Considerazioni sulle facoltà metagnomiche
Luce e Ombra 1931
Frutto di una lunga esperienza sono le osservazioni esposte dal dr. Osty, nel n. 2 (marzo-aprile) della « Revue Métapsychique », in merito alla facoltà di conoscenza sopranormale e ai soggetti presso i quali essa si manifesta. E’ opportuno riassumerle, appunto per il loro carattere didattico e propedeutico, e per l’utilità che può quindi derivarne a chi si accinga a sperimentare in questo campo.
Il dr. Osty premette che « ogni essere umano ha, in potenza, la facoltà di prender nozione del reale altrimenti che con l’uso dei cinque sensi e della ragione ». Tale facoltà si manifesta però, in grado notevole, presso alcuni individui eccezionali, mentre nei più essa affiora sporadicamente, e spontaneamente, in speciali circostanze. Occorre dunque vedere come la si possa riconoscere e, nei soggetti adatti, sviluppare in modo soddisfacente.
Non essendo in pratica possibile sottoporre un numero molto grande di persone alle prove necessarie, occorrerà rivolgersi di preferenza a quelle che hanno già avuto qualche esperienza spontanea di carattere metagnomico. A questo proposito l’Osty osserva che tra coloro i quali presentano spontaneamente, con una certa frequenza, la facoltà di conoscenza sopranormale, si possono distinguere due categorie fondamentali d’individui: quelli presso cui essa lavora « egoisticamente », cioè solo avvertendoli di fatti che li riguardano da vicino, e quelli ch’essa informa di eventi estranei, gli « altruisti ». Oltre a queste, molte sono le speciali forme che la facoltà assume nei singoli sensitivi, cosicché non si dovrà abbandonare un soggetto se non dopo aver sperimentato col suo concorso, e ripetutamente, le principali di queste forme, comprese quelle di scrittura automatica, di cristalloscopia, ecc., ecc. L’Osty cita l’esempio della celebre chiaroveggente M.me Fr.(aya), presso cui la facoltà metagnomica si manifestò attraverso la chiromanzia, da lei provata dapprima senza alcuna fiducia.
Quanto ai metodi per lo sviluppo delle facoltà di chiaroveggenza, l’Osty formula alcune direttive. Con l’esercizio, egli afferma, « la dissociazione psichica funzionale, che condiziona l’attività metagnomica, diventa sempre più facile; la rappresentazione mentale delle informazioni avute in via di conoscenza sopranormale aumenta di forza e d’ingegnosità; la coscienza dei soggetti interpreta sempre meglio queste rappresentazioni mentali ».
Per comprendere la portata delle tre proposizioni anzidette, occorre precisare alcuni punti. La « dissociazione psichica funzionale », a un grado minore o maggiore, è condizione indispensabile perchè un altro piano psichico, che non è quello della coscienza, entri in funzione e « informi » la coscienza stessa mediante una serie di immagini mentali. L’Osty, con l’aiuto di alcuni schemi assai indovinati, spiega in che cosa la nozione « ortodossa » del psichismo (che non ammette « vie d’informazione » della subcoscienza diverse da quelle sensoriali) differisca da quella «metapsichica», che invece le ammette; e in che cosa altresì si differenzi, sempre schematicamente, il fenomeno fortuito e spontaneo di conoscenza sopranormale (in cui il « piano trascendente » del psichismo si collega subitaneamente e fortuitamente con la coscienza ordinaria) dal vero e proprio stato dissociativo di coscienza, che è proprio della « transe » metapsichica, per cui il collegamento suddetto si compie in grado assai maggiore e più continuo. Gli apporti del «piano trascendente» diventano, con l’esercizio, sempre più frequenti, in quanto più agevole diventa, per il soggetto, il porsi nello stato di dissociazione psichica funzionale che li rende possibili.
Quanto alla rappresentazione mentale di questi apporti, è chiaro che per un soggetto non esercitato essa sarà imprecisa, labile, piena d’incertezze e di lacune. Poco a poco, in seguito, essa si fa più netta, e il sensitivo impara a « conoscersi » ; a interpretare e obbiettivare, talvolta sino al punto di poterle percepire come esterne e reali, le immagini pervenute alla sua coscienza per via paranormale. I simboli, le allegorie, i particolari processi di associazione propri di ogni singolo soggetto, diventano infine a lui stesso sempre più chiari. L’Osty, esemplificando, cita alcune speciali forme in cui si manifestano le facoltà metagnomiche di Pascal Forthuny, e mostra come un’immagine, non interpretata rettamente, possa fuorviare un soggetto; mentre questi, una volta resosi più consapevole del funzionamento della sua facoltà, non cade più negli errori dei primi tempi.
Ecco, quindi, alcune regole che secondo l’Osty debbono seguirsi per sviluppare la conoscenza metagnomica in un individuo che l’abbia presentata embrionalmente: esclusione del sentimento di vanità nel soggetto; rispetto scrupoloso della sua « trance » (evitare le interrogazioni inutili, le interruzioni, ecc.); uso eventuale di artifici (bicchier d’acqua, palmo della mano, ecc., secondo i casi) per rinforzarla; studio del meccanismo simbolistico delle rappresentazioni, e istruzione conforme del soggetto da parte dello sperimentatore; applicazione della facoltà metagnomica nei soli confronti di realtà controllabili; esclusione delle suggestioni, coscienti o incoscienti; ecc., ecc.
L’Osty ritiene, infine, che si potrà sempre meglio appurare il rapporto che corre tra lo stato fisiopsichico di un soggetto e le sue disposizioni all’esercizio della metagnomia, e prevede una fisica e una fisiologia avvenire della conoscenza sopranormale. Allora, egli scrive, « si saprà perchè il corpo umano diventi atto alla manifestazione di tale conoscenza, e quindi come se ne possano realizzare le condizioni, a volontà e nel miglior modo possibile ».
Emilio Servadio