Il guaritore ammalato non riesce a guarire se stesso
L’energia che da lui emana non può introflettersi e quindi non gli giova, così come il suo metodo taumaturgico non ha nulla a che vedere con la profilassi del medico
Ringraziamento di uno psicologo ai maghi lucani
Il Tempo 21 giugno 1957
Nel corso dell’indagine sui “maghi-guaritori” della Lucania, effettuata da una èquipe di studiosi italiani, ho ricavato un’impressione particolarmente viva da un colloquio con un notissimo mago, sulla montagna di V.
Il mago si chiama Giuseppe B., e vive – come spesso avviene – in una casetta isolata sopra un’altura che si raggiunge dal paese di V. in mezz’ora buona di cammino su un sentiero sassoso. La sua fama – mi dissero in paese – è grande: ma qui se ne parla poco perché “Zi’ Ceppe”, in qualche modo, “viene a sapere” quel che si dice di lui …
Assai più che dal paese, i clienti gli giungono da fuori – persino da Brindisi, da Taranto, da Napoli. I suoi “giorni” sono il martedì e il venerdì: e in tali giorni vanno a trovarlo anche quindici o venti persone. Riceve due, tre, quattro lettere al giorno – “persino dall’Inghilterra”.
(Da notare che il mago è analfabeta. Una figlia che ha fatto le elementari legge la posta e, se è il caso, risponde).
“Zi’ Ceppe” non chiede nulla. Chi gli dà cento lire, chi un po’ d’olio, chi qualche uovo. “Lo troverà a letto” – mi informa il medico condotto. “Da parecchio tempo soffre di epatite, con sub ittero e stenosi pilorica”.
“E come si cura?”.
“Certo non da sé. Io faccio quello che posso. Ma temo sia incurabile. Del resto, Lei lo vedrà”.
Mentre mi incammino su per il sentiero, e le case di V. diventano più piccole e lontane, non posso non pensare a questo guaritore ammalato, cui non è dato curare sé stesso. La cosa non mi fa sorridere. Vi ritrovo, anzi, una sorta di paradigma già noto, e mi sovviene che anche il taumaturgo di A. sempre in Lucania, ha le gambe piagate e cammina sulle stampelle. A prescindere dalla consistenza o meno del suo presunto dono, il mago-guaritore si profila, nell’ideologia popolare universale, come una sorgente centrifuga di potere. Ciò che proviene da lui non può introflettersi e pertanto non gli giova. A ben altro livello ritroviamo le semplici parole di Bernardette Soubirous condannata dal male, a proposito di Lourdes: “L’eau de la source n’est pas pour moi”.
Siamo arrivati – io e una gentile compagna di spedizione. La casetta è modestissima, con un orticello e un po’ di prato. Consiste in un paio di ambienti. Ci riceve sulla porta una giovane donna con un bellissimo bambino in braccio (la figlia e il nipotino del mago rispettivamente). Accanto al letto di “Zi’ Ceppe” una donna anziana e dall’aspetto dolce. È quella che – secondo informazioni già assunte- fu radicalmente guarita dal mago quando già disperava, e volle dedicarsi interamente a servirlo.
Sogni misteriosi
Il mago giace in un grande letto alto dal suolo. Ha alle spalle parecchie immagini sacre e fotografie di famiglia. Il viso è scavato e color vecchio avorio. L’angolo della stanza è scuro, e il volto sembra perciò ancor più chiaro. Due occhi vivi, penetranti, “autorevoli”, squadrano me e la mia compagna.
Facciamo subito amicizia. La signora che è con me parla a “Zi’ Ceppe” delle sue frequenti cefalee. Io gli espongo, con altrettanta franchezza, un problema familiare. Abbiamo infatti deciso che se ci presentiamo come clienti, e non come indagatori, non possiamo esporre se non cose vere. Il meno che si possa fare, se si parte senza preconcetti e per studiare fenomeni ancora mal noti, è adottare la regola del fair play: in questo caso, dare al mago “chance”.
“Zi’ Ceppe” non si fa pregare. Fa avvicinare la “cliente”, le chiede con insistenza il nome e la città d’origine. Poi le traccia sulla fronte alcuni misteriosi segni e mormora formule inaudibili socchiudendo gli occhi. Quindi la fissa intensamente e solleva la destra. “Nun te ne ‘ncarrecà”, dice sicuro, con la soddisfazione di chi ha dinnanzi a sé un lavoro finito.
Nei miei riguardi le cose si svolgono press’a poco allo stesso modo. Non trattandosi però di malattia, il mago vuole un indumento per mettersi “in rapporto” con la persona che gli ho menzionata. Anche a me dice poche parole che vogliono escludere il dubbio.
Abbiamo avuto entrambi la impressione che il mago di V.” sia in assoluta buona fede. Senza iattanza, ma con compiacimento di chi sa di poter fare cose belle e mirabili, “Zi’ Ceppe” ci racconta di sue predizioni puntualmente avveratesi, di una donna che i medici avevano dichiarato irrimediabilmente sterile e che fu guarita ed ebbe numerosa prole … L’uomo è sincero, e mentre scrivo rivedo ancora quel viso quasi cereo nell’ombra, quegli occhi vivi, quell’aria di chi sa e può, tanto più impressionanti in quanto il mago lotta silenziosamente contro la malattia che lo distrugge.
Ai fini della nostra ricerca, si pone ormai in tutta la sua vastità, il problema del “mago delle campagne”, tanto diverso da quello dei “guaritori cittadini, ancorché alcuni elementi siano comuni ad entrambi”.
Nelle campagne – a quanto mi sembra di capire dalle esperienze fatte in Lucania – il cliente va dal guaritore ogniqualvolta ritiene che ciò che gli accade, o che accade ad un suo caro, appartiene ad un ordine di fenomeni rispetto ai quali, la persona che “sta fuori” – fosse anche il più grande medico vivente – non comprende e non può nulla. Questi fenomeni vanno dal malocchio alla fattura, dal mal di capo di origine sospetta alla sterilità femminile o alla mancanza di latte, dallo spostamento inesplicabile di oggetti in casa al deperimento del bestiame.
Qualche volta, i confini si allargano, e c’è chi invoca l’intervento del mago per una nefrite acuta o per una osteomielite. Ma il mago, in tali casi manda dal medico, o si dichiara impotente. “È roba di Dio” – dice – “e non degli uomini. Io che ve pozzo fa?”.
Ma il medico – e tanto più quanto più è abile – appare al contadino lucano come un essere quasi incomprensibile, mentre il linguaggio e le tecniche del mago non gli destano alcuna sorpresa. Proprio il contrario di quel che proverebbe un cittadino al quale si dicesse, con certezza, che la medicina cui è abituato è surclassata da un taumaturgo infallibile!
Vincere il male
Insomma: il mago è, entro certi limiti, il medico delle campagne, e il medico gli appare come a noi il mago.
Ma se così è, risulta sempre più evidente che dovremo rivedere ab imis molte nostre concezioni, quando ci metteremo ad elaborare il vasto materiale della nostra spedizione in Lucania, per farne oggetto di pubblicazione. Lo psicologo ed il medico non potranno non riferirsi continuamente a un quadro ideologico nel quale lo stesso concetto di malattia è diverso dal nostro: nel quale lo stesso strumento diagnostico va “tarato” e modificato: nel quale certe strane cose debbono venir giudicate non già secondo i nostri abituali criteri di ciò che è normale e di ciò che è patologico o psicosomatico o paranormale, ma secondo quelli di chi sa che una data “orazione” sconfigge il male, un “male” che non coincide se non in parte con quello della nostra medicina universitaria.
Ringrazio l’umile gente di Lucania – i maghi, i loro clienti e coloro che hanno voluto intrattenersi con me sulle loro intime esperienze – per avermi molto insegnato.
Emilio Servadio