Freud e l’ipnosi
Comunicazione svolta al 2° Congresso Nazionale dell’Associazione Medica per lo Studio dell’Ipnosi (Torino, 2,0 Ottobre 1969).
RASSEGNA DI IPNOSI E MEDICINA PSICOSOMATICA
Vol. 6 – N 13 – 1970
Supplemento a MINERVA MEDICA
Vol. 61 N. 84 –
(20 Ottobre 1970)
E’ noto che per molto tempo, non vi sono stati rapporti troppo cordiali fra gli psicoanalisti e coloro che, con accentuazione negli ultimi 15 o 20 anni, hanno seguitato a occuparsi sistematicamente di ipnosi e ad applicarla in vari settori della pratica medica, psicologica c psichiatrica. E’ altresì noto che all’origine di questa situazione di disaccordo e di disconoscimento reciproco vi è un fatto storico: il fatto cioè che Freud, dopo un periodo nel quale si occupò a fondo di ipnosi, finì con l’abbandonarla, e con l’inaugurare quelle tecniche le quali, variamente perfezionate, hanno costituito l’essenza della psicoterapia analitica, nonché la piattaforma clinica su cui è stata edificata la psicoanalisi.
Credo possa essere interessante per gli studiosi appartenenti sia all’uno, sia all’altro campo, vedere più chiaramente e da vicino in quale clima, e per quali motivi, si determinò il predetto, fatale abbandono. E’ questo un punto sul quale, strano a dirsi, non si è troppo soffermata l’attenzione di coloro che più avrebbero dovuto interessarsi alla questione. I cultori di ipnosi si limitano in genere a deprecare il fatto; gli psicoanalisti hanno spesso accettato, senza discuterla, la nozione secondo cui Freud avrebbe tralasciato di occuparsi di ipnosi perchè questa non gli aveva dato i risultati sperati e perché, anziché esplicitare i conflitti che stavano all’origine delle nevrosi, ne obliterava il manifestarsi, con risultati, alla fine, inutili o dannosi.
Vediamo in primo luogo quello che dice lo stesso Freud, riservandoci per ora i commenti:
« Ho abbandonato la tecnica suggestiva e con essa l’ipnosi – scrive Freud – così presto nella mia pratica, perché disperavo di poter far sì che la suggestione fosse abbastanza potente e duratura per effettuare cure permanenti. In tutti i casi gravi, io vidi che le suggestioni che erano state impartite perdevano di efficacia; e che quindi il disturbo, o qualche suo sostituto, faceva ritorno ».
« Oltre al precedente, io ho un altro rimprovero contro il metodo, e cioè, che esso ci impedisce di vedere profondamente l’interreazione delle energie psichiche; per esempio, non ci permette di riconoscere la resistenza con cui il paziente si aggrappa alla sua malattia arrivando così a combattere contro la sua stessa guarigione ».
E in un altro punto: « Apparve abbastanza presto che le speranze terapeutiche che erano state riposte nel trattamento catartico in stato ipnotico erano andate notevolmente deluse. Era vero che la scomparsa dei sintomi andava di pari passo con la catarsi, ma il successo totale si rivelò essere del tutto dipendente dal rapporto del paziente col medico, e quindi non differire dall’effetto della suggestione. Se il rapporto stesso era disturbato, tutti i sintomi riapparivano, come se non fossero stati mai esplicitati. In aggiunta a questo, il fatto che poche persone potessero essere messe in un profondo stato ipnotico portava con sé una limitazione molto considerevole, dal punto di vista medico, dell’applicabilità del procedimento catartico. Per queste ragioni, io ho deciso di abbandonare l’uso dell’ipnosi ».
Mi asterrò per ora da altre citazioni da Freud per non appesantire questa comunicazione. In riassunto, si potrebbe dire che Freud abbandonò l’ipnosi adducendo: la transitorietà dei risultati terapeutici; la laboriosità dei procedimenti ipnotici; il fatto clic le applicazioni terapeutiche dell’ipnosi erano limitate. Milton W. Kline distingue opportunamente due ordini di motivazioni – obiettive e subiettive – determinanti il comportamento di Freud. Fra le prime, oltre a quelle citate, egli indica il carattere di apparente «esperimento di laboratorio» di un trattamento ipnotico: carattere sgradevole, secondo Freud, ai pazienti. Assai più significative sembrano le motivazioni soggettive, fra cui alcuni « fallimenti » di ordine tecnico e pratico da parte dello stesso Freud, il suo sempre maggiore impegnarsi nello sviluppo dei procedimenti analitici, ecc. Ma di particolare momento ci sembra un fattore al quale gli studiosi dell’argomento non appaiono aver dato sufficiente rilievo: e cioè l’individuazione, da parte di Freud, di un « misterioso elemento » (così egli si esprime) nell’ipnosi, di natura sessuale, che in qualche sua manifestazione più aperta non mancò di turbarlo. Egli stesso riferisce, nella sua autobiografia, che un giorno una paziente, uscendo dallo stato ipnotico, gli gettò le braccia al collo.
Ed ecco il commento di Freud: «Io ero abbastanza modesto per non attribuire l’evento alle mie attrattive personali, ed ebbi l’impressione di avere ora afferrato la natura dell’elemento misterioso che era all’opera dietro l’ipnotismo. Al fine di escluderlo … era necessario abbandonare l’ipnosi ».
Può sembrare a tutta prima assai strano che proprio Freud, cioè l’uomo che più risolutamente di chiunque riconobbe l’esistenza e l’importanza delle energie sessuali nel funzionamento dell’apparato psichico, e in tutto il comportamento umano, fosse rimasto scosso dall’accennata « scoperta », e la ritenesse, come abbiamo visto, già di per se tale da indurlo ad abbandonare la situazione che l’aveva suscitata. Ma per chi abbia studiato più da vicino la personalità di Freud, la cosa non risulta affatto sorprendente. Colui che a suo tempo tanto scandalizzò la cultura ufficiale e la borghesia benpensante per la franchezza con cui aveva descritto e sottolineato i fenomeni della sessualità era, è bene ricordarlo, persona estremamente austera e morigerata, tanto che qualcuno è giunto a chiedersi se l’atteggiamento spregiudicato e audace nei riguardi della sessualità, manifestato in tanti suoi scritti, non fosse, almeno in parte, una « formazione reattiva »! Ma approfondendo un poco questa disamina, si può rilevare che tutto l’atteggiamento di Freud nei riguardi del mondo tenebroso e delle immense forze sotterranee, da lui individuati nel suo straordinario lavoro di scandaglio entro le latèbre della personalità umana, era sistematicamente in favore della razionalità contro l’irrazionale, della spiegazione logica degli enigmi, della chiarezza scientifica contro tutto ciò che appariva tortuoso ed oscuro. E’ abbastanza noto il fatto che dove Freud non riusciva, malgrado la sua incredibile penetrazione, a ricondurre un evento o un fenomeno sotto i segni della logica e della ragione, tendeva ad abbandonare il campo ed il compito. Perciò non si occupò quasi mai di musica, e perciò i suoi – pur tanto importanti – contributi all’estetica hanno un carattere così spiccatamente « contenutistico ». A mio avviso, dunque, la scontentezza di Freud nei riguardi dei metodi ipnotici fu dovuta, oltre alle motivazioni che abbiamo già menzionate, anche al fatto che l’ipnosi stessa gli appariva, alla fin fine, permeata di elementi irrazionali, pressoché magici, non razionalmente riducibili, scarsamente teorizzabili, per cui – così egli dovette sentire, se non propriamente pensare – era meglio relegarle fra tutto ciò che sapeva ancora, poco o tanto, di « occulto », in nome e in favore del metodo scientifico, e di una chiara e precisa razionalità.
Questo aspetto « soggettivo » delle motivazioni che indussero Freud, al di là di quanto egli stesso poteva coscientemente apprezzare, ad abbandonare l’ipnosi, ci sembrano andare molto oltre quelle postulate da Kline, e poter pertanto contribuire a chiarire analoghi atteggiamenti da parte di studiosi che, pur non concordando con le teorie di Freud, e pur essendo magari avversari della psicoanalisi, dividevano pur tuttavia col grande scienziato viennese l’impostazione fondamentale – illuministica, logica, razionalistica – del pensiero.
Bisogna ammettere peraltro, serenamente e obiettivamente, che l’ipnosi – così come era praticata ai tempi di Freud – presentava bene spesso aspetti tali da suscitare reazioni di ripulsa anche da parte di chi, per ipotesi, avesse avuto una mentalità anche assai meno razionalistica di lui. Se si leggono i testi e le descrizioni di allora, è giocoforza ammettere che anche i maggiori assertori e cultori dell’ipnosi capivano, in sostanza, assai poco di quello che facevano, per cui sotto certi aspetti un’esperienza ipnosuggestiva poteva veramente apparire, agli occhi di molti, come qualche cosa di assai più vicino a un cerimoniale magico che non a un esperimento scientifico o terapeutico. La riprova di questa affermazione tutti, in fondo, la conosciamo: è la facilità con cui l’ipnosi divenne, in breve volger di anni, soggetto di romanzi e novelle sensazionali, divulgata in certe pubblicazioni popolari proprio come se si trattasse di uno strumento atto a conferire poteri occulti e super-normali in chi lo possedeva e – infine – «strumentalizzata» a fini di lucro in innumerevoli manifestazioni da palcoscenico o da fiera. Tutto ciò è incontrovertibile, e da questo punto di vista, l’atteggiamento – tante volte denunciato e deprecato – degli psicoanalisti non ha differito poi molto da quello dei tantissimi studiosi che nei primi decenni di questo Novecento, hanno, al pari di essi, volto le spalle all’ipnosi, relegandola nel dimenticatoio. Ciò mi è sembrato opportuno rilevare, aflinché non si persista pedissequamente nella ben nota formula, secondo la quale gli psicoanalisti avrebbero, ostinatamente, seguitato a non volersi occupare di ipnosi solo in quanto erano pigramente e ottusamente ligi a ciò che aveva fatto il loro maestro e capofila. Ciò è stato vero in parte, ma solo in parte. Per il resto, essi hanno semplicemente seguito la corrente. Ma da qualche tempo a oggi, un numero crescente di analisti ha mostrato notevole interesse per l’ipnosi, e non sono pochi gli studi ed i libri in argomento scritti, con vantaggio di tutti, da Autori di chiaro indirizzo psicoanalitico.
In un mio scritto di alcuni anni fa, io ho cercato di dare una interpretazione globale del fenomeno, a tutti noto ma non per questo meno curioso e per certi rispetti inquietante, degli « alti e bassi », ossia del favore e rispettivamente del disfavore, che prima il cosiddetto « magnetismo animale », e poi l’ipnosi, hanno subito in vari momenti della loro storia. Se si può ammettere che molti studiosi da Freud in poi, e Freud stesso in modo particolare, abbiano assunto nei riguardi dell’ipnosi un atteggiamento, come si diceva, « iper-razionalistico », non si può negare, per chi consideri le cose dal punto di vista della psicologia interpretativa e dinamica, che taluni aspetti e caratteri dell’ipnosi, anche al di là di quelli più superficiali già indicati, fossero tali da provocare in molte persone che se ne occupavano, e a lungo andare, « reazioni di difesa ». Scrivevo allora: « L’ipnosi dimostra che un individuo in perfetta salute fisica e mentale può diventare lo strumento passivo di forze psicologiche che lo dominano, e che egli non è in grado di dominare; essa mostra che i comandi ipnotici possono provvisoriamente abolire certe distinzioni essenziali, per esempio la differenza fra irrealtà e realtà, o tra il vero e il falso, che costituiscono le basi di tutta la nostra vita, e della nostra sicurezza psichica. Per suo mezzo, l’uomo può essere messo improvvisamente in faccia a ciò che esiste in lui di interiore, e, al tempo stesso, di potente e di irrazionale. Dinnanzi a tali rivelazioni, la reazione del nostro apparato psichico, a scadenza più o meno breve, è quella di mobilitare dei “meccanismi di difesa”, come c’insegna la psicoanalisi. Ogni psicoanalista sa che dinnanzi a contenuti psichici più o meno allarmanti, noi ci difendiamo automaticamente e inconsciamente in diversi modi: dimenticando, ricusando, minimizzando, isolando, ponendo in ridicolo, e via discorrendo. Di tutto questo ci si è serviti nei riguardi dell’ipnosi. In altre parole, l’ipnosi, se la si vuole limitare e circoscrivere scientificamente, contiene degli elementi che, prima o poi, tendono a mettere l’Io dinnanzi ad aspetti inquietanti e irrazionali della personalità ».
Non saprei modificare gran che a quanto ho scritto, e vorrei qui confermarlo, non già per « difendere » ciò che Freud e gli psicoanalisti hanno fatto, o non fatto, nei riguardi dell’ipnosi, bensì per inquadrare meglio quel che è avvenuto, alla luce di una considerazione obiettiva, storicistica, psicodinamica degli accadimenti.
Non è certo mio particolare compito, in questa sede, ricordare per quali e quanti versi l’ipnosi odierna differisca, per gli sviluppi teoretici e cimici che ha avuto, da quello che era ai tempi di Freud; qualche cenno potrà bastare, e in base a esso vedremo di trarre qualche conclusione.
Non vi è oggi dubbio, per esempio, che uno stato di ipnosi profonda non sia essenziale per una psicoterapia scientifica; che in molti casi le resistenze denunciate da Freud possano essere studiate e risolte, anziché intensificate, dall’ipnosi; che questa consenta di studiare molto da vicino i processi psichici e i loro correlati emozionali e psicobiologici; che possa essere utilizzata in parecchi tipi di psicoterapia, da quelli a orientamento psicoanalitico fino alla psicoterapia non direttiva o al semplice sostegno dell’Io. Come scrisse alcuni anni fa H. Rosen: « L’ipnosi non è di per se un metodo di trattamento, ma una condizione nella quale possono essere utilizzati molti e vari procedimenti terapeutici ». «Funzionalmente – scrive il già citato Kline – essa è una condizione che implica cambiamenti nei processi mentali, tali da permettere la manipolazione di molte variabili di fondo del comportamento umano, quali la motivazione, la percezione, e tutta una serie di reazioni ideative ed emozionali ».
Ma non vi è dubbio che la situazione « a due » dell’ipnosi implichi rapporti interpersonali – o, come diremmo in termini psicoanalitici, di transfert e di contro-transfert – tali da richiedere da parte del terapeuta non soltanto una non comune abilità tecnica, ma anche una sottile comprensione di quanto si può svolgere su piani profondi in una difficile e complessa relazione interumana. A questo riguardo, ho l’impressione che l’integrazione, da parte dei cultori di ipnosi, di quanto la psicoanalisi e tutta la psicologia dinamica hanno contribuito a fare dell’ipnosi ciò che essa è attualmente, sia ben lungi dall’essere completa. Molti studiosi hanno chiaramente riconosciuto, è vero, l’ampiezza e la portata degli anzidetti contributi. Scrive Kline: « I concetti contemporanei dell’ipnosi debbono molto e per molti rispetti ai ritrovati della psicologia dinamica, e particolarmente delta psicoanalisi, quali essi appaiono in una funzione più centrale nella moderna psicoterapia e nella medicina ». E ancora: « Nell’area della psicoterapia il recente uso dell’ipnosi è avvenuto in un sistema di riferimento reso possibile solo da un più significativo e più chiaro riconoscimento dei problemi dinamici incontrati nel trattamento dei disturbi emozionali e psichici ». E in un altro punto ancora, assai acutamente: « Lo sviluppo, a opera di Freud, di una psicologia a orientamento motivazionale, e l’interdipendenza della motivazione con la funzione intrapsichica, hanno gettato più luce sulla natura e sul ruolo dell’ipnosi di quanto egli stesso abbia fatto nel suo primo periodo di lavoro diretto con l’ipnosi ».
A mio avviso, e nei limiti della mia non vasta esperienza con l’ipnosi, questa, applicata in psicoterapia, non può e non deve prescindere dal sistema di riferimento entro il quale, secondo gli insegnamenti che Freud ci ha dato, noi oggi possiamo considerare i disturbi dell’apparato psichico e del comportamento umano quali aspetti del funzionamento globale dello stesso apparato psichico, anziché problemi a se stanti di psicopatologia. E d’altra parte, è probabile che ulteriori ricerche sull’ipnosi ne mostrino tutta l’importanza non solo quale strumento terapeutico, ma anche per una migliore e più profonda ricerca e comprensione delle condizioni fondamentali che presiedono a tutto il funzionamento dell’apparato psichico umano.
Possiamo dunque, io credo, trarre da quanto precede buoni auspici; il futuro dell’ipnosi sta in gran parte, a mio parere, in una più risoluta integrazione degli apporti della psicoanalisi da parte di coloro che studiano i fenomeni ipnotici e che si valgono della tecnica dell’ipnosi a fini terapeutici e di ricerca. D’altra parte, io sono convinto che, come ho già accennato, un numero sempre maggiore di psicoanalisti vorrà all’occorrenza avvalersi delle tecniche ipnotiche non già per sostituire quelle psicoanalitiche, ma per inserirle nei loro abituali schemi di riferimento, come già alcuni di essi hanno fatto, per esempio, nei riguardi del réve eveillé o degli psicofarmaci. Sono quindi pienamente persuaso che in un avvenire non lontano vi sarà tra le due vedute, i due approcci, le due tecniche, non già il residuato di sterili contrasti, bensì una piena e feconda collaborazione.
Emilio Servadio