Processo a Sade
Gli oratori del giorno sett-ott. 1960
Ho pregato il professor Emilio Servadio, noto psicoanalista, di tracciare il profilo «umano» di Sade: «Il “caso Sade” – mi ha detto – presenta un enorme interesse psicologico-clinico, e farne un semplice dibattito significherebbe porre l’accento su un lato veramente accessorio del problema. La continua “protesta” dei personaggi di Sade – contro la divinità, le leggi e la morale – è troppo estremistica e veemente perché si possa prenderla alla lettera. Molto più plausibile è che si tratti di quello che, in termini psicoanalistici, si potrebbe chiamare un cospicuo “meccanismo di difesa”, in base al quale Sade, riconoscendo nelle profondità del suo inconscio la forza ineluttabile di certe istanze, le attacca disperatamente, esponendosi così in ultima analisi alla loro sanzione. Come si può, per fare un esempio, veramente credere all’ateismo di chi, specie nella “Philosophie dans le boudoir”, e nelle “Cent vingt journées de Sodome”, continuamente si scaglia contro lo divinità e la vilipende? Non è questo, nel fondo, l’atteggiamento di chi si contorce di fronte al supremo imperio di un Ente sotto la cui giustizia sa di dovere, alla fine, ineluttabilmente cadere?… Io sostengo che Sode, e sembra un paradosso, fosse non già un “sadista”, bensì un “masochista”. Che cioè il più profondo ed autentico impulso del “divino marchese” fosse volto non già a far soffrire gli altri, sebbene se stesso. Tutta la più recente ed illuminata esperienza psicoanalitica tende d’altronde a confermare, in sede clinica, l’idea espressa a suo tempo da Freud: che cioè il sadismo e il suo contrario, il masochismo, possono venire “mobilitati” a copertura ed a smentita l’una dell’altra. Questa tesi, come si vede, va molto oltre la dichiarazione del notissimo sessuologo Magnus Hirschfeld, secondo cui “sadismo e masochismo costituiscono in realtà una manifestazione positivo ed una manifestazione negativa di un solo ed unico impulso primario; e, pertanto, confermano la legge fondamentale della bipolarità”. Il Marchese de Sade era dunque, tutto sommato, non soltanto un “pervertito” (nel senso patologico-sessuale) e uno psicopatico, ma anche un individuo in preda a gravissimi conflitti inconsci: il suo comportamento tendeva a coprire ed a ridurre, con risultati fallimentari, le sue stesse tendenze ad autoledersi e ad auto-distruggersi…».
Vincenzo Papi