I prodotti dello spirito sono in rialzo e i ladri trafugano le opere d’arte
Anche questi « colpi » clamorosi dimostrano l’esistenza di un rinnovato straordinario interesse per ciò che può essere solo oggetto di ammirazione
Il Tempo 02/10/1961
Il recentissimo furto di quadri e di oggetti d’arte nella villa del barone Ortolani di Bordonaro, alla periferia di Palermo, ha ulteriormente alllungato la già cospicua serie di « colpi » dello stesso genere, effettuati nel 1961. Tra i più clamorosi figurano, in Europa, quello del luglio scorso a Saint-Tropez (57 dipinti, fra i quali numerose tele di Utrillo e di Matisse); quello ai danni del museo di Aix-en-Provence (otto quadri di Cézanne), compiuto in agosto; e quello – penultimo della serie a tutt’oggi – che ha avuto luogo poche settimane fa a Londra, con l’asportazione di un solo inestimabile capolavoro: il Wellington di Goya, ornamento della National Gallery. Press’a poco nello stesso periodo, analoghi furti per valori ingentissimi sono stati effettuati a New York. Secondo i calcoli approssimativi di alcuni esperti, la cifra globale degli oggetti rubati nel solo 1961 in Europa si aggira sui 12 miliardi. Gli studiosi di criminologia rilevano, sbalorditi, che i furti di oggetti d’arte erano un tempo assai rari, e che essi hanno ultimamente raggiunto frequenze e « punte » senza precedenti nella storia.
Per molti anni, in verità, il furto famoso della Gioconda, sottratta al Louvre nel 1911 e ricuperata più di due anni dopo, era rimasto un caso pressoché unico negli annali del crimine; e ci si domanda ancora se il modesto imbianchino Peruggia, che ne fu l’autore, dovesse classificarsi proprio fra i ladri, o non piuttosto fra gli psicopatici. Un vecchio libro del secolo scorso s’intitola Trentasei maniere di rubare, ed è ancor oggi una guida preziosa per i ladri, e temibilissima per chi ha qualcosa da custodire: ma fra le trentasei varietà di furto, quella ai musei o alle collezioni d’arte non figura. Neppure in un recente dizionario enciclopedico francese, che elenca 24 generi diversi di furto, si può trovare alcun ragguaglio sulla storia o sulla tecnica di un « colpo » tipo National Gallery, o SaintTropez.
Vertici altissimi
Le ipotesi sulle anzidette imprese sono state parecchie. C’è chi ha ricordato che non molto prima del furto della Gioconda, si era costituita negli Stati Uniti una specie di associazione a delinquere, con il preciso proposito di sottrarre opere di pittura e scultura ai musei d’Europa, e rivenderle ai ricchissimi « re » americani del petrolio, del carbone o dell’acciaio; e si è supposto che analogamente, un simile « sindacato » si sia messo quest’anno all’opera, finanziato e istigato da qualche latifondista o petroliere della California o del Texas. Altri ha formulato l’ipotesi che sottraendo oggetti d’arte quasi sempre invendibili, perché troppo noti, i ladri mirino a ricattare i derubati – siano essi musei o privati cittadini – offrendo loro, in transazioni segrete, la restituzione delle preziose tele o delle insostituibili suppellettili dietro pagamento di somme cospicue, ma sempre molto inferiori al loro valore. Assai minor credito ha l’ipotesi – per la verità piuttosto romanzesca – secondo la quale potrebbe trattarsi di una sola banda, guidata da un’unica mente direttiva: quella di un monomaniaco, il quale raccoglierebbe e accumulerebbe tesori rubati in un suo privatissimo e inaccessibile museo.
Se ci sovviene la memoria di antiche, giovanili letture, la ipotesi in questione non fa che ricalcare un romanzo di Maurice Leblanc, della serie famosa che ebbe come protagonista il non dimenticato Arsenio Lupin: La guglia cava. Leblanc immagina che il « ladro gentiluomo » avesse sottratto tutta una serie di meraviglie dai principali musei d’Europa, e le avesse disposte in bell’ordine in un appartamento, scavato – addirittura – dentro una roccia a picco sul mare. Più raffinato dei ladri attuali, Lupin aveva inoltre provveduto a sostituire le singole tele o gli adorabili bibelots con delle magnifiche imitazioni che gli esperti ed il pubblico seguitavano a prendere per originali…
A parte l’ultima, non può escludere che le anzidette ipotesi, o altre dello stesso tenore, abbiano una consistenza: a convalidarle, o a smentirle, verranno, prima o poi, i fatti. Ma nessuna ipotesi ha finora cercato di chiarire perché i furti, le ricettazioni, le bande specializzate o gli eventuali ricatti esistano ed operino, oggi più che in qualsiasi epoca, avendo di mira bellissimi quadri o incantevoli porcellane cinesi. L’accento, in altre parole, sembra cadere, nei discorsi e nelle ipotesi, assai sulle possibili modalità dei furti, che sul loro singolare orientamento.
A nostro avviso, esiste, nell’opinione comune, una « borsa del furto », così come esiste una Borsa dei titoli azionari. Quali che siano l’organiziozione, o la tecnica, o gli scopi finali dei furti di cui sono oggi piene le cronache, ci sembra evidente che nella « borsa del furto », le opere d’arte sono in fortissimo rialzo.
Ma a guardar bene, il fenomeno va molto al di là dei « colpi » effettuati sulla Costa Azzurra, o nel cuore di Londra. Chiunque segua, sia pure con occhio distratto, i resoconti delle mostre d’arte, delle vendite all’asta, o di quelle che pittori e scultori effettuano per conto proprio, deve ammettere che il numero delle contrattazioni, e i prezzi raggiunti da singoli « pezzi », hanno toccato vertici altissimi, i quali a loro volta, di giorno in giorno e di mese in mese, vengono superati. Alla prossima asta della Galleria Parke Bernet di New York, l’Aristotile di Rembrandt « parte » da un minimo di un milione dollari (circa 620 milioni lire); certi prezzi d’acquisto all’ attuale Mostra internazionale dell’antiquariato a Firenze – apparentemente inaccessibili – sono stati pagati senza batter ciglio sin dai primi giorni; un pittore contemporaneo dei più famosi e discussi, ha detto scherzosamente tempo fa che non ha quadri propri alle pareti della sua abitazione, perché « non se li può permettere » …
Molti visitatori
Che cosa significa tutto ciò?
Significa che in quest’epoca, contrassegnata – molti dicono – dal «dilagante materialismo», dal « decadimento di tutti i valori », dalla « sfiducia in tutto ciò che non appaga la bramosia del godimento immediato », e via discorrendo, esiste una straordinaria convergenza d’interesse verso i prodotti più elevati dello spirito, verso cose che non si possono mangiare o bere o in altro modo grossolanamente sfruttare, ma soltanto ammirare; verso oggetti che non servono – non essendo né imbarcazioni di lusso né aerei privati – ad effettuare clamorose crociere o sofisticati week-ends, ma solo ad appagare alcune delle esigenze più antiche, nobili e insopprimibili dell’animo umano.
Beninteso, questo straordinario interesse si esprime in mille forme: dall’acquisto discreto, dopo molte esitazioni, di un quadretto da diecimila lire da parte del modesto impiegato che sacrifica a tal fine una parte non disprezzabile dello stipendio, sino a quello, che non mancherà certo, dell’Aristotile di Rembrandt da parte di qualche museo o di qualche magnate della finanza o dell’industria; dal numero sempre crescente degli anonimi visitatori di gallerie e mostre e collezioni a quello, anch’esso in continuo aumento, di chi acquista rarissimi « pezzi » alle aste internazionali; ed infine, dall’interesse onesto e legalitario sino a quello che promuove le effrazioni audaci e i furti sensazionali.
Ma se si riesce a prescindere dal suo contenuto, perseguibile in termini di Interpol e di leggi penali, occorre ammettere che l’attuale notevole accumularsi di furti di splendidi oggetti d’arte è un ottimo segno: è la prova che tanto i singoli competenti quanto le folle fanno convergere verso quegli oggetti uno spasmodico interesse; è la dimostrazione che in quest’epoca « materialistica » le opere d’arte costituiscono ancora un saldo rifugio da parte di chi afferma, dottamente o ingenuamente, nel bene o nel male, l’invincibile spiritualità dell’uomo.
Emilio Servadio