«Vodùn» e «Candomblé», ovvero, la ritualizzazione catartica delle fantasie primarie
Riunione scientifica del 13 Dicembre 1966
La relazione scientifica si basa sul materiale osservato nel corso di un viaggio di ricerca compiuto ad Haiti e nel Brasile.
Dopo aver premesso notizie politiche, economiche e culturali sull’isola di Haiti, l’A. riassume le condizioni etnologiche acquisite sulle divinità, sulla teogonia, sul culto e sui riti Vodùn. Insiste particolarmente sulla crisi di possessione che si osserva in partecipanti a tali riti, descrivendola nelle sue varie fasi e ricordando le teorie che sono state formulate in proposito. Si sofferma altresì sull’importanza delle danze e dei ritmi impliciti in tali riti e destinati a sollecitare le modificazioni psicologiche che predispongono alla crisi di possessione. Sulla scorta dell’autore haitiano che più si è occupato di tali fenomeni, Louis Mars, l’A. riassume i meccanismi psicologici (essenzialmente identificazione e proiezione) che ispirano la crisi di possessione la quale non è assimilabile a fenomeni patologici ben noti, quali le crisi isteriche, ma va piuttosto intesa come manifestazione normale nel quadro di una mentalità haitiana in preda all’angoscia per le condizioni locali di vita, qualcosa situato a mezza strada fra il fenomeno religioso e l’elaborazione teatrale, tanto che è stato definito infatti «etnodramma ».
Servadio passa quindi ad analizzare alcuni aspetti particolari della crisi di possessione, a cominciare dal fatto che il posseduto si identifica con la «cavalcatura» di un determinato spirito o «loa» che lo possiede. Riaccostando tale fenomeno a quello dell’incubo, descritto da Jones, Servadio ricorda che quest’ultimo corrisponde alla fantasia inconscia di essere aggrediti sessualmente da una figura che rappresenta simbolicamente quella paterna o materna. I riti del Vodùn sono stati perciò interpretati analiticamente da Mars e Devereux come incubi socializzati, che si svolgono cioè secondo linee direttive collettive più che individuali. Dunque, le cerimonie del Vodijn sono animate da fantasie primarie pregenitali che vengono socializzate e ritualizzate con l’ausilio di simboli sadomasochistici (sacrifici), anali (imbrattamenti) e fallici e da ingredienti magici.
Altro aspetto importante è la funzione catartica, terapeutica di tali riti. Ad Haiti non esistono malattie psicosomatiche e le nevrosi sintomatiche non sono gravi come nei paesi occidentali. La differenza fra la genesi del senso di identità occidentale e di quello haitiano è fondamentale a questo proposito. Il ruolo dei genitori nello sviluppo psichico dei figli appare completamente diverso.
Ad Haiti i genitori non sono altro che intermediari tra il bambino e i genitori collettivi ancestrali, rappresentati dai « loas ». Il Vodùn appare allora come una forma di psicoterapia preventiva e collettiva, che li mette in rapporto con qualcosa di preterindividuale e che trascende il razionale, cioè che realizza quei contatti regolari tra coscienza ed inconscio che l’occidentale ha perduto.
Molto di quello che si è detto sul Vodùn si applica ai riti del Candomblé, che si svolgono in comunità di negri o di mulatti in certe zone del Brasile, e più specialmente nell’area di Bahia.
La figura principale dei riti Candomblé è il « pai-de-santo », o la « mâe de-santo », l’uno o l’altra dei quali presiede la comunità e sovraintende alle cerimonie. L’autorità sugli adepti è assoluta. Funzione ausiliaria esercitano il « pai-pequeno» o «mâe-pequena». I membri onorifici della setta sono gli « ogán » – il cui stesso nome ricorda gli houngans del Vodùn.
Vengono poi l’« alabê », o capo musico, e la « filha-de-santo ».
Ai loas del Vodùn corrispondono, nel Candomblé, gli « orixas » (pronuncia oriscià), o spiriti guida. A uno o più di questi sono dedicate le periodiche cerimonie.
La più tipica cerimonia Candomblé è la iniziazione di una «filha-desanto». Durante la cerimonia, la ragazza che viene in tal modo iniziata può rimanere parecchie ore in una sorta di trance ipnotica, durante la quale incarna uno « spirito » o « santo ».
Dapprima la ragazza viene confinata in una cameretta, e vi rimane per molti giorni, durante i quali la si prepara dottrinalmente al rito, le si insegnano formule e canti, ecc. La sua alimentazione è ridottissima, e la continenza sessuale è rigorosamente osservata. Nella camera non può entrare che la «mâe-de-santo» o una sua vice.
Il giorno dell’iniziazione hanno inizio danze e canti ritmici che durano anche diverse ore, mentre la novizia entra in trance. Durante la trance essa viene assoggettata ad interventi che possono variare a seconda delle comunità e a seconda dell’orixá che domina il rito. Fra questi può esservi anche la rasatura dei capelli, incisioni con spargimenti di sangue sulle braccia, aspersione con sostanze coloranti (di solito biacca, farina ecc.).
Nella seconda parte della cerimonia – non diversamente che nei riti Vodùn – vengono sacrificati piccoli animali (una capretta, o, più spesso due galli), e il loro sangue viene fatto gocciolare sulla testa della novizia. Piume di volatili le vengono appiccicate sulla testa e sulla fronte.
In questo modo il « battesimo » della novizia è completo. Essa ormai fa parte di pieno diritto della comunità, anche se deve rimanere nella cameretta almeno tutta la notte dopo l’iniziazione.
Data la comune origine africana, non fa meraviglia che i riti Vodùn e i riti Candomblé abbiano molte caratteristiche uguali o similari. Il pantheon degli orixás trova un suo parallelo nel mondo dei boas haitiani. Persino alcuni nomi di deità si somigliano: ad esempio quelli del dio ferrigno e guerriero Xangô. Analoga è la presenza, nei tabernacoli delle comunità dei due culti, di oggetti ed idoli appartenenti al soprannaturale cattolico. Nel Candomblé esistono addirittura simulacri del diavolo nella sua effige tradizionale, con corna e mantello. Occorre in molti casi tener buono questo orixá (il cui nome nel Candomblé è Exu, o Elêgbara), affinché non disturbi l’altro o gli altri spiriti più benevoli.
Le considerazioni di ordine etno-psicologico o psicoanalitico, fatte a proposito del Vodùn, sembrano potersi applicare per larga parte al Candomblé: nel quale tuttavia appaiono mancare le « crisi di possessione », con impersonazioni spesso movimentate o violente che caratterizzano il Vodùn. La trance dell’iniziato, o della novizia, appare più simile a quella di certi medium dei nostri climi. E’ stuporosa e ipnotico-simile.
Anche presso le comunità d’origine africana del Brasile, la ritualizzazione e la drammatizzazione di un mondo di fantasie primarie ha analoghi effetti di catarsi, e di periodico ricondizionamento. Tutta l’atmosfera delle cerimonie sembra oltremodo simile a quella percepita nella foresta haitiana.
Alla proiezione di fotografie ed all’ascolto di musiche originali sui riti Vodùn e Candomblé, ha fatto seguito la discussione.
Emilio Servadio