamo già accennato, ossia nel senso che tanto il bambino che la bambina concepiscono nelle loro incoscie fantasie la figura materna come quella che possiede il membro – paterno – oralmente (poi vaginalmente) incorporato. Questa fantasia, che ritroviamo incessantemente nei sogni e nei miti, è dovuta alla proiezione sulla madre di desideri orali, captativi e incorporativi, del bambino, e alla primitiva «teoria» infantile secondo la quale l’unione sessuale è principalmente caratterizzata da tale incorporazione. Sarebbe troppo lungo, in questa sede, seguire questa importantissima imago infantile – che Jung chiamerebbe un archetipo – in tutti i suoi ulteriori sviluppi e significati. Ci limiteremo ad osservare che essa assume una parte saliente nella prima fase del complesso di Edipo secondo le nuove concezioni, poiché, ripetiamo, è principalmente contro questa immagine che vengono diretti gli impulsi della componente aggressiva del complesso, ed è da questa immagine che provengono le più inquietanti angosce.
Da quanto abbiamo detto circa la precoce interiorizzazione e autonomizzazione dell’angoscia risulta ribadito quanto avemmo già occasione di osservare sulla formazione del Super-Io. In sostanza, la base del Super-Io è il primo oggetto introiettato, ossia la mammella. Poi, vari strati ed aspetti del Super-Io si formano intorno a questo nucleo, includendo in primo luogo, e fondamentalmente, immagini inerenti alla madre. Alcune delle più profonde caratteristiche del Super-Io, contrariamente a quanto si pensava, appaiono, anche da analisi profonde di adulti, dovute ad introiezioni di elementi – per la massima parte del tutto irreali – materni anziché paterni. Data la fortissima aggressività infantile, è ovvio che tali elementi siano in prevalenza « cattivi », ossia irrazionalmente crudeli e persecutori. Ciò conferma naturalmente in pieno il tardivo punto di vista di Freud. esposto principalmente in «l’Io e l’Es » (1923), secondo cui la severità del Super-Io non è tanto un effetto della severità del genitore reale, quanto degli impulsi distruttivi, proiettati e poi internalizzati, del soggetto stesso. Soltanto, questo meccanismo ha il suo pieno valore in una epoca assai anteriore a quanto riteneva Freud.
Mano a mano che l’organizzazione dell’Io si fa più salda e che gli interessi e i « primati » uretrali, anali, ecc. cedono il posto al primato genitale – corrispondono nel maschio a ciò che Freud denominò in un secondo tempo la « fase fallica » – ci avviciniamo al «quadro» edipico delle classiche formulazioni freudiane. La dicotomia oggettuale si stabilizza nei segni dell’amore per il genitore di sesso opposto e nella rivalità per il genitore dello stesso sesso, con tutte le connotazioni e caratteristiche ben conosciute. Uno dei fattori più importanti che conducono al superamento finale del complesso edipico è la conciliazione dell’Io con l’oggetto totale internalizzato (genitore dello stesso sesso) col quale può avvenire una stabile identificazione. Tale conciliazione, dunque, non è dovuta soltanto alla paura di evirazione o di distruzione – paura la quale renderebbe appunto impossibile un’identificazione durevole – ma anche all’accettazione della figura rispettivamente paterna o materna come oggetto sostanzialmente buono, con le cui caratteristiche e direttive ci si può identificare, rimuovendo in pari tempo le tendenze incestuose e desessualizzando in genere gli interessi libidici. Il bambino maschio può così superare la paura d’evirazione e stabilire con sicurezza la propria posizione genitale. Quanto alla bambina, abbiamo visto che la sua posizione fallica è prevalentemente reattiva rispetto alla sua basilare, posizione ricettiva oro-vaginale, avente come oggetto il membro paterno. Tuttavia le vedute di Freud vanno confermate nel senso che l’internalizzazione di questo oggetto fondamentale non può disgiungersi facilmente, nell’inconscio, dal desiderio di avere un membro – desiderio che la natura non può appagare e che costituisce pertanto un motivo perchè il complesso edipico della femmina abbia durata più lunga e perchè alla formazione del Super-Io femminile concorrano elementi maschili in misura maggiore di quanto sembrerebbe a prima vista logico aspettarsi. Il fatto si è che le caratteristiche stesse della femminilità primaria rendono più accentuata l’importanza del « mondo interno » nella bambina che nel maschietto. Da ciò molte ben note caratteristiche della femminilità, quali il maggior bisogno di essere amata, e la maggiore dipendenza dal mondo esterno, come riassicurazioni rispetto alle maggiori incertezze interne; o, genericamente parlando, il protrarsi nella donna di certe caratteristiche psicologiche della vita infantile.
Dobbiamo di necessità omettere, in questa trattazione che va considerata poco più che come una introduzione al difficile argomento, molte osservazioni particolari che l’appesantirebbero; e omettiamo altresì, per ovvi motivi, tutto ciò che discende, da questa moderna revisione della più saliente situazione infantile, nei riguardi di molte questioni importantissime quali l’atteggiamento dei genitori nella primissima infanzia, le modifiche da arrecare alla psicopatologia analitica, ecc. Al riguardo esiste già, del resto, una vasta letteratura. Quello che più ci premeva era mostrare come oggidì non si possa più parlare di una « fase » edipica circoscritta, e come in sostanza il complesso di Edipo nei senso freudiano non sia che l’apice di una situazione di « Edipo totale » che contraddistingue il carattere incestuoso delle relazioni oggettuali infantili, dalla tenera infanzia fino al periodo di latenza.
Citerò ancora rapidamente, per finire, un piccolo episodio dalle mie esperienze analitiche. Un giorno, a Bombay, mi venne condotta dalla madre una bambina austriaca di cinque anni e mezzo, nata e cresciuta in ambiente europeo. Questa bambina – appresi soffriva di lieve intermittente balbuzie e di pavor nocturnus. Dichiarai che non analizzavo bambini, e che avrei potuto tutt’al più tentare un avvicinamento a scopo genericamente indicativo e diagnostico. Pregai la madre di lasciarmi solo con la piccola. Dopo averle mostrato vari oggetti che stavano sul mio tavolo, le diedi una matita e un blocco di carta, e la pregai di fare qualche disegno.
La bimba disegnò in primo luogo, in alto a sinistra, una specie di polipo provvisto di vari tentacoli, con due occhi neri molto grandi. A destra disegnò una casetta con due finestre, un balconcino e una porta, realizzando una specie di faccia senza espressione. Sul tetto della casa tracciò un grosso comignolo fumante. Sotto i due disegni ne esegui un terzo, quello di un libro chiuso, e vi scrisse sopra un nome femminile, Katie.
I suoi commenti furono: al disegno del polipo: « mi fa paura, non lo posso soffrire »; a quello della casa: « mio padre fuma sigari, non mi piace quando fuma; a quello del libro: « Katie è una mia amica; mi piace il nome Katie ».
Avevo osservato io stesso che la madre della bambina aveva grandi occhi neri e lo sguardo un po’ fisso. Le parole della piccola confermarono quando avevo direttamente percepito nel suo inconscio, ossia che le tre figure erano rispettivamente simboli della madre arcaica in due suoi differenti aspetti – uno più primitivo, l’altro meno – e di lei stessa.
La madre era raffigurata nel primo disegno come un essere primordiale, mostruoso e polifallico, captativo e divoratore; nel secondo era raffigurata una entità mista, prevalentemente femminile, ma provvista di un elemento fallico e paterno, non buono, introdotto oralmente. La bambina, nel suo inconscio, non riusciva a conciliarsi con nessuno di questi due oggetti, il primo risolutamente « cattivo », il secondo un po’ meno aggressivo, ma disturbatore e inquietante. La bambina stessa manifestava il proprio atteggiamento difensivo raffigurandosi come «un libro chiuso », e identificandosi superficialmente con un’altra bambina da lei ammirata.
La bimba aderiva quindi, benché avesse già quasi raggiunti i sei anni, a una fase abbastanza primitiva del complesso edipico, che non aveva affatto superato. E’ interessante notare che la situazione edipica, indicata in modo eloquente nei disegni citati, corrisponde assai bene ai concetti svolti in questa relazione: vi troviamo infatti la chiara indicazione degli elementi orali, dell’incorporazione, della fantasia relativa al membro paterno incorporato dalla madre, e persino di un arcaico Super-Io, nel polipo che guarda fisso, minaccioso e crudele.
Un ulteriore avvicinamento analitico avrebbe senza dubbio scoperto molti fattori eziologici di questa nevrosi infantile. Ma, come avevo già dichiarato, non potevo ne volevo occuparmene. Confermai alla madre che la bambina aveva bisogno di analisi e le consigliai di rivolgersi ad una collega londinese.
Da questa relazione, che è, ripetiamo, poco più che uno schema, si rileva la grandissima importanza anche euristica assunta dall’analisi infantile. La miglior comprensione che abbiamo oggi della vita psichica inconscia del bambino ci aiuta enormemente nelle nostre analisi di adulti. La revisione di una situazione fondamentale dell’infanzia quale il complesso edipico è un ulteriore passo innanzi in quello studio per cui la psiche, pur nei suoi più riposti meandri, non è più un libro chiuso – per riprendere l’immagine della piccola incompresa – ma un volume in cui giorno per giorno, senza timori e senza pregiudizi, la psicoanalisi legge la storia segreta dell’uomo.
EMILIO SERVADIO

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