L’uomo al volante
Conferenza tenuta ai Lions Club di Roma Tirrenum il 28-3-1968.
Argomenti – n. 5 – Maggio 1968
Sugli incidenti stradali, e in particolar modo su quelli automobilistici, esiste ormai una letteratura vastissima, che sembra aumentare tanto più, quanto più aumenta il numero degli incidenti. Lasciando da parte gli aspetti obiettivi, che riguardano la costruzione delle macchine e quella delle strade, la segnaletica, le regole del traffico e via discorrendo, ricorderemo in primo luogo le cause soggettive più ovvie e frequenti, come la fatica, la sonnolenza, l’intossicazione da alcool.
VALUTAZIONI
Veniamo ai problemi psicologici ancor più soggettivi, ossia meno dipendenti da fattori materiali esteriori o interiori. Questo è tuttora un campo insufficientemente considerato dalle cosiddette «autorità competenti». Avete mai notato che quando avviene un incidente, di tutto ci si preoccupa fuorché di appurare in quali condizioni psicologiche o in quali situazioni personali e di vita si trovassero i protagonisti? Tutti badano a valutare i danni alle persone e alle macchine, calcolando angoli d’incidenza, ubicazione rispetto al centro della strada, provenienza da destra o da sinistra, eccetera. Entrano in azione i nastrini metrici e le macchine fotografiche; si consumano chilogrammi di gessetti… Ma che al volante dell’una o dell’altra macchina ci fosse un marito che aveva litigato con la moglie, un uomo d’affari improvvisamente arricchito, o un Tizio dimesso dieci giorni prima da una casa di cura per malattie mentali, non occupa e non preoccupa nessuno.
Del resto, simili preoccupazioni sono escluse anche al momento dell’esame per l’abilitazione. Se uno conosce qualcosa dei regolamenti, ha qualche nozione teorica del motore, e dimostra di saper guidare discretamente, lo si autorizza a stare al volante, indipendentemente dal fatto che sia un estrovertito o un sognatore, un bene adattato o un asociale, una persona equilibrata o uno schizofrenico latente!
Esiste tuttavia in molti la convinzione che i contributi della psicologia all’infortunistica stradale non possano andare oltre la psicotecnica, la quale d’altra parte, e com’è noto, ha i suoi limiti, e non vuole e non può ricercare tratti essenziali e profili della personalità. La psicotecnica può misurare, come è largamente noto, i tempi di reazione, le coordinazioni sensorio-motrici, l’attenzione, l’emotività, ed anche l’intelligenza, quella intelligenza nel guidare che il Padre Agostino Gemelli poneva, e probabilmente non a torto, fra le prime doti che deve avere chi sta al volante.
Al di là di questi livelli vi sono vari fattori psicologici più sottili e profondi, che sono stati particolarmente studiati dalla psicoanalisi. Questo studio ha gettato molta luce su certi incidenti automobilistici occorsi a persone che avevano superato, o avrebbero potuto superare benissimo, i normali esami psicotecnici: incidenti riguardo ai quali, sino a non molto tempo fa, non si sapeva far altro che invocare il « caso ».
Ma l’idea che molti avvenimenti della nostra vita corrente siano dovuti al « caso » tramontò definitivamente nel 1904, anno in cui Freud pubblicò la sua famosa « Psicopatologia della vita quotidiana ». In questo libro Freud dimostrò che molti lapsus, dimenticanze ed incidenti, che si solevano ritenere « casuali », erano invece determinati da dinamismi psichici inconsci, che potevano essere individuati e descritti mediante speciali tecniche di esplorazione psicologica.
Da allora, il concetto-base della dottrina psicoanalitica freudiana – quello cioè di situazioni dinamiche inconsce, le quali determinano od orientano l’attività psichica cosciente e il comportamento – ha permeato di sé interi settori della psicologia pura ed applicata, della medicina psicologica, e anche discipline molto lontane da quelle psicologiche e mediche.
SVILUPPI
Assai vicini a tali sviluppi sono quelli che riguardano l’infortunistica. Da quindici o vent’anni, ormai, si è fatta strada la nozione che ci sono bensì infortuni dovuti al « puro caso », ma che ve ne sono altri determinati o resi più probabili dalle speciali condizioni del soggetto e dell’ambiente; e che, infine, vi sono incidenti attribuibili esclusivamente a problemi inconsci e non risolti di colui o di coloro che ne sono vittime.
Una serie di indagini statistiche effettuate in vari Paesi, ma specialmente negli Stati Uniti d’America, ha dimostrato oltre ogni possibile dubbio che vi sono persone, a parità di condizioni, alle quali gli incidenti – compresi quelli automobilistici – avvengono con maggior frequenza che non ad altre.
Chi sono questi « recidivi », così pericolosi a sé e agli altri? Alcuni sono indubbiamente individui dediti all’alcool, o con tare psicofisiche evidenti e croniche. Ma per altri queste etichette non si sono potute applicare. Prima di classificarli, dirò qualcosa di più specifico sui fattori inconsci negli incidenti, e citerò un caso desunto dalla mia stessa esperienza di psicoanalista.
TENDENZE
Un giovane medico da me analizzato aveva avuto, prima dell’analisi, parecchi incidenti di macchina attribuibili ad eccesso di velocità. In lui il desiderio cosciente (così diffuso!) di non lasciarsi sorpassare, e di sorpassare chiunque lo precedesse, era reso più intenso da circostanze nevrotiche. Figlio unico, e rimasto orfano di madre quando era bambino, il giovane era stato abituato dal padre, che lo adorava, a non aver « competitori », a essere « sempre il primo » dovunque le circostanze materiali lo consentissero.
La tendenza a « primeggiare » si faceva sentire anche mentre guidava la sua potente macchina, e già questo lo spingeva a correre troppo, e lo metteva, obiettivamente, in situazioni di maggior rischio. Ma nell’inconscio del giovane, « essere primo » voleva anche dire, in ultima analisi, superare e soppiantare persino il padre, l’unica persona dalla quale egli, in sostanza, moralmente e materialmente dipendeva. Questa fantasia inconscia era sentita come illecita e tale da meritare un castigo. Dall’analisi risultò appunto che i ripetuti incidenti di macchina (nei quali, si noti, il danneggiato era sempre lui!) erano dovuti, oltre che alla prima ragione (velocità eccessiva per desiderio cosciente di primeggiare), anche alla seconda (necessità incoscia di « punirsi ») per le fantasie aggressive contro un padre a cui per altro verso questo giovane era affezionatissimo).
Il « caso-clinico » anzidetto fa, naturalmente, storia a sè. Tuttavia un suo elemento è senz’altro generalizzabile. La persona a cui si può attribuire una « disposizione agli incidenti » risulta sempre, a una esplorazione psicologica, in conflitto con l’autorità, anche se ciò non appare alla sua coscienza o all’altrui superficiale osservazione. Quando diciamo « autorità » non intendiamo, beninteso, alcunché di necessariamente esteriore, anche se in certi automobilisti la spinta polemica contro il vigile, contro il codice della strada, o contro il divieto scritto sia tale da danneggiare o da mettere in pericolo loro e gli altri. L’« autorità » con la quale questi individui sono in conflitto è soprattutto l’autorità psichica, interna, largamente inconscia, risultante dall’interiorizzazione progressiva, sin dall’infanzia, delle « persone importanti » dell’ambiente, a cominciare dai genitori.
Rimane in loro, inconsapevolmente, un rancore che nulla può neutralizzare (se non, beninteso, un trattamento ad hoc), e che può spingerli a manifestazioni (« aggressive » quando dispongono di un mezzo, quale l’automobile, atto a potenziare le possibilità individuali di affermazione e di competizione.
Ma a tali manifestazioni affermative e aggressive si contrappone sovente il senso dell’illecito » – come nel caso del giovane menzionato -, oppure una spinta inconscia a « vittimizzarsi », sia per mostrare a tutti quanto sia crudele il « destino » (erede e simbolo delle autorità « cattive »· dell’infanzia), sia per avere, a compenso di qualche costola rotta o di altri danni, l’affettuosa premura di parenti e di amici…
EMILIO SERVADIO