L’educazione sessuale dei giovani
Conferenza tenuta al Lions Club di Roma-Lido· il 14 aprile 1966
Argomenti n°5 Maggio 1966
Alcuni episodi recenti, di cui tutti abbiamo memoria, hanno richiamato l’attenzione di innumerevoli italiani sul problema dell’educazione sessuale dei giovani.
Avrete forse notato che al termine della vicenda, conclusasi con la assoluzione di tre studenti milanesi, è rimasto in molti un senso più o meno pronunciato d’incertezza e d’insoddisfazione; e ciò, sia che la conclusione dell’episodio andasse incontro alle proprie stesse speranze, sia in caso contrario. Un giovane studioso, dopo aver letto in mia presenza alcuni articoli conclusivi sulla faccenda della Zanzara, alzò gli occhi dal giornale e chiese, più a se stesso che a me: «E ora, che cosa si fa?».
Tale insoddisfazione, tale incertezza, sono dovute alle gravi contraddizioni e confusioni che tuttora regnano in questa delicata materia.
Chi oggi chieda ad un adulto italiano più o meno colto se a suo avviso sia opportuno dare ai fanciulli e ai giovani urla educazione sessuale, avrà una risposta, nel 95 per cento dei casi, nettamente affermativa; e ciò tanto se l’interrogato sia uno specialista di simili problemi, quanto se sia un insegnante, un sacerdote, un filosofo, un professionista, un tecnico o semplicemente un genitore.
Ma all’atto pratico, tutto cambia e si confonde.
Lo stesso adulto perfettamente disposto – a suo dire – a che venga data ai ragazzi un’educazione sessuale, può sentirsi imbarazzatissimo se il proprio figlio di otto o nove anni gli pone delle domande precise al riguardo; ed è classico il quadretto del genitore che cerca dl apparire tranquillo e disinvolto mentre parla al figlioletto di certi argomenti, e che in pari tempo arrossisce, balbetta, guarda da un’altra parte, picchia nervosamente con la mano sul tavolo, o non riesce ad accendere la sigaretta. I ragazzi, naturalmente, avvertono assai più simili emozioni che non le nozioni trasmesse; e dire loro che i rapporti sessuali sono una cosa bella e naturale mentre ci si comporta in quel modo, equivale ad esaltare il nuoto sportivo mostrando, al tempo stesso, paura di·· fare il bagno.
Ciò, quando non avvenga il solito palleggio di responsabilità. « I padri » – scrisse uno studioso inglese parecchi anni or sono – «esprimono spesso l’opinione che educare sessualmente i figli sia un dovere della madre; le madri dicono che istruire i ragazzi è compito dell’insegnante; e i maestri ritengono che ciò sia di pertinenza di un docente specializzato che venga da fuori; cosicché, in fin dei conti, ognuno è convinto della necessità di tale educazione, e ognuno vuole scaricare la responsabilità su qualcun altro ».
Tempo addietro, nel corso di una discussione sull’educazione sessuale, qualcuno dichiarò serio serio che essa doveva essere affidata « ai neuropsichiatri »… Per quel tale, evidentemente, le questioni sessuali erano non meno allarmanti e pericolose delle malattie mentali; erano, probabilmente e letteralmente, « cose da pazzi »…
Quando poi ci si decide a fare qualcosa di serio e di sistematico, ci si trova spesso dinanzi a modalità e schemi che farebbero semplicemente sbalordire se applicati ad altri settori dell’inclinazione o dell’apprendimento. Non di rado si adotta un piglio sussiegoso e solenne, che è esponente anche esso, in buona parte, dei nostri allarmi e delle nostre difese. Nessuno credo – farebbe il seguente discorso preliminare ad un ragazzino desideroso di sapere qualcosa sulla preparazione dei cibi e sull’alimentazione: « La cucina, mio caro, è una cosa bella e per così dire sacra. Scoperchiare le pentole, preparare condimenti, gustare una pietanza, sono atti da compiere con estrema riservatezza e con grande serietà, in modo da far sì che i supremi compiti della vita siano rispettati. Ricordati però che vi sono cose, in questi riti, che non si possono menzionare in pubblico. Parole come fornello, tegame, salsa, bollire o mestolo, non si debbono pronunciare se non nella più stretta intimità »… E via discorrendo!
Non meno inadeguato, nei confronti di un bambino o di un ragazzo sollecitato da inappagate curiosità e da fortissimi istinti vitali, è disumanizzare l’argomento parlando dell’impollinazione dei fiori, delle spensierate farfalle, o delle coppie di uccellini che fanno il nido. Quanto alla presentazione più o meno scientifica, medico-biologica, degli aspetti della vita sessuale, è chiaro che essa può andar bene solo ad una certa età, e solo parzialmente. Ad un giovane che aspira a sposarsi interessa fino ad un certo punto una storia dell’istituto matrimoniale attraverso i secoli, o la lettura di alcuni articoli del Codice Civile!
Che cosa vogliamo venire a dire con tutto ciò? Semplicemente questo: che nel nostro tipo di civiltà, e particolarmente nel nostro Paese, le questioni sessuali sono state sottoposte nei secoli ad una tale serie d’interdizioni, di rèmore e di sentimenti di colpa, che anche la persona più volenterosa, più preparata e apparentemente più disinibita può esserne, poco o tanto, invischiata, e non trovarsi effettivamente libera nei suoi pensieri e nelle sue azioni. Da ciò una lunga serie di storture di costume tuttora largamente in vigore; da ciò gli innumerevoli casi in cui non ci si comporta conformemente a quanto si asserisce o si predica; da ciò gli anzidetti divari e conflitti nella educazione sessuale. Come è possibile essere sinceri e spregiudicati riguardo a fenomeni, processi e comportamenti che ancora, per moltissime persone, appaiono contemporaneamente seri e ridicoli, desiderabili e degradanti, affascinanti e detestabili? La realtà è purtroppo questa: che i più pensano e riflettono in un certo modo, nei riguardi delle questioni sessuali – ma sentono e si comportano in modi notevolmente diversi.
Qualcuno arriva ad esprimere in pubblico il proprio rimpianto di un epoca in cui era di regola – assai più che non oggi – raccontare a bambini ogni sorta di fandonie. Ne abbiamo avuto un esempio clamoroso nel corso del recente processo ai liceali milanesi, e ne trovo alcuni altri nelle mie cartelle. Valga, per tutti, quello di una lettera firmata e pubblicata da un grande giornale dell’alta Italia, in cui è contenuta la seguente frase: « Io benedico mia madre per avermi mentito. La sua menzogna ha prolungato il tempo sereno della mia innocenza »: laddove è implicito il concetto di «male» connaturato di per sé alla natura e alla stessa conoscenza dei fenomeni sessuali, per cui l’ignoranza, viene senz’altro equiparata all’innocenza!
Da alcune inchieste giornalistiche effettuate in Italia in tempi assai recenti, appare sin troppo chiara la cospicua « ineducazione sessuale » di larghissimi strati della popolazione – per cui si può ben dire che non si sa chi sia meno « educato » sessualmente: se l’uomo che tuttora considera la donna come oggetto di conquista, che le chiede la famosa « prova d’amore » (salvo poi a disprezzarla per averla concessa), che la vilipende nel momento stesso in cui professa di valutarla, che è capace di uccidere – come si suol dire ancora oggi – « per motivi d’onore »; o se la donna adagiata nell’ignoranza, nella rassegnazione, nell’accettazione di sperequazioni millenarie, quasi sempre incerta di fronte ai « rischi » che corre nella sua· «partita » ineguale con l’uomo.
Si dirà che la situazione in parola è quella di certi ceti più arretrati e più incolti; ma non risultano forse evidenti, non appena vengono stimolate certe reazioni, taluni divari e contrasti analoghi anche nelle classi più evolute e presumibilmente più preparate? Per qualcuno – sicuramente in buona fede – la manifestazione franca e sincera di talune opinioni in materia sessuale da parte di studenti serissimi e diligentissimi, è equivalsa a probabile libertinaggio in atto, con relativo pericolo di contagio, e necessità di visite mediche particolari… Non risulta che coloro i quali hanno così pensato e così temuto abbiano mai espresso alcun tartufesco timore circa l’opportunità che i giovani sappiano certe cose, e vi riflettano sopra, ed esprimano le loro idee al riguardo. La « reazione emozionale » che certe opinioni giovanili hanno destato non è dunque che un’ennesima manifestazione dei conflitti e delle contraddizioni a cui abbiamo accennato.
Ciò, intendiamoci, nei casi migliori: giacché non vale la pena di soffermarsi più di un istante sugli altri – sui casi cioè di coloro che da qualche cattedra, o da qualche tribuna di giornale, predicano riserve e rèmore pseudo-moralistiche, mentre la loro vita privata è, per certi rispetti, quanto mai disordinata e deprecabile. Qui, cari amici, vogliamo occuparci soltanto di persone come voi e me magari coinvolte in difficoltà emozionali, ma oneste e in buona fede. I sepolcri imbiancati non riguardano i Lions!…
Ma il caso del liceo Parini – ha detto il maggior sociologo italiano, il prof. Franco Ferrarotti, cattedratico dell’Università di Roma – « dimostra solo che ormai abbiamo una struttura normativa schizofrenica, capace di produrre fratture definitive. Viviamo in una società che ha già i piedi nel domani, ma che continua a tenere la testa nel mondo di ieri. Per i nostri ragazzi, oggi, ci sono due temi fondamentali: come adoperare il denaro e come comportarsi nei rapporti sentimentali. Ma sono argomenti di cui non si discute, con loro. Ci si accontenta di dettare solo norme tassative. Più spesso si tace. Il silenzio e l’autoritarismo sono i nostri veri peccati di genitori e di educatori ».
Parole durissime, e che indubbiamente non si applicano a chi, come voi, per il semplice fatto di essere presenti ad un dibattito sull’educazione sessuale, mostra non amare né il silenzio, né l’autoritarismo; ma che si applicano tuttora, purtroppo, a un numero assai considerevole di adulti meno consapevoli e di mentalità meno aperta.
Voi vedete ora, cari amici Lions, che il problema dell’educazione sessuale dei giovani non si può proporre se non dopo che siano state chiarite numerose premesse di carattere ideologico, psicologico ed emozionale. Quando fra uomini di cultura si discute di educazione sessuale, si crede in genere di parlare di qualche cosa di preciso, e di poter fare appello a concetti comuni, ma in realtà non è così. Le premesse – non soltanto coscienti, ma inconscie – sono spesso talmente diverse, che si può credere di parlare della stessa cosa, mentre in realtà si hanno in mente schemi e criteri differentissimi. Per qualcuno, l’« educazione sessuale » va intesa necessariamente nei termini della morale corrente (e abbiamo visto come questa « morale » sia incerta, irta di confusioni e di contraddizioni). Per altri, « educazione sessuale » significa liberazione immediata e indiscriminata da secolari intralci e « tabù ». Per altri ancora, vuol dire illuminazione e affrancamento progressivi da spauracchi emozionali, e al tempo stesso controllo e disciplina consapevoli rispetto ai propri impulsi incoordinati e asociali… E’ evidente a questo punto che quando si tratta o si discute di educazione sessuale, occorrerebbe in primo luogo mettere chiaramente le proprie carte in tavola, dopo averle ben guardate per conto proprio, e aver chiarito a se stessi le proprie posizioni. Argomentare sulla « educazione sessuale » in astratto, senza far riferimento a principi generali d’ordine morale o scientifico o psicologico, non ha senso, perché l’« educazione sessuale » non è una disciplina obiettiva come la geografia, o la mineralogia. E’ chiaro a chiunque che l’espressione può assumere valori diversissimi a seconda che la adoperi un materialista o un credente, un quacchero o un sacerdote, un conformista o un disadattato…
Gli « educatori » possono infatti esprimersi in modi molto diversi: uno di essi può dire ad esempio che l’attività sessuale mira alla procreazione della specie, e che perciò non va esercitata fuori del matrimonio, che astenersene fino a quando non ci si possa sposare non è poi tanto diffide, e· che chi non si sposa può rimanere casto indefinitamente senza danno.. Un altro «educatore», all’estremo opposto di una ipotetica serie, può invece predicare che l’amore fisico è un’attività fisiologica, e che perciò non v’é ragione di limitarla più di un’altra qualsiasi attività del genere; che la compressione della sessualità è fonte di disturbi nervosi, e che esprimerla liberamente e naturalmente preserva dalle nevrosi il singolo e la collettività. Ho riportato due paradigmi, ma naturalmente ve ne sono altri. Non è possibile, tuttavia, procedere senza avere, in qualche modo, esercitato una «opzione»· nei loro riguardi.
Era necessario, io penso, tracciare l’anzidetto panorama – anche se può apparire non troppo confortante – per sfatare la facile opinione secondo cui, una volta ammesso che un’educazione sessuale dei giovani sia opportuna, non rimanga se non armarsi di buona volontà e, come si suol dire, « scendere al pratico ». Anche se tutte le superiori autorità – religiose, politiche, scolastiche – fossero d’accordo, e si « varasse » un programma alquanto vasto di educazione sessuale a partire da una certa età, vedremmo un po’ in tutti i settori – famiglie, scuole, convitti, circoli ed associazioni – parecchi volenterosi, scarsamente preparati e più o meno inibiti, cercar di comunicare a migliaia di altri ciò che essi stessi hanno poco assimilato e per nulla digerito. In casi estremi, avremmo il vano e tragicomico spettacolo dell’ineducato che cerca… di educare. Ma soprattutto, avremmo grossi equivoci di partenza dovuti alla diversità delle premesse – implicite o esplicite – dalle quali i vari « educatori » prenderebbero le mosse.
I recenti episodi che hanno dato occasione al dibattito di stasera hanno dunque avuto in primo luogo il merito – mi sembra – di far riflettere molte persone sulla gravità di un problema che non si risolve certo con un· impossibile « ritorno all’antico », ma neppure con una generica adesione a propositi e programmi che poi in concreto nessuno formula, e che troverebbero comunque notevoli difficoltà di applicazione. Essi hanno però anche dato l’avvio in molti di noi – e anche qui esprimo un’opinione personale – ad una revisione di posizioni passate, e a un inizio di nuovi orientamenti di massima sia per quanto riguarda la considerazione in genere delle questioni sessuali, sia rispetto ai modi e alle forme in cui le questioni stesse vanno illustrate e spiegate ai giovani.
Se guardiamo al nocciolo, troviamo che il problema sessuale coincide con il problema della vita, e che è perciò semplice ed ineffabile come la vita stessa. Sotto questo profilo, alla vita sessuale non si addice un ordine particolare di considerazioni o di principi morali. Posta l’esigenza morale come inseparabile dalla condizione umana, risulta altrettanto unilaterale la tendenza ad escludere l’attività sessuale da ogni considerazione morale, quanto un certo ibrido moralismo secondo cui le sregolatezze sessuali sono da condannarsi, mentre risulterebbero più o meno ammissibili e tollerabili la scorrettezza negli affari, l’invidia, l’ipocrisia, l’egoismo, la violentazione della libertà altrui, il sopruso, la prevaricazione, la concorrenza sleale o la menzogna. La fondamentale importanza dell’istinto sessuale, e l’inseparabilità di un soddisfacente equilibrio sessuale dall’armonia totale della personalità umana, rendono particolarmente increscioso e drammatico il fatto che nei riguardi della sessualità si sia instaurato, da una parte, un coacervo secolare di paure, di condanne, e d’ingiustificate inibizioni, mentre dall’altra si vorrebbe assumere e proclamare un’attività sessuale indiscriminata, e priva di rèmore morali, quale segnacolo di un presunto affrancamento dell’uomo dall’eticità propria alla sua stessa condizione.
Ha dunque pienamente ragione una nostra valorosa educatrice, Maria Ricciardi-Ruocco, allorché scrive che occorre «liberare il rapporto erotico tra i sessi da quel più o meno oscuro senso di colpa che lo degrada e lo avvilisce, finendo con lo scompagnarlo dalla stima e dal rispetto profondo dell’un sesso per l’altro ». Rispetto e stima, si noti, lontanissimi tanto dagli atteggiamenti licenziosi, ridanciani o scurrili così largamente diffusi nella nostra società, quanto dal clima di temibilità, di solennità e di mistero, che altrettanto spesso contraddistinguono il discorso sulle questioni sessuali.
Dare ordine, coerenza e chiarezza alla vita sessuale è altrettanto e forse più necessario all’individuo e alla collettività che non dare consapevolezza e disciplina al proprio lavoro, alla propria alimentazione, e in genere a tutta la nostra attività di uomini pensanti. Ora è sin troppo evidente che la disciplina in questione non può essere supinamente conforme ad una serie di regole esterne e dannose, delle quali è stata abbondantemente dimostrata l’inadeguatezza, la grettezza e l’irrazionalità, e che sono state altrettanto abbondantemente contraddette dalla condotta prima di minoranze, e poi di schiere sempre più larghe di individui. La disciplina non può scaturire che da una maggiore autonomia interiore, e da un correlativo, inevitabile, accresciuto senso di responsabilità. E appunto perciò non è detto che essa debba essere uguale per tutti, e per tutte le società – salvi rimanendo i criteri di base della lealtà, della autenticità e del rispetto reciproco. Ognuno è impegnato, virtualmente, nella ricerca della propria disciplina, del proprio « stile » sessuale, così come è impegnato nella ricerca – direbbe un indiano – del proprio dharma essenziale, della propria legge di vita interiore.
A questo punto si pone, ovviamente, la necessità dell’educazione sessuale, giacché la ricerca accennata in tanto è perseguibile, in quanto l’individuo abbia accesso alla conoscenza obiettiva dei fatti della vita sessuale, e dei problemi che ne derivano. Ma voi vedete che intesa in tal senso, l’espressione «educazione sessuale» assume ben altro significato che non quello abituale, e superficialmente inteso, di distribuzione autorizzata di una serie di nozioni, quale esecuzione di propositi o di programmi le cui premesse non siano state neppur per un istante sfiorate. La parola educare è l’intensivo latino di edùcere, che vuol dire letteralmente « trarre fuori », enucleare. Educare significa quindi in primo luogo guardare in noi stessi, « trar fuori » da noi stessi la nostra ragione più vera, per poter destare, aiutare altri, i più giovani, a compiere la nostra stessa impresa.
Ed è un’impresa non facile: lo abbiamo detto, lo ripetiamo. Certe rèmore tradizionali, anche se virtualmente sorpassate nell’idea e nella predicazione di autorità sia laiche, sia religiose, sono difficili ad allentarsi ed a rimuoversi, cosicché non c’è da pensare ad una « rivoluzione sessuale » – per adoperare un’espressione cara a certi sessuologi dell’ultima ora – bensì, al massimo, mi sembra, ad una evoluzione sospinta e coadiuvata. Le ricerche psicoanalitiche hanno mostrato fra l’altro che certe situazioni di conflitto fra la espressione dinamica dell’istinto sessuale – la cosiddetta « libido » – e gli impulsi di aggressione e di distruzione, sono coessenziali alla natura umana, e divengono parte integrante dell’apparato psichico già nel primo anno di vita: cosicché l’individuo troppo radicalmente « liberato » da certe radicate inibizioni rischierebbe di trovarsi alle prese con nuove difficoltà e nuovi conflitti di origine inconscia, e potrebbe essere sospinto su altre vie e verso altre forme di inibizione nevrotica, di comportamento nevrotico. Nelle cartelle del mio archivio dedicate ai problemi sessuali, e ricche di innumerevoli documenti, ho non pochi esempi delle conseguenze nazionali o locali di una troppo rapida «rivoluzione sessuale»: esempi inglesi, tedeschi, danesi, svedesi; aree di cultura in cui, tra i giovani, la promiscuità sessuale tende a rimpiazzare l’amore, in cui molti ragazzi ogni tanto si « scatenano » senza motivo apparente dedicandosi ad azioni distruttive, e in cui – malgrado le misure igieniche e profilattiche alla portata di tutti – sono in aumento sia gli aborti artificiali, sia le malattie veneree.
Ma anche laddove esagerano, si confondo si affannano, e si contraddicono, i giovani ci aiutano a capire, contribuiscono alla nostra educazione. I ragazzi di Milano possono aver valutato male le loro forze, possono essersi cimentati con problemi di fronte ai quali anche i più consapevoli tra noi esitano a pronunciarsi, ma – come ha scritto un illustre letterato cattolico, Carlo Bo – « lo spirito che li animava era santo, era sacro; con la loro partecipazione ai problemi della vita di oggi, dimostravano di essere consapevoli, davano un chiaro segno della loro responsabilità interiore. Se fossero stati diversi, se, cioè, fossero stati dei corrotti, si sarebbero limitati a prendere tutti i frutti bacati che l’albero della società offre con grande spreco, nella meccanica quotidiana ». « Avrebbero » – conclude Bo – « offeso la vita ». E non senza commozione – lo confesso – io ho letto una frase della diciottenne Claudia, la giovane liceale cattolica incriminata ed assolta: « A volte, vedendo un adulto che ha rinunciato a se stesso, che si è spento, penso con angoscia che forse quando era giovane era così come noi siamo e vorremmo sempre essere ».
Ho cercato, signor Presidente, gentili ospiti, cari amici Lions, di delineare per voi quelli che a mio avviso sono i termini essenziali di una questione scottante, che non può non occupare le élites, e di cui sono lieto ed onorato di aver fornito l’introduzione. Sono più che consapevole delle imperfezioni e delle approssimazioni di quanto ho tentato di indicare e di coordinare. Ma io spero che nelle mie stesse riserve, autocritiche ed esitazioni, voi abbiate sentito, oltre ad un sincero impegno, un atteggiamento non già scoraggiato, ma fiducioso. E’ strano: ma nella mia opera di psicoanalista, che mi mette quotidianamente a contatto con le energie oscure e dirompenti della nevrosi, io ho imparato a valutare maggiormente le forze dell’Eros, di quell’Amore con l’A maiuscola su cui anche Freud – pessimista quale era – in fondo puntava, allorché esprimeva la speranza che alla fin fine, le energie della conservazione e dell’amore avrebbero avuto la meglio su quelle della nevrosi, della distruzione e della morte. Io ho fiducia nell’odierna, crescente consapevolezza delle immense riserve di energia contenute nell’enigma dell’incontro a due, nella meraviglia sempre rinnovata delle tre parole: « Io ti amo ». Ho fiducia nei giovani, dai quali possiamo apprendere, e a cui, più edotti e rischiarati noi stessi, potremo, dovremo, dobbiamo insegnare. Io confido che una educazione a largo raggio di schiere sempre più vaste di individui possa riscattare e salvaguardare più libera e serena una dimensione che è stata ab origine propria dell’uomo e che non può, non deve essere conculcata da viete paure ancestrali, così come non deve essere ridotta a semplice deflusso di impulsi ciechi e indiscriminati. Se qualche mia parola avrà suscitato anche in voi un consenso non soltanto della mente, ma del cuore, avremo dato insieme, nella modestia dei nostri limiti, un piccolo contributo al nostro miglioramento, e alla conseguente chiarificazione del dialogo tra l’oggi e il domani, fra noi ed i nostri figli.
Emilio Servadio