Problemi dell’educazione sessuale
Due conferenze – Roma, 1968
(Conferenze tenute in Roma il 20 e il 27 gennaio 1968 nella sede della Nuova Italia Editrice, in collaborazione con l’Associazione per l’Educazione Matrimoniale).
I.
Signore e signori,
quando si parla di educazione sessuale si pensa spesso di enunciare un tema ben definito e circoscritto, ma in realtà non è così. L’espressione « educazione sessuale » può assumere molti e diversi significati a seconda della sede in cui la si pronuncia, del Paese in cui viene adoperata, e naturalmente dell’orientamento personale di chi l’adopera. E’ chiaro, per esempio, che in una regione, in un Paese in cui esista un massimo di libertà di costumi, l’educazione sessuale potrebbe essere né più né meno che una serie di corsi di insegnamento, perché si suppone che molto prima di quei corsi i fanciulli abbiano appreso gli elementi di ciò che costituisce la vita sessuale già in seno alla famiglia. Ma non così in un altro Paese nel quale vi siano ancora molti dubbi circa l’opportunità che i bambini apprendano e sappiano « certe cose ».
In queste seconde condizioni culturali si tende per solito a discutere, a discutere molto, di educazione sessuale (anche se di solito in circoli piuttosto ristretti), e a non scendere mai sul terreno pratico, quello cioè della diffusione delle nozioni e soprattutto del superamento di certi pregiudizi. Vediamo allora che l’espressione «educazione sessuale» si presta a ogni sorta di interpretazioni da parte di gruppi o di singoli a seconda della loro posizione ideologica e soprattutto dei relativi orientamenti emozionali. In un mio scritto di alcuni anni fa, forse in un momento di malumore, io espressi un certo scetticismo circa la possibilità di egualizzare questa varia e vasta massa di persone, in quanto veramente mi era sembrato che fosse un’impresa poco meno che disperata riuscire a introdurre criteri omogenei in individui di formazione, di cultura e soprattutto di preparazione psicologica tanto diversa e certe volte tanto distante. Ho sottolineato gli aspetti emozionali, e non a caso: perché quando si accenna a condizioni locali, storiche, tradizionali relative all’educazione sessuale, non dobbiamo dimenticare che non si tratta di fattori semplicemente esterni, come se si trattasse di abiti più o meno pesanti o di case più o meno riscaldate, ma di atteggiamenti psicologici e di sentimenti i quali hanno trovato le loro espressioni più o meno stabili in abitudini, costumanze, prescrizioni tacite od esplicite e da ultimo in leggi. L’importanza di questi fattori sentimentali ed emotivi è particolarmente grande nel caso dell’educazione sessuale perché questa, come avete sentito poc’anzi, nella stragrande maggioranza dei casi non è una materia di insegnamento come un’altra, e talvolta non è affatto materia di insegnamento: essa è tuttora un argomento delicato e scottante, intorno al quale ancora oggi il discorso è tutt’altro che pacifico e che seguita ad alimentare, come tutti voi sapete, passioni e diatribe anche molto intense. A rigore nessun insegnamento può essere mai costituito esclusivamente di nozioni, neppure se si tratti di mineralogia, di botanica o di anatomia. Ma nel caso dell’educazione sessuale è ancora più impensabile che si possa prescindere da una serie di considerazioni di ordine psicologico, affettivo e morale. Commetterebbe un errore imperdonabile chi credesse per esempio di poter limitare l’educazione sessuale a una descrizione schematica, ancorché corretta, degli organi e dei fenomeni della riproduzione. Chiunque si accinga a “educare” in questo campo – e oggi parlo soprattutto a degli educatori – non deve e non può prescindere da tutto ciò che condiziona e accompagna i fenomeni fisici, anatomici, fisiologici della vita sessuale, ossia dagli impulsi erotici, dall’attrazione tra i sessi, dalle scelte, dalle variazioni affettive tra i partners, e via discorrendo. Un notevole difetto metodologico di talune, per certi versi assai meritevoli, inchieste moderne sui problemi sessuali è stato appunto l’avere largamente trascurato tutto questo e aver creduto che si potessero isolare i meccanismi o i comportamenti sessuali dell’uomo dalle sue esigenze o dai suoi problemi affettivi, dalle emozioni e, in fin dei conti, dall’amore. Non sono andati esenti da difetti metodologici di questo genere, per esempio, i due famosi rapporti Kinsey, nei quali il comportamento sessuale di coloro che già nei titoli sono stati chiamati “maschio umano” o “femmina umana” è stato scritto né più né meno che se si fosse trattato di formiche o di marsupiali, anziché di esseri dotati di sentimenti e di pensieri.
E anche il recentissimo libro sul comportamento sessuale di Masters e Johnson, pur meritevole per tanti rispetti, non si salva completamente da questa critica, sebbene gli autori abbiano messo le mani avanti e abbiano detto che non si volevano addentrare in problemi psicologici. Ci si domanda però come si possa non abbordare problemi psicologi quando si tratta di questioni del genere! Ora, posto il problema dell’educazione sessuale in questi termini, e chiaro che il compito di chi si accinga a impartire tale educazione e molto diverso da quello del comune maestro, insegnante o docente. A chi insegna inglese o matematica è sufficiente una adeguata preparazione effettuata sui libri e sui banchi della scuola; ma è ben noto che vi sono persone – genitori, professori, scienziati – i quali sanno moltissime cose sulla vita sessuale, ma sono e si riconoscono al tempo stesso incapaci di spiegare a un fanciullo i cosiddetti « fatti della vita », come li chiamano gli inglesi, per ragioni che non hanno altra base se non psicologica ed emozionale. Se in uno di quei tali Paesi in cui vigono ancora ostacoli e rèmore tradizionali venisse approvata dal Parlamento una legge, poniamo, che istituisse obbligatoriamente corsi di educazione sessuale nelle scuole elementari e medie, assisteremmo a spettacoli addirittura tragicomici: quelli offerti da migliaia di insegnanti, pur volonterosi e magari scientificamente preparati, che si sentirebbero intensamente inibiti di fronte all’aspettazione intenta e alla vivace curiosità dei loro giovanissimi ascoltatori. D’altronde, anche in seno a molte famiglie si verifica ogni momento la scenetta del genitore teoricamente convinto che al figlioletto bisogna dire la verità su certe cose (su questo tutte le autorità pedagogiche, filosofiche, morali e religiose sono ormai d’accordo), ma che al momento in cui dovrebbe spiegarle si confonde, guarda fuori della finestra, tamburella con le dita sul tavolo e finisce col trasmettere al fanciullo proprio quel senso di imbarazzo e di timore che le sue parole avrebbero dovuto dissipare. Nella mia ormai abbastanza lunga pratica psicoanalitica mi è successo varie volte che dei genitori si siano rivolti a me perché avevano riconosciuto onestamente che, malgrado le loro migliori intenzioni, e benché si fossero accuratamente e adeguatamente preparati su qualcuno dei molti libri che esistono sull’argomento, quando si trovavano poi a rispondere alle domande del figlioletto o della figlioletta, si sentivano totalmente inibiti. Cosicché, benché io non mi occupi affatto di psicoterapia infantile e meno ancora di psicoanalisi dei bambini, mi è successo varie volte di dover spiegare alcune cose, di fare dei discorsetti ad hoc, a bambini o a ragazzini di 5-6-7-8 anni: cosa, devo dire, per me molto insolita, ma che ho fatto ogni volta con grande piacere. Le difficoltà cui ho accennato sono, specie in certi Paesi, così profonde e radicate che persino taluni studiosi hanno sentito per dir così il bisogno di proteggersi, facendo appello a considerazioni di ordine filosofico o religioso. Scrittori di libri e di saggi sull’educazione sessuale in alcune Nazioni europee hanno ritenuto opportuno dichiarare sin dall’inizio che i loro insegnamenti erano sempre e comunque subordinati a un certo assieme di norme che facevano parte di una particolare filosofia o di una data confessione religiosa, e ciò dimostra fino a qual punto l’educazione sessuale costituisca un problema a sé, perché a nessuno verrebbe in mente di subordinare un dato tipo di insegnamento letterario o scientifico a principi specifici di ordine religioso o morale. In altri casi i timori e le inibizioni in materia hanno assunto altre forme: la presunta pericolosità degli argomenti ha indotto qualcuno a sostenere che essi non potessero essere trattati se non con particolarissime cautele di ordine – questa volta – scientifico. Un medico specialista arrivò a scrivere che l’educazione sessuale dovrebbe essere affidata agli psichiatri: evidentemente per lui la materia presentava le stesse incognite e gli stessi rischi delle malattie mentali!
E’ interessante e al tempo stesso sorprendente constatare come prese di posizione del genere appaiano strambe appena si abbandoni un certo clima culturale. Per l’abitante di un dato Paese progressista, l’impostazione del problema dell’educazione sessuale così come viene fatta in un Paese diverso può apparire quasi incomprensibile, così come incomprensibili appaiono i comportamenti e i principi sessuali della prima Nazione a coloro che si trovano su posizioni più conservative e più prudenti. Quando anni fa scoppiò lo scandalo della « Zanzara », il Lions Club al quale appartengo, mi pregò – tamburo battente – di fare una conversazione sul problema dell’educazione sessuale dei giovani, cosa che feci ben volentieri. Il risultato fu sconcertante; ma non è tanto di questo che voglio parlare, quanto del fatto che tra i Lions presenti c’era, di passaggio a Roma, un giovane svizzero di 22-23 anni, il quale sentendo che si faceva una riunione speciale del Lions Club per discutere questo problema, mi si avvicinò, si presentò, e con un piccolo sorriso mi disse: « Ma siete ancora a questo punto?». E cioè: Evidentemente per voi queste cose costituiscono ancora materia di dibattito, di discussione e qualche volta di aspra critica. E difatti non vi nascondo che dopo il mio discorso, che io cercai di rendere il più prudente possibile, ebbi oltre a vari caldi consensi, anche delle violente critiche da parte di qualcuno dei Soci del mio stesso Club.
Ho ritrovato tra le mie carte certi articoli che scrissi tempo addietro su vari giornali italiani, in particolare sulla Stampa di Torino, in cui riportavo alcune statistiche circa l’ignoranza in materia sessuale di moltissimi giovani anche in Paesi assai progrediti. Per esempio fu pubblicata pochi anni fa una statistica relativa agli Stati Uniti d’America, da cui risultava che su 100 ragazzi, uno solo aveva ricevuto una educazione sessuale buona e adeguata dalla madre, 10 dicevano di aver ricevuto un’educazione mediocre, 29 scarsa e 60 non avevano mai udito una parola materna sull’argomento. Questo per quanto riguarda le madri. I padri in questa inchiesta – mi duole dirlo – facevano una figura anche peggiore. Qualche anno fa uscì in Inghilterra un importante Rapporto sul comportamento sessuale dei giovani, e anche in quel caso i risultati apparvero disastrosi: apparve che i giovani interrogati, che erano molte migliaia, non avevano avuto quasi alcuna educazione sessuale né a casa né a scuola: il 62% dei maschi e il 44% delle femmine aveva attinto le loro prime conoscenze dalle battute o dalle barzellette più o meno spinte di altri ragazzi. Solo il 27% delle bambine avevano ricevuto qualche informazione dalla propria madre; i padri si erano occupati dell’educazione sessuale dei figli nella misura del 7 per cento.
Si verifica poi il fatto, denunziato già molti anni fa in una pubblicazione anch’essa inglese, dello scarica-barile, perché il padre pensa che in fondo è la madre che dovrebbe occuparsi di queste cose; la madre quando può rimanda al padre l’incarico; poi decidono che dopo tutto questo è compito dell’insegnante; l’insegnante pensa che probabilmente è meglio che sia il medico che visita ogni tanto la scolaresca, o forse lo psicologo; lo psicologo e il medico pensano che dopo tutto ci vorrebbe uno specialista che venisse da fuori: insomma, sono tutti convinti della necessità di certi interventi e nessuno li fa!
Parliamo adesso, seppure in breve e schematicamente, dei principali aspetti evolutivi della vita sessuale nell’individuo umano, e degli atteggiamenti e dei criteri che si debbono secondo me seguire nell’affrontare questi importantissimi e vitali problemi.
Sino a non molti anni addietro si riteneva generalmente che nell’essere umano la vita sessuale avesse inizio alla pubertà.
L’idea che il bambino – e in particolare l’infante – potesse avere impulsi sessuali, fantasie sessuali, conflitti di ordine sessuale, non passava neanche nella mente dei medici, degli educatori o degli psicologi. In un libro apparso in Italia molto tempo fa, ma che ancora si ristampa, l’Autore candidamente scriveva che il bambino – cito tra virgolette – « è un cieco dell’istinto sessuale ». Una dichiarazione del genere somiglia a quella di un noto pediatra, il quale in un congresso svoltosi in Italia un 25 o 30 anni fa, dichiarò che per tutto il primo anno di vita addirittura non si poteva parlare di psicologia infantile! Ma da oltre mezzo secolo le scoperte di Freud e della psicoanalisi hanno fatto giustizia di questi e di molti altri pregiudizi, e oggi è pacificamente ammesso da tutti gli studiosi seri che il bambino ha una vita sessuale, e che già nel primo anno si svolge in lui una attività psichica e psicosessuale estremamente vivace, intensa e significativa. In questa sede cercherò di considerare lo sviluppo della sessualità infantile con particolare riguardo a quello che gli adulti dovrebbero saperne, e al loro relativo comportamento. Così facendo non credo che ci allontaneremo dal tema generale dell’educazione sessuale, perché è chiaro che l’atteggiamento degli adulti, e in particolar modo dei genitori, nei riguardi dei problemi sessuali del bambino, fa parte sia dell’educazione in senso lato sia della educazione sessuale propriamente detta. Diversi anni fa un Tribunale viennese in una causa di separazione fra genitori in cui c’erano di mezzo dei bambini (non ricordo esattamente la fattispecie) dichiarò chiaramente, esplicitamente, che l’educazione comincia dalla nascita. E lo stesso si può dire, come vedremo meglio in seguito, dell’educazione sessuale.
Ma il primo punto che bisogna avere in mente in modo molto chiaro quando si discorre di sessualità infantile, è la distinzione precisa tra questa, – la sessualità infantile -, e la sessualità adulta.
Come il pensiero e il linguaggio del bambino differiscono profondamente da quelli della persona adulta, così differiscono le rispettive attività, i comportamenti, i problemi sessuali. Per esempio, i processi inerenti alla biologia e alla biochimica delle funzioni riproduttive sono largamente estranei alla sessualità infantile. Evidentemente tutto questo implica una revisione e un allargamento del concetto di sessualità, ed è proprio quello che fece Freud quando dimostrò che con tale termine occorre intendere una quantità di fenomeni che hanno inizio nell’infanzia e che mano a mano si evolvono e si trasformano fino a prendere espressione e struttura definitive alla pubertà e oltre. Delle fasi infantili della sessualità rimangono in pratica nell’adulto normale soltanto residui. Basta osservare un neonato per rendersi conto della enorme carica di affettività che contraddistingue la sua bocca e tutta quanta la sua attività orale. La bocca è per il bambino, durante tutto il primo anno, non soltanto l’orifizio indispensabile all’alimentazione, ma anche uno strumento, per così dire, di conoscenza e di rapporto, oltre che di una zona di intense soddisfazioni sensuali che fanno parte della sua primitiva e particolare sessualità. Insomma la bocca, le labbra e tutta la zona orale costituiscono una delle aree del corpo che i sessuologi chiamano « erogene », ossia tali da generare sensazioni di ordine sessuale. Non è soltanto questo: la bocca, come ho detto, è anche un mezzo di comunicazione, di rapporto, di scoperta degli oggetti, di scoperta del mondo; ma non c’è dubbio che per esempio la stimolazione delle labbra procuri, com’è largamente noto, un vivo piacere al bambino anche a prescindere dai processi alimentari.
Succhiare il seno materno o il proprio dito o la tettarella sono per il bambino altrettante modalità sia di procurarsi piacere, sia di mantenere un certo rapporto vero o illusorio con il mondo esterno, sia di sfogare in qualche modo i suoi elementari impulsi sessuali che cercano soddisfazione. Nel bacio dell’adulto troviamo abbastanza evidentemente un parziale prolungamento di attività e di gioie che nella vita istintiva del primo anno rivestono un’importanza centrale. Diciamo centrale e non esclusiva perché parecchie altre zone o funzioni, anche nel primo anno, possono avere un certo rilievo sessuologico. L’epidermide, per esempio, può tutta quanta trasmettere sensazioni di carattere erotico se stimolata con carezze, baci ecc., e anche di questo troviamo notevoli residui nella sessualità dell’adulto normale. Alla importanza o – se così si vuole – al primato della zona orale succedono quelli delle aree e dei meccanismi sfinterici allorché il bambino prende conoscenza dei propri organi e processi escretivi e impara a ricavare piacere dalle rispettive funzioni.
E si parla così, intorno al secondo, al terzo anno di vita, di fasi uretrali e di fasi anali della sessualità infantile. I residui di queste fasi nella sessualità adulta sono assai meno evidenti di quelli della fase orale, tranne in certe particolari perversioni e casi di anormalità e di deviazione. Sono, appunto, evidentissimi in queste deviazioni, e se ne trovano manifestazioni non meno evidenti in una quantità di sintomi nevrotici e di tratti abnormi del carattere, dai più lievi ai più cospicui. Ma qui non faccio un corso di psicopatologia, quindi non posso sviluppare queste nozioni a livello psicopatologico.
Il bambino, tra l’altro, trae piacere non soltanto dal controllo o dall’allentamento degli sfinteri uretrali o anali ma anche dai rapporti che in questo modo intende stabilire o abolire con cose o persone che ha intorno. L’esecuzione di certe funzioni acquista perciò anche valore di rapporto tra il bambino ed il mondo ed è quasi superfluo dire che in tali processi vengono manifestate, oltre agli impulsi sessuali, anche le spinte propriamente aggressive. Del resto nella stessa fase orale la bocca può essere un organo esecutivo della aggressività, come tutti sappiamo, oltre che della sessualità: basti pensare a ciò che avviene alla prima dentizione, quando appare più chiaro come il bambino possa volere attaccare e distruggere oggetti mediante il morso e la masticazione. Questa fra l’altro – sia detto per incidenza – è una delle tantissime prove e dimostrazioni dell’assurdo della qualifica di pansessualistico che alcuni hanno voluto dare al dottrinale freudiano e psicoanalitico. Fin dall’inizio, Freud capì e vide che esistevano nell’essere umano gruppi importanti di istinti che non erano riconducibili agli istinti sessuali neppure per derivazione, e in una delle sue ultime formulazioni concepì la grande dicotomia degli istinti dell’Eros, da una parte, e degli istinti della morte e della distruzione dall’altra.
In queste prime, importantissime fasi di sviluppo della sessualità infantile, quale dovrà essere l’atteggiamento degli adulti e in particolare della madre (in fondo è soprattutto la madre che si occupa del bambino nel primo anno, salvo rare eccezioni), e cioè: quali dovranno essere in questa fase e a questo livello i criteri di una prima, sana educazione sessuale? A domande di questo genere non si può rispondere in modo preciso e perentorio perché è chiaro che se si vuole che il bambino diventi un essere civile non si può dare sempre via libera ai suoi istinti, e d’altro canto la psicologia clinica e la psicoanalisi ci hanno mostrato le conseguenze incresciose e talvolta disastrose della discontinuità di comportamento, della oppressività, per non dire della severità più o meno crudele messa talvolta in atto da genitori incomprensivi o anormali nei riguardi delle manifestazioni istintive e sessuali dei bambini. Un bambino al quale si impedisse sistematicamente di succhiare il proprio dito, o altri oggetti, soffrirebbe intensamente, con deleterie ripercussioni sulla formazione della sua personalità e del suo carattere. Naturalmente una intensa attività erotica orale trova il proprio oggetto indispensabile soprattutto nella madre, la cui presenza e assistenza sono altrettanto necessarie al bambino quanto l’alimento e il calore. Nella fase anale, che non è meno delicata, occorre che l’abbandono graduale di certe abitudini sia dolce, sia fatto con tenerezza e con molta benevolenza, e che l’adulto si mostri tollerante e persuasivo se si vogliono anche qui evitare le conseguenze disastrose di un addestramento troppo precoce e troppo severo in quello che gli Inglesi chiamano il « toilet training ». Le conseguenze – ben lo sappiamo noi analisti – possono essere distorsioni del carattere, l’instaurazione di nevrosi compulsivo-ossessive nell’età adulta, disturbi psicosomatici delle vie digerenti, ribelli a ogni cura, e via discorrendo.
A questa fase succede quella in cui il bambino scopre i propri organi genitali e prova piacere a toccarli e a manipolarli; dico succede, ma l’espressione non è molto esatta perché naturalmente questi vari interessi o fasi, che qui vengono divisi per comodità di esposizione, si sovrappongono, si mescolano, e non possiamo dividerli cronologicamente in epoche stagne. Anche in questa fase interviene ancor oggi troppo spesso il divieto materno: perché molte madri, molti genitori sono ancora legati, senza potervisi sottrarre, ad antiche paure e arcaici tabù. Ora sia ben chiaro che anche per questa fase della sessualità del bambino – la cosiddetta fase genitale infantile, per distinguerla dalla fase genitale adulta che si raggiunge alla pubertà devono valere gli stessi criteri di tolleranza e di gentilezza educativa ai quali abbiamo fatto riferimento a proposito delle fasi dei periodi precedenti. Si noti che la fase genitale ha una singolare importanza nello sviluppo psicosessuale del bambino perché in essa raggiunge il suo acme, intorno ai 4-5 anni, ma forse anche un po’ prima, il problema fondamentale del rapporto del bambino con i suoi genitori, ossia la universalmente nota situazione edipica.
Questa fase infantile, così denominata da Freud con riferimento a una leggenda greca immortalata come sapete da Sofocle nella sua tragedia « Edipo Re », è contrassegnata da un intenso trasporto del bambino verso il genitore di sesso opposto e da sentimenti di ostilità, invidia e competizione aggressiva nei riguardi del genitore di uguale sesso. Ho semplificato al massimo, beninteso. Freud scrisse che il mancato o difettoso superamento di questa fase sta al centro di ogni e qualsiasi tipo di nevrosi adulta. E non si può non dargli ragione qualora si pensi che nella situazione edipica si definiscono e prendono forma le prime intrinseche possibilità di amore e di odio nei riguardi di altre persone, ossia si stabiliscono i nuclei di tutta la futura vita sessuale e istintiva e di tutti i futuri rapporti interpersonali del soggetto.
Con il graduale smorzarsi della fase edipica gli impulsi istintivi infantili, particolarmente quelli sessuali, sembrano perdere alquanto vigore, e si apre un periodo di diversi anni (grosso modo dai 5-6 agli 11-12), chiamato « periodo di latenza ». Di fatto in questo periodo l’attività sessuale del bambino sembra, se non abolita, sonnecchiante, e gli interventi educativi possono rivolgersi ad altri problemi, più vasti che non quelli collegati all’attività istintiva, e possono perseguire altre mète. Il periodo di latenza coincide con l’epoca dei primi apprendimenti scolastici (verso quell’età il bambino va a scuola), coincide con l’epoca dell’arricchimento delle esperienze razionali e della cultura, in attesa del nuovo risveglio della vita istintiva che avrà luogo alla pubertà.
Abbiamo già notato come l’educazione sessuale nei primi anni di vita del bambino presupponga soprattutto un atteggiamento di comprensione e di tolleranza nei riguardi della sessualità infantile, delle sue diverse fasi e dei problemi ad esse inerenti. Nella prossima conferenza vedremo come anche nei primi cinque anni di vita si possa e si debba fare qualcosa di più, ossia dare al bambino alcune elementari nozioni e spiegazioni sugli organi sessuali, sulle loro funzioni ecc. Tuttavia questo aspetto dell’educazione sessuale, vale a dire il vero e proprio insegnamento, assume maggiore importanza quando l’individuo raggiunge la pubertà. Durante il cosiddetto periodo di latenza (ossia, come ho detto, dai 5-6 agli 11-12 anni circa), naturalmente non mancano affatto nel fanciullo curiosità e problemi nei riguardi del sesso. È compito dei genitori e degli educatori tenerne il debito conto, ma alla pubertà questo aspetto del compito assume ben altra importanza e per varie ragioni: le accresciute possibilità intellettuali e l’aumentato desiderio di sapere, la drammatica urgenza di orientamenti e di soluzioni dettata dalla maturazione fisiologica degli atti e delle funzioni sessuali, le modificazioni e i contrasti dell’affettività in tale periodo di crisi, i quali fanno sì che gli interventi degli adulti richiedano una diversa tecnica e soprattutto un diverso atteggiamento. Come si vede, sbaglierebbe di molto colui che credesse di poter procedere nell’educazione sessuale del ragazzo o della ragazza pubere con relativa facilità facendo affidamento sulle maggiori possibilità di propriamente insegnare, quali di fatto esistono in quella fase. Il compito dell’educazione sessuale alla pubertà non è psicologicamente meno delicato di quello relativo ai primi anni, anche se certe sue caratteristiche sono ovviamente assai diverse. I mutamenti fisiologici e biochimici che avvengono alla pubertà per quanto riguarda gli organi e le funzioni sessuali sono, o dovrebbero essere, abbastanza noti: specifiche ghiandole endocrine diventano particolarmente attive; agli ormoni da esse prodotti si devono ampi mutamenti sia interni sia esterni dell’organismo e del corpo umano. Comincia la produzione di ovuli nella femmina, di spermatozoi e di liquido seminale nel maschio, in entrambi i sessi avvengono tipiche modificazioni del sistema pilifero, nei ragazzi cambia la voce, nelle femmine i fianchi e il seno si fanno più pieni; in esse il risultato più appariscente dei mutamenti endocrini sopravvenuti è naturalmente e notoriamente l’inizio delle mestruazioni. Ma di non minore rilievo sono i mutamenti psicologici: non a caso l’epoca puberale è stata chiamata un’epoca di crisi. Dopo la relativa tranquillità e sicurezza del periodo di latenza, il pubere affronta una fase di disorientamento emozionale, mostra sentimenti contradditori, cambia di umore con relativa facilità, alterna momenti di confidenza e di espansione a periodi di scontrosità e di chiusura nei riguardi dei genitori, manifesta entusiasmi tanto accesi quanto di breve durata per qualcosa o per qualcuno, ha bisogno di simpatia ma di solito non vuole ammetterlo, si preoccupa del giudizio altrui anche se mostra talvolta ostensibilmente di infischiarsene, e via discorrendo. Molte di queste difficoltà della fase puberale sono secondo me dovute al fatto che la famiglia e la società, per lo meno nei nostri climi, in Occidente, in Europa, in America non dispongono di mezzi e di istituzioni realmente in grado di facilitare all’adolescente il suo inserimento nella collettività e, in modo specifico, di soddisfare le sue esigenze psicosessuali. Certi fenomeni della pubertà ai quali abbiamo or ora accennato vengono spesso nella nostra società considerati incresciosi e passati sotto silenzio se non addirittura deplorati. Quanto diverso, mi è d’uopo dirlo, il comportamento di certe popolazioni cosiddette primitive, presso le quali le manifestazioni in questione, l’emergere della pubertà, vengono accolte con gioia e danno persino luogo a feste e a trattenimenti collettivi!
Se l’educazione sessuale nel periodo precedente è stata impartita con franchezza e con sufficiente ampiezza di informazione, non dovrebbe essere necessario alla pubertà ricominciare da capo, ossia dalla descrizione elementare di come si è concepiti e di come si viene al mondo. Naturalmente il ragazzo o la ragazza intelligenti, e già in possesso di alcune nozioni di base, desidereranno approfondirle e ampliarle. Questo lato nozionistico dell’educazione sessuale è in fondo quello che preoccupa meno. In certi Stati, come si sa, esso è affidato regolarmente a insegnanti e previsto dai programmi scolastici (per esempio in Svezia e in alcuni Stati del Nord America). Ma l’adolescente si trova dinnanzi ad alcuni problemi che i libri o gli insegnanti non possono risolvere, problemi che ancora nella società odierna sono carichi di implicazioni emozionali, di conflitti, di sentimenti di colpa o di inferiorità. Quali sono i più importanti di questi problemi? Sono l’autoerotismo, le mestruazioni e i primi rapporti con l’altro sesso. E io credo che convenga indicare sia pur brevemente al riguardo i moderni criteri di approccio, i quali fanno parte anch’essi di quella educazione sessuale che nessuna pagina scritta o lezione di cattedra può veramente impartire.
Sul problema dell’autoerotismo è stato scritto moltissimo, ma dobbiamo dire alto e forte che quasi tutto quello che è stato pubblicato al riguardo sino a una trentina di anni fa andrebbe dimenticato o distrutto. Le pratiche autoerotiche sono state descritte sistematicamente come causa di danni inenarrabili alla salute fisica e psichica del ragazzo e dell’uomo; ora, dato che ripetute statistiche hanno dimostrato che alla pubertà tali pratiche sono attuate dal 90% circa dei ragazzi e dal 60 o 70% circa delle ragazze, e dato che questo si è sicuramente verificato per molti secoli, l’umanità attuale, stando a certi scrittori del passato, dovrebbe essere composta di larve, di semi-idioti, di tubercolotici e di pazzi. In realtà gli atti autoerotici costituiscono una fase transizionale e praticamente inevitabile nello sviluppo delle funzioni sessuali in periodi particolari (prima infanzia, adolescenza), nei quali gli atti stessi costituiscono (per lo meno nelle nostre coordinate culturali) l’unico sfogo possibile degli impulsi istintivi attivati o riattivati. Sia ben chiaro dunque che l’autoerotismo tanto infantile quanto adolescenziale è sempre un effetto e non mai una causa.
Esso è l’effetto, come ho accennato, di una situazione particolare e transitoria della funzione sessuale e come tale non « dà luogo » proprio a nulla, a meno che, come tuttora spesso accade, il soggetto non venga posto direttamente o indirettamente in stato di accusa, e non si senta perciò reprensibile, colpevole e pieno di oscuri timori. Questi sono in pratica i soli « pericoli » dell’autoerotismo, del quale ci si potrebbe casomai preoccupare se apparisse troppo frequente o se si protraesse oltre una certa età, così come sarebbe giusto preoccuparsi se un ragazzino mangiasse o bevesse in eccesso, o se a 18 anni preferisse le pappe e le caramelle alle bistecche. Ciò posto, è chiaro quale dovrebbe essere il compito dell’educazione sessuale nei riguardi del problema in discorso. Il genitore intelligente indicherà al ragazzo o alla ragazzine che le pratiche in questione sono dettate da impulsi naturali e costituiscono un approccio a quelli che saranno in futuro i suoi rapporti intimi con una persona dell’altro sesso, rapporti accompagnati da tenerezza, stima e amore, e che in attesa di ciò sarà opportuno esercitare su se stessi un certo controllo, così come lo si deve esercitare sull’alimentazione, sull’igiene personale e in genere su tutto il comportamento.
Un discorso siffatto è assai più realistico che non gli inviti a « non pensarci », a fare dello sport, o a volgere il proprio pensiero ad argomenti nobili e spirituali, tutte cose che l’adolescente può bensì cercar di fare, ma non dovrebbe considerare come un « bene » in contrapposizione a un ipotetico « male », poiché altrimenti l’autoerotismo continuerebbe ad apparirgli, ad ogni suo nuovo, inevitabile ripresentarsi, come qualcosa di cattivo, di innaturale e di colpevole.
Nei riguardi delle mestruazioni il compito dell’educazione sessuale è più semplice. Alla ragazzina è opportuno dare qualche spiegazione al riguardo alquanto prima che le ricorrenze periodiche abbiano inizio, in modo da evitarle sorprese o traumi. È bene che anche i ragazzi siano bene informati sul fenomeno, altrimenti esso potrebbe apparire loro come qualcosa di strano, di penoso, di indecente. Vari problemi connessi alla fecondazione, all’ovulazione ecc. potranno essere ulteriormente approfonditi e chiariti in tali occasioni.
La questione degli avvicinamenti erotici dell’adolescente all’altro sesso è tale da non poter ricevere nell’assetto attuale della nostra società se non soluzioni approssimative. Da noi non esistono, come presso i Muria dell’India, « case di adolescenti » in cui questi possano fare all’amore, né si possono d’altronde incoraggiare i rapporti sessuali incompleti (quelli che gli americani comprendono sotto il nome di petting) non già per ragioni morali, quanto perché causa di frustrazioni, di irritazione neuropsichica e alla lunga di condizionamenti negativi rispetto a un’ulteriore attività sessuale completa. Io credo che sia giocoforza far presente ai giovani tutto ciò, invitandoli a limitare le loro effusioni e ad attendere, lasciandoli comunque sotto l’impressione che ciò che vien detto loro non è un ordine, bensì un avviso di ordine soprattutto pratico, che ognuno può in sostanza misconoscere ma – beninteso, ripeto, nell’assetto attuale della nostra società – a suo rischio e pericolo. Oggi, credo, non è dato fare di più. Giova sperare che in una società meglio organizzata, l’attesa a cui il giovane viene esortato venga meglio e più ampiamente compensata di quanto non è dato nei nostri climi fare attualmente.
II
Signore e signori,
Come credo di avere indicato abbastanza chiaramente nella precedente conversazione, la funzione dei genitori nell’educazione sessuale è unica e insostituibile, dato che nei primi anni di vita del bambino essa si attua assai più attraverso il sentimento e il comportamento che non dando spiegazioni e impartendo nozioni. Se dunque si può ammettere che quando il fanciullo raggiunge una certa età l’educazione sessuale venga affidata a un insegnante o ad uno specialista, ciò non può neanche concepirsi se ci si riferisce al bambino dalla nascita fino ai 6 o 7 anni. Ma appunto perché la funzione dei genitori è per gran parte fondata sulla loro sensibilità e sui loro atteggiamenti di base, appare chiaro che per poter essere degni strumenti di illuminazione e di guida, essi debbono avere raggiunto una certa chiarezza interiore nei riguardi dei problemi sessuali. Purtroppo, secoli di inibizioni e di interdizioni hanno lasciato le loro impronte anche su molti genitori di oggi che vorrebbero essere spregiudicati e moderni. A parecchi psicologi o studiosi del problema è capitato di incontrare genitori che avevano letto libri sull’educazione sessuale, ma che si comportavano sovente verso i bambini come se non li avessero letti, rimproverandoli se inavvertitamente scoprivano certe parti del corpo, o se mostravano curiosità guardando nel bagno un fratellino o una sorellina. Non a caso è stato detto che una madre, per poter bene educare il bambino anche e specialmente in questo delicato settore, dovrebbe essa stessa avere una vita sessuale soddisfacente. Non si può certo attendersi che un bambino affronti con tranquillità e disinvoltura la propria evoluzione e i propri problemi sessuali se avverte che i genitori sono insicuri, insoddisfatti, in preda a conflitti e a preoccupazioni dello stesso ordine.
I bambini – ormai tutti lo sanno – percepiscono molte cose senza averne l’aria, e quando mostrano reticenza o vergogna rispetto a certe questioni, si può star sicuri che essi hanno subito un influenzamento negativo da parte dei genitori, anche se questi non lo hanno mai manifestato apertamente. Da ciò la sorprendente disparità fra quello che i genitori riferiscono ad altri genitori circa i loro rispettivi bambini. La frase « I miei bambini non mi hanno mai chiesto nulla » é tutt’altro che rassicurante, e fa pensare che quei bambini sentissero oscuramente che non era il caso di manifestare e verbalizzare certe loro curiosità. E’ quasi superfluo dire che schiettezza e disinvoltura non vogliono dire mancanza di ritegno da parte dei genitori: la buona educazione è fatta anche di riservatezza, e sarebbero ben poco illuminati quei genitori che in nome di un malinteso spirito progressista passeggiassero nudi per la casa o facessero assistere i bambini alle loro intimità. Fra l’altro, come insegna la clinica psicoanalitica, l’apparato psichico del bambino non è preparato a certe impressioni, che hanno per lui valore traumatico, e le cui conseguenze si riscontrano poi in molti casi di nevrosi adulta. A tale riguardo è generalmente consigliabile che appena le circostanze lo permettono, i bambini non dormano nella stessa camera con i genitori. Sappiamo naturalmente come in certi centri sovraffollati la cosa sia di difficile attuazione; in tale caso occorrerà che i genitori si controllino un po’ di più, senza perciò adottare atteggiamenti furtivi, pieni di sottintesi, di reticenze e di imbarazzi.
Nella conversazione precedente ho sommariamente indicato quali dovrebbero essere gli atteggiamenti dei genitori, e in particolar modo della madre, di fronte alle varie fasi attraverso cui si svolge l’evoluzione sessuale infantile: fase orale, fase uretrale, fase anale, fase genitale. Ricorderò qui ancora che il bambino, dalla nascita ai 5 o 6 anni, manifesta vari impulsi cosiddetti « parziali », che occorre considerare con altrettanta benevolenza quanto quelli che trovano esecuzione attraverso particolari organi o funzioni. Il bambino può mostrarsi volta a volta desideroso di esibire le proprie nudità o di guardare quelle altrui, può avere spunti di crudeltà verso animali o verso altri bambini; non c’è da preoccuparsene, e tanto meno da adontarsene. La sessualità nei primi anni della vita è frazionata e dispersiva, e si coordina in modi più stabili e definitivi soltanto alla pubertà. Nella maggior parte dei casi l’intervento attivo dei genitori è superfluo perché le anzidette velleità tramontano presto. In altri casi la funzione dei genitori dev’essere quella di chi blandamente corregge, indica e spiega.
Siamo giunti così al livello delle spiegazioni: anche questo è un compito al quale i genitori non possono sottrarsi. Il bambino intelligente e fiducioso verso i genitori non può non rivolgere agli stessi una quantità di domande, il cui tenore e la cui portata variano beninteso a seconda dell’età. Nei primi anni di vita le domande si riferiscono in genere al corpo, agli organi sessuali del bambino stesso o di eventuali fratellini e sorelline, a come si viene al mondo, ecc. Non si può certo pensare che rispondere sia per tutti i genitori, anche volonterosi, una cosa semplice. Per qualcuno, all’inizio, spiegare certe cose al bambino può far venire i sudori freddi, tanto agiscono ancora in molti di noi certe assurde influenze tradizionali! Tuttavia è bene sapere che il bambino pone di solito le anzidette domande con la stessa tranquillità con cui può chiedere perché l’auto si muove o che cosa fa sollevare un aeroplano. Perciò il genitore interrogato non deve neanche per un istante pensare di dover rispondere come prescriverebbe un testo, o entro confini e con termini tassativi ed esaurienti. A un bambino di 3-4 anni è inutile spiegare per filo e per segno le differenze tra l’apparato genitale maschile e quello femminile, così come sarebbe inutile spiegargli la differenza tra una turbina e un motore a scoppio: non capirebbe né in un caso né nell’altro. Il più delle volte, le risposte devono procedere per gradi senza anticipare le domande. Al figlioletto che chiede come nascono i bambini basterà dire che crescono nella loro mamma, salvo poi a rispondere volta a volta alle domande successive che probabilmente saranno: in che posto crescono? e prima che cosa c’era lì? che cosa mangia il bambino prima di nascere? com’è che si sa quando deve uscire? e perché ci dev’essere un padre? ecc. ecc. Se ci si pensa un momento, si vedrà che in fondo le risposte alle suddette o a consimili domande vengono abbastanza spontanee. Ecco ad un esempio un approccio a una delle questioni considerate in genere più difficili: quella relativa alla fecondazione. « Il babbo produce delle cose simili alle uova che la mamma ha dentro di sé; soltanto sono così piccole che non le puoi vedere. Un bambino non comincia a crescere se un piccolissimo uovo del padre non si unisce con un uovo della mamma. Ecco perché i bambini debbono avere un padre ». Non molto più complicato è spiegare al bambino il modo in cui il babbo depone il suo piccolissimo uovo nella mamma. Ripetiamo: la descrizione di questi processi non turba minimamente il bambino, solo il turbamento del genitore può metterlo a disagio.
Il fatto che il nostro accento sia stato risolutamente posto sui fattori emozionali e psicologi dell’educazione sessuale da parte dei genitori, non significa che questi non debbano cercare, con un poco di buona volontà e di pazienza, di coordinare e sistemare le loro conoscenze in materia. Esistono ormai molti libri sull’argomento della educazione sessuale, così come esistono manuali e trattati sistematici di sessuologia. Talune nozioni elementari di anatomia e di fisiologia sono pur necessarie se non vuole rimanere interdetti dinnanzi a domande semplicissime quali la funzione dei testicoli, o la localizzazione dell’utero. Tuttavia i genitori non dovrebbero sentirsi perduti dinnanzi a quesiti ai quali lì per lì non sanno rispondere. Meglio dire tranquillamente: « non lo so, caro: te lo saprò dire un’altra volta », che cercare di rispondere ad ogni costo, sbagliare e impappinarsi. Qualche volta i bambini pongono domande di ordine prettamente scientifico, come ad esempio « che cos’è che determina la nascita di un maschietto piuttosto che quella di una bambina »; e non è detto che tutti i genitori sappiano rispondere lì per lì.
Parecchie delle considerazioni che abbiamo fatto a proposito dei genitori valgono anche per quei maestri o docenti ai quali, in certe aree di cultura, viene affidato il compito di impartire corsi di educazione sessuale a classi di alunni. E’ sin troppo ovvio che chi si accinge a educare dovrebbe essere egli stesso educato, ossia avere una vita sessuale soddisfacente, normale, non soffrire di particolari inibizioni, sapersi esprimere con franchezza, con chiarezza, e avere – perché no? – anche un certo senso di bonario umorismo. La materia è degna e importante, ma non la si deve drammatizzare. Beninteso chi tiene un corso scolastico sull’educazione sessuale si suppone che possegga una dose adeguata di nozioni in materia, che sia capace di fare qualche rudimentale disegno alla lavagna, che conosca bene la terminologia.
Tuttavia ha ben ragione uno specialista inglese dell’argomento, Ciril Bibby, quando scrive che « se si tratta di scegliere tra un adulto libero da ogni sorta di imbarazzo, che comprende i bambini, che è onesto, sensibile, di larghe vedute, ma che ha una preparazione accademica un po’ scarsa, e un esperto biologo che ha una specifica conoscenza della biologia, della psicologia, della sociologia, che sa scrivere saggi e articoli sulla tecnica dell’educazione, ma che manca delle qualità umane che l’altro possiede, il primo è in ogni caso preferibile ». Non si sa forse e d’altronde, per finire su questo punto, che già molto tempo addietro le buone madri e le brave balie la sapevano più lunga in fatto di bambini che non certi specialisti di pedagogia scientifica o di psicologia infantile?
Dato che queste conversazioni non intendono e comunque non potrebbero costituire un succedaneo o un sommario della vasta letteratura ormai esistente in tema di educazione sessuale, non tenterò neppure di abbozzare uno schema di corsi di educazione sessuale per le scuole elementari, o per le medie. E ciò a prescindere dal fatto che i Paesi che hanno istituito su larga scala simili corsi scolastici sono assai pochi. Inoltre i programmi dei corsi di educazione sessuale debbono tener conto del clima familiare e sociale che precede o che accompagna l’età scolare, e tutti sanno quanto questo sia diverso da parallelo a parallelo, da popolo a popolo. Anziché affrontare temi così vasti e controversi, cercherò qui di occuparmi di quello che può svolgersi nell’ambiente scolastico anche dopo, al di fuori dell’opera sistematica di insegnamento, supponendo cioè che la scuola abbia fatto o stia facendo tutto quello che le spettava, presentando i fenomeni biologici del sesso e soddisfacendo le varie curiosità e i vari interessi degli alunni a tale riguardo. Nella scuola però i problemi sessuali non sono limitati alle lezioni e ai corsi, e l’insegnante o il direttore non dovrebbero ignorarli, anche se non spetta direttamente a loro impartire nozioni specifiche e sistematiche. Ciò vale specialmente per quei casi in cui il ragazzino o la ragazzina trascorrono a scuola molte ore della giornata e ancora più, naturalmente, per quelle istituzioni in cui i fanciulli o i ragazzi vivono in permanenza lontani dalle rispettive famiglie. Qualsiasi maestro, anche colui o colei che limita la sua opera alle lezioni obbligatorie e che non intende occuparsi d’altro, può trovarsi improvvisamente di fronte a qualche situazione che richiede il suo intervento, ed è bene pertanto che sappia in linea di massima di che cosa si tratta e come convenga comportarsi.
I problemi sessuali nella scuola, anche a prescindere dagli eventuali, regolari corsi di educazione sessuale, possono essere assai vari: tra gli alunni p. es. possono circolare biglietti o immagini a contenuto specifico quasi sempre osceno. Scritti o disegni del genere non sono infrequenti nelle toilettes o in altri luoghi appartati. Tra i banchi o durante le ore di ricreazione possono essere passate di mano in mano fotografie di nudi o giornaletti semi-pornografici. Una mia paziente-allieva me ne ha citato un esempio proprio ieri. Come deve regolarsi l’insegnante in casi del genere? Quanto ho detto nella conversazione precedente, lascia a priori intendere che mostrarsi scandalizzati, adirarsi, promettere o attuare provvedimenti punitivi o far finta di niente, non sarebbero atteggiamenti conformi ai principi di una educazione sessuale modernamente intesa. L’insegnante il quale si imbatte in qualcuno degli anzidetti problemi deve tener presenti due cose: 1) che le manifestazioni in questione sono comunque esponenti di esigenze insoddisfatte che occorre prendere in considerazione, per commentarle, chiarirle e possibilmente istradarle meglio; 2) che le esigenze suddette non possono manifestarsi che in modi primitivi, rozzi e ingenui (molti adulti potrebbero essere inclini a definirli volgari), perché sono proprio quelli i modi in cui si esprime per larga parte la psiche del bambino e del ragazzo a quella età! Se un bambino non particolarmente dotato disegna un cavallo al galoppo vi aspettate forse uno studio da Accademia di belle arti?! Caso per caso, l’insegnante dovrebbe vedere di che cosa si tratta, chiarire, spiegare e, se necessario, ammonire. A proposito di qualche scritto o disegno, potrà ulteriormente illustrare i fatti a cui esso si riferisce sottolineando senza parere il modo approssimativo e antiestetico in cui nel 99% dei casi i fatti stessi sono stati descritti o raffigurati. A brutti disegni di persone nude che circolavano in una classe, un insegnante contrappose e mostrò agli scolari una serie di fotografie di quadri e di statue celebri, e studi di nudo disegnati da sommi artisti. In qualche caso l’insegnante può raccomandare al collega specialmente incaricato della materia di tornare su un dato argomento che gli scolari mostrano di avere travisato o che appaiono sentire tuttora come soggetto possibile di scherzi ridanciani o di scandalo. Alcune volte ci si potrà trovare dinnanzi a veri e propri problemi di psicopatologia. Vi sono ragazzini che sembrano ossessionati dalle loro fantasie sessuali a contenuto quasi sempre distorto, e che essi comunicano a destra e a sinistra, con effetti non desiderabili sui loro compagni. In simili casi è chiaro che l’insegnante non può prendere su di sé l’onere di una rieducazione psicologica o di un intervento psicoterapico, e che gli sarà giocoforza avvertire la famiglia o il direttore della scuola affinché il fanciullo possa essere affidato a uno psicologo competente o, in qualche raro caso, addirittura a uno psichiatra.
Quanto precede vale anche per quel che riguarda le eventuali curiosità o morbosità nei rapporti interpersonali tra scolari: rapporti che, specie nel caso di classi miste, possono presentare all’insegnante non pochi problemi. Gli spogliatoi, per esempio, possono essere teatro di vari episodi: imbarazzi, ammiccamenti, allusioni, i quali tutti dimostrano incertezza e conflitto per ciò che riguarda il corpo, la nudità ecc. Un insegnante il quale dica in simili casi molto semplicemente che non c’è nulla di scandaloso o di morboso nel corpo umano, anche se la società obbliga tutti quanti ad adottare certe coperture o certi abiti a seconda delle occasioni, eserciterà un’influenza salutare sui ragazzi e liquiderà, almeno in parte, certe prevenzioni e certi conflitti.
Per quanto riguarda i rapporti in genere tra ragazzi e ragazze nell’ambiente della scuola, il discorso è un po’ più complicato. Sarebbe oltremodo desiderabile che in una scuola mista i rapporti fra i giovani fossero franchi e sinceri, che i ragazzi considerassero con simpatia e benevolenza le loro compagne, e che queste non sentissero di doversi in qualche modo proteggere dalla maleducazione, dall’improprietà di linguaggio o dal comportamento aggressivo dei maschi. Indicazioni e opera di guida in tale senso potranno essere assai utili, specie nei riguardi di questi ultimi, dei maschi. Perché, se è vero che molti ragazzi considerano a volte le ragazzine con un misto di desiderio e di disprezzo, non è meno vero che essi non sono in genere insensibili a discorsi nei quali si faccia appello più o meno indirettamente alla loro cavalleria e al rispetto reciproco tra i sessi. A dire il vero in molte scuole, a quanto mi risulta, l’atmosfera appare al riguardo alquanto rischiarata in confronto a quello che era 30 o 40 anni fa. E non è raro il caso di ragazzi e ragazze che discutano tra loro con spregiudicata sincerità problemi inerenti al sesso, ai rapporti erotici o al matrimonio in modi talmente apprezzabili da non richiedere alcun contributo o intervento da parte degli educatori. Anche se tra un ragazzino e una ragazzina sorge un romanzetto, di solito con caratteristiche di idealizzazione mutua e senza conseguenze, non si vede perché l’insegnante dovrebbe tanto preoccuparsi. La cosa cambia aspetto qualora la relazione sia arrivata a comprendere vere e proprie esperienze sessuali: in tal caso l’insegnante non potrà non considerare, insieme ad altri, certi interventi risolutivi che nel nostro tipo di società non si possono evitare, specie qualora si tratti di soggetti che hanno appena raggiunto la pubertà o che magari non l’hanno ancora sfiorata. So bene che i rapporti in questione non costituiscono un problema per i Muria dell’India o per gli abitanti di certe isole della Melanesia, ma qui dobbiamo occuparci dei ragazzini delle nostre aree di cultura e non di popoli così distanti geograficamente e psicologicamente da noi.
Il problema dell’autoerotismo l’abbiamo trattato nella conversazione precedente, e qui io non posso se non brevemente sottolineare ciò che ho già detto, e cioè che si tratta di un fenomeno dell’età infantile o di quella puberale, transitorio e innocuo, a proposito del quale la maggiore preoccupazione degli educatori dovrebbe essere quella di non far sorgere nel fanciullo o nel ragazzo sentimenti di colpevolezza o paure di danneggiamento, entrambi del tutto irrazionali e fuori luogo. Non si può dire certo lo stesso dei possibili episodi di omosessualità, nei riguardi dei quali tuttavia non sarebbe male che l’insegnante cominciasse con l’effettuare in se stesso un’opera preventiva di sdrammatizzazione. Nel bambino molto piccolo, la corrente dell’istinto sessuale si rivolge spesso indifferentemente a oggetti del proprio sesso o di sesso diverso. Su un piano più o meno desessualizzato, un vivo interesse per individui del proprio sesso non è infrequente anche in adulti che noi consideriamo normali, e si sa bene che persino la vera e propria omosessualità aperta è stata considerata senza sfavore in varie epoche e presso vari popoli. Ciononostante, nel nostro tipo di cultura e nell’epoca nostra si tratta, da una certa età in poi, di una deviazione dell’impulso sessuale, che nell’ambito della scuola non può in alcuno modo essere accolta o ammessa. In certi casi qualche richiamo, qualche chiarimento, qualche esortazione potranno bastare; altre volte l’insegnante dovrà provvedere in modi più decisi, richiedendo l’intervento di altre autorità scolastiche o extrascolastiche.
Qualche volta l’oggetto di particolari « cotte » o infatuazioni è l’insegnante stesso: non pochi ragazzini sono o si credono innamorati della giovane maestra, ed è ancor più frequente il caso in cui una giovinetta consideri questo o quell’insegnante di sesso maschile con tremebonda adorazione. Nelle ragazze, ancor più che nei ragazzi, si verificano sovente anche grandi infatuazioni per insegnanti dello stesso sesso. E ciò si traduce non di rado verso la maestra in offerte di fiori, regaletti, persino lettere traboccanti di espressioni amorose. Io ho una cognata, insegnante di scuole medie, la quale mi ha fatto vedere alcune lettere appassionatissime che le sono state rivolte a varie riprese da due sue alunne. Quando simili manifestazioni oltrepassano un certo segno può essere spesso assai difficile all’insegnante invitare il soggetto a fare un esame della realtà, e a rendersi conto dell’irrazionalità del proprio sentimento, ma quale altra strada sarebbe mai possibile seguire?
Da tutto quello che precede si può chiaramente vedere che per un insegnante anche non specializzato l’educazione sessuale nella scuola non è materia di poco momento o che non debba spesso e volentieri riguardarlo molto da vicino. Tuttavia alcune, per lo meno, delle relative inevitabili difficoltà potranno essere superate se sarà stato possibile creare nella classe e nella scuola un’atmosfera di confidenza reciproca, di tolleranza e al tempo stesso di serietà e di dignità.
Sarà ora opportuno, io penso, considerare alcuni problemi di notevole rilievo come l’igiene del matrimonio, la gravidanza e la nascita. Tuttavia non vorrei neppure qui provare a sostituirmi a quello che si può facilmente trovare in manuali e trattati. Può essere più interessante, io credo, avvicinare gli anzidetti problemi da un altro angolo, quello dal quale possono vederli coloro che soprattutto noi intendiamo educare, ossia le ragazzine e i ragazzi. A tale scopo occorrerà tenere conto di quello che interessa i ragazzi stessi assai più che non di quello che può occupare o preoccupare gli educatori, le autorità scolastiche o gli scienziati. Prendiamo per esempio, e per cominciare, il tema del matrimonio. In base a molto di ciò che è stato via via riferito da insegnanti e da specialisti, occorre ammettere che le questioni legali o storiche inerenti a tale istituzione interessano pochissimo i fanciulli e gli adolescenti. Le domande che essi pongono sono in genere più concrete e circoscritte. Per esempio: se la moglie può concepire dopo il primo rapporto avuto con il marito; ogni quanto avvengono i rapporti; perché qualche volta nascono figli dopo diversi anni dal matrimonio; se è possibile o consigliare avere rapporti durante la gravidanza. Alcune delle anzidette domande sono comuni nei ragazzi e nelle ragazze; tra quelle che sono poste più sovente da queste ultime, troviamo le seguenti: qual’è la durata del rapporto sessuale; per quanto tempo si arrestano le mestruazioni quando si attende un bambino; perché una donna può avere molti rapporti senza rimanere necessariamente incinta; se si possono avere rapporti durante i periodi mensili; per quanto tempo occorre astenersi dai rapporti dopo che il bambino è nato; e via discorrendo. Se il ragazzino o la ragazzina ha avuto una sufficiente preparazione, ben di rado porrà domande ingenue o strambe come se baciarsi a lungo possa dar luogo a gravidanza o perché i rapporti sessuali – così fu chiesto da un ragazzo – debbano aver luogo di notte!
E’ bene comunque che gli educatori conoscano il tipo dei quesiti più frequenti e le relative risposte, salvo a consigliare all’interrogante di consultare un medico o uno specialista quando le domande esorbitino dalla competenza dell’educatore o richiedano interventi di ordine pratico. Sarà opportuno inoltre ricordare che se si parla a un gruppo composto prevalentemente o esclusivamente di ragazze, molte domande riguardano la gravidanza e la nascita: perché vengono le doglie; può un bambino nascere molto prima dei 9 mesi, e quando; che cos’è la placenta; che cosa succede del cordone ombelicale quand’è stato tagliato; se è giustificata la comune credenza nelle « voglie » materne; in che modo si forma il latte della madre. Come si vede, si tratta di domande che non sempre troveranno preparato l’educatore non specializzato. Se questi si sarà volonterosamente impegnato in un compito ancorché limitato di quest’ordine, sarà bene perciò che si informi con una certa accuratezza e in tempo utile.
E’ ben difficile che a un educatore non vengano poste, non già da fanciulli ma da adolescenti, domande relative al controllo delle nascite: così come è difficile e vorremmo dire impossibile indicare criteri generali da seguire nelle risposte, perché anche in questo caso vale la considerazione delle condizioni sociali, culturali e legali dei singoli Paesi; e diciamo legali a ragion veduta, perché in taluni Stati è vietato per legge dare informazioni pubbliche, tanto più quando possano apparire di incoraggiamento, sul controllo delle nascite e sulle varie tecniche anticoncezionali. Ma i quesiti dei ragazzi non possono mancare: come si fa a non avere bambini; qual è il mezzo più sicuro; è vero che nel ciclo mestruale della donna vi sono fasi in cui il concepimento non può avere luogo; perché alcune donne sono sterili; se gli antifecondativi sono contro natura; posto che sia lecito, come si fa a interrompere una gravidanza al primo stadio. E’ sin troppo chiaro che l’educatore, prima di rispondere a qualcuno dei suddetti interrogativi, dovrà far bene i conti con la propria coscienza, con il clima psicologico e ambientale, e magari con le leggi dello Stato di cui è cittadino. Tuttavia non è pensabile che possa evitarle.
Meno scabroso, io penso, è al giorno d’oggi il discorso sulle malattie veneree, discorso che – ahimè – da qualche anno a questa parte ha riacquistato importanza dato il recente nuovo aumento di tali malattie un po’ dappertutto dopo un periodo nel quale si era creduto alquanto ottimisticamente che esse fossero praticamente in via d’estinzione. Nelle domande che di solito ragazzi e ragazze fanno in proposito si rileva per lo più un’assenza di discriminazione fra questa o quella malattia, sui rispettivi modi di trasmissione, ecc. Quesiti frequenti sono perciò: è ereditaria la malattia venerea? si può trasmettere baciandosi? qual’è la cura più moderna? L’educatore, è quasi superfluo dirlo, dovrà in tali casi addivenire a qualche precisazione, spiegando, tanto per cominciare, la differenza – supponiamo – fra gonorrea e sifilide, i relativi modi di contagio, le rispettive cure. Ragazzi e ragazze sono peraltro interessati anche ad altri aspetti del problema: profilassi, effetti sulla salute generale anche dopo la guarigione, ripercussioni sulla salute della prole. Anche in questo caso certe domande possono trovare l’educatore impreparato, o essere tali da richiedere l’intervento di specialisti. Così ad esempio i quesiti relativi ai sintomi delle varie malattie veneree o quelli sulla vita media di taluni germi patogeni fuori del corpo umano.
Ho detto poc’anzi che le domande dei ragazzi sui grandi temi dell’amore fra adulti, del matrimonio, della gravidanza, ecc. hanno in genere un carattere molto concreto e circoscritto. Ciò non vuol dire però che essi siano insensibili agli aspetti morali e sociali degli anzidetti problemi e che non si prospettino le relative responsabilità. Una delle domande non infrequenti dei giovanissimi è quella ad esempio relativa ai rapporti sessuali fuori del matrimonio, alle ragioni per cui essi vengono spesso sconsigliati, ai riflessi tanto morali quanto sociali delle cosiddette unioni libere, e alla posizione sia dei genitori sia dei figli qualora la paternità e la maternità avvengano fuori dell’istituto matrimoniale. A un livello più modesto, ragazzi e ragazze possono chiedere se siano opportuni o meno i matrimoni tra persone di nazionalità diverse, o fra cugini, o se uno dei candidati al matrimonio ha questa o quell’altra malattia. Il problema dell’astinenza, delle sue motivazioni e della sua possibile nocività, è un altro di quelli che possono dare qualche grattacapo all’educatore, anche perché sulla risposta non vanno molto d’accordo né coloro che si ispirano a principi diversi di moralità, né gli stessi sessuologi, a prescindere dalla difficoltà già accennata di trovare una vera e buona soluzione alle esigenze sessuali dell’adolescente sul piano pratico nel nostro tipo di civiltà. Anche sul problema della prostituzione l’educatore potrà essere chiamato a dire la sua, e tutti sanno quanto esso sia vasto, complicato, antico, e di quanti elementi si debba tener conto qualora si voglia tentare di spiegare perché il fenomeno sussista ancora persino negli Stati più progrediti e malgrado l’avvenuto superamento di certe sue annose premesse economiche e sociali.
Facendo presente tutto ciò io non ho inteso affatto pretendere che l’educatore o l’insegnante debba farsi una vasta cultura su questioni così gravi e complesse; tuttavia sarà bene che alle relative domande egli possa rispondere sia con qualche chiarimento di massima, sia suggerendo qualche lettura da effettuare. La crescente diffusione della stampa e la possibilità, per molti ragazzi, di accedere facilmente alla lettura di giornali e di periodici, sono tali da aggiungere ulteriori quesiti a quelli già in numero tanto vasto che l’educatore può essere chiamato a fronteggiare. Titoli come « I figli della provetta » oppure « Avremo puerpere ottantenni » sono tali da sollevare la curiosità anche dei giovanissimi. Certi casi clamorosi di cosiddetti cambiamenti di sesso sono stati immediatamente discussi tra lettori di giovane età e sottoposti poi all’attenzione di educatori adulti. Ciò, per non dire dei frequenti delitti a sfondo sessuale, scandali, seduzioni di minori, omosessualità ecc., la cui descrizione può cadere sotto gli occhi di fanciulli e di adolescenti, data l’abitudine che gli adulti hanno di lasciare in giro giornali e riviste contenenti articoli e notizie di ogni genere. Per buona sorte le tipografie e gli editori vanno incontro anche ad altre esigenze costruttive e formative dei possibili lettori e abbiamo così oggi non soltanto molti opuscoli e libri che trattano adeguatamente, ai più vari livelli, dell’educazione sessuale, ma persino quotidiani e periodici che dedicano ogni tanto articoli seri sull’argomento. Viviamo in un’epoca in cui i cosiddetti mass media, ossia i mezzi di diffusione popolare delle informazioni, sono in continua espansione. Non c’è che da prenderne atto, lieti se in non poche occasioni questi mezzi possono servire alla propagazione della cultura, alla neutralizzazione di molte difficoltà emozionali e in sostanza alla preparazione di condizioni psicologiche, morali e sociali migliori, il che è stato appunto il fine che in modesti limiti io mi sono proposto con le conversazioni tenute in questa sede.
Voi vedete – per terminare – che, intesa nel senso che mi sono sforzato di mettere in evidenza in queste conversazioni, l’espressione « educazione sessuale » assume ben altro significato che non quello abituale e superficialmente inteso di distribuzione autorizzata di una serie di nozioni, quale esecuzione di propositi o di programmi le cui premesse non siano state neppure per un istante sfiorate. La parola « educare » è l’intensivo latino di educere, che vuol dire letteralmente trarre fuori, enucleare; educare significa quindi in primo luogo guardare in noi stessi, trarre fuori da noi stessi la nostra ragione più vera per poter destare, aiutare altri, i più giovani, a compiere la nostra stessa impresa. Ed è un’impresa non facile; l’ho detto, lo ripeto. Certe rèmore tradizionali, anche se virtualmente sorpassate nell’idea e nella predicazione di autorità sia laiche sia religiose, sono difficili ad allentarsi e a rimuoversi, cosicché non c’è da pensare propriamente a una « rivoluzione sessuale » (per adoperare un’espressione cara a certi sessuologi dell’ultima ora), bensì al massimo, io penso, ad una evoluzione sospinta e coadiuvata.
Le ricerche psicoanalitiche hanno mostrato tra l’altro che certe situazioni di conflitto tra l’espressione dinamica dell’istinto sessuale, la cosiddetta libido, e gli impulsi di aggressione e di distruzione, sono coessenziali alla natura umana e diventano parte integrante dell’apparato psichico già nel primo anno di vita, cosicché l’individuo troppo radicalmente liberato da certe inibizioni rischierebbe di trovarsi alle prese con nuove difficoltà e nuovi conflitti di origine inconscia e potrebbe essere sospinto su altre vie e verso altre forme di inibizione nevrotica, di comportamento nevrotico. Nelle cartelle del mio archivio dedicate ai problemi sessuali e ricche di innumerevoli documenti, ho non pochi esempi delle conseguenze nazionali o locali di una troppo rapida rivoluzione sessuale – esempi inglesi, tedeschi, danesi, svedesi, aree di cultura in cui tra i giovani la promiscuità sessuale tende bene spesso a rimpiazzare l’amore, in cui molti ragazzi ogni tanto si scatenano senza motivo apparente dedicandosi ad azioni distruttive e in cui, malgrado le misure igieniche e profilattiche alla portata di tutti, sono in aumento sia gli aborti artificiali sia le malattie veneree. Ma anche là dove esagerano, si confondono, si affannano e si contraddicono, i giovani ci aiutano a capire, contribuiscono alla nostra educazione. I ragazzi milanesi della « Zanzara » possono aver valutato male le loro forze, possono essersi cimentati con problemi di fronte ai quali anche i più consapevoli fra noi esitano a pronunciarsi. Ma, come ha scritto un illustre letterato, Carlo Bo, « lo spirito che li animava era santo, era sacro. Con la loro partecipazione ai problemi della vita di oggi hanno dimostrato di essere consapevoli, hanno dato un chiaro segno della loro responsabilità interiore. Se fossero stati diversi, se cioè fossero stati dei corrotti, si sarebbero limitati a prendere tutti i frutti bacati che l’albero della società, con grande spreco, offre nella meccanica quotidiana. Avrebbero – conclude Bo – offeso la vita ». E non senza commozione, lo confesso, io lessi una frase della diciottenne Claudia, la giovane liceale cattolica allora incriminata e poi assolta: « A volte vedendo un adulto che ha rinunciato a sé stesso, che si è spento, penso con angoscia che forse, quand’era giovane, era così come noi siamo e vorremmo sempre essere ». E’ strano, ma nella mia opera di psicoanalista, che mi mette quotidianamente a contatto con le energie oscure e dirompenti della nevrosi, io ho imparato a valutare maggiormente le forze dell’Eros, di quell’amore con l’A maiuscola su cui anche Freud, pessimista com’era, in fondo puntava allorché esprimeva la speranza che alla fin fine le energie della conservazione e dell’amore avrebbero avuto la meglio su quelle della nevrosi, della distruzione e della morte. Io ho fiducia nell’odierna crescente consapevolezza delle immense riserve di energia contenute nell’enigma dell’incontro a due, nella meraviglia sempre rinnovata delle tre parole: « lo ti amo ». Ho fiducia nei giovani, dai quali possiamo apprendere e a cui, più edotti e rischiarati noi stessi, potremo, dovremo, dobbiamo insegnare. Io confido che un’educazione a largo raggio di schiere sempre più vaste di individui possa riscattare e salvaguardare più libera e serena una dimensione che è stata ab origine propria dell’uomo e che non può, non deve essere conculcata da bieche paure ancestrali, così come non deve essere ridotta a semplice deflusso di impulsi ciechi e indiscriminati. Se qualche mia parola avrà suscitato anche in voi un consenso non soltanto della mente ma del cuore, avremo dato insieme, nella modestia dei nostri limiti, un piccolo contributo al nostro miglioramento e alla conseguente chiarificazione del dialogo tra l’oggi e il domani, tra noi ed i nostri figli.
Emilio Servadio