L’ultima Hélène Smith
Luce e Ombra 1933
Gli studi magistrali di Théodore Flournoy (1) sono, dovrebbero essere, ben noti a chi si occupa di ricerche psichiche. Essi hanno resa familiare al mondo scientifico l’interessante personalità di Elise Muller, alias Hélène Smith, e hanno illustrato nel modo più esauriente possibile la forma e le caratteristiche della sua prima medianità.
Dopo le indagini del Flournoy, peraltro, non sono apparsi, su Hélène Smith, che pochi saggi parziali (2), oltre ai soliti articoli giornalistici senza importanza. Difficilmente anche coloro che avevano letto i lavori del Lemaitre (cfr. nota 2) hanno potuto seguire, da un punto di vista psicologico, l’ulteriore evoluzione di questa medium. A colmare tale grave lacuna è da poco giunta un’accuratissima opera di W. Deonna ( 3): cosicchè ormai la vita e l’opera di Hélène Smith sono perfettamente studiate e inquadrate. Questo, e i due lavori del Flournoy, esauriscono il «problema Smith», sul quale, dopo di essi, e dato che la protagonista è morta nel 1929, non molto, pensiamo, si potrà ulteriormente dire.
Già il Flournoy aveva dato cenni espliciti (4) intorno al disaccordo sopravvenuto tra lui ed Hélène Smith dopo la pubblicazione di Des Indes à la planète Mars. Persuasa dell’origine soprannaturale dei suoi scritti e delle sue «incarnazioni», la medium ginevrina finisce ben presto col detestare colui che ha sottoposto tali «produzioni» alla fredda indagine scientifica. Vari passi di lettere, riportati dal Deonna, attestano questo risentimento della Smith: risentimento cui si aggiunge, più tardi, quello nei confronti dei gruppi di spiritisti e di fanatici che la circondano, l’assediano, vorrebbero sfruttarla ai loro fini. Da quest’epoca in poi Hélène Smith sarà per un certo aspetto sola, per altri versi a contatto con larghe masse di persone; ma la sua opera non sarà più, comunque, in funzione di uno studioso o di un gruppo: sarà opera individuale, posta al servizio di cause ritenute ultraterrene.
Il secondo ciclo delle manifestazioni medianiche di Hélène Smith consiste, come abbiamo accennato, in una serie di raffigurazioni pittoriche, quasi tutte di soggetto sacro (5). Già alla fine di luglio del 1900 la Smith aveva avuto, di notte, la visione della testa luminosa di Cristo; il 2 dicembre 1903 le si ripresenta una visione analoga, ed essa sente la voce di Leopoldo (6) che ingiunge a più riprese: « Lo disegnerai ».
L’8 gennaio 1904 Hélène Smith, in istato sonnambolico, traccia a matita la testa del Cristo, che è la prima espressione compiuta della nuova serie di produzioni paranormali. (Antecedentemente essa aveva soltanto disegnato paesi e personaggi « marziali »: pochi schizzi a penna, di carattere infantile, riprodotti nell’opera di Flournoy).
Al disegno a matita seguono, in ordine cronologico, le seguenti pitture a olio: Testa di Cristo (1905), Testa della Vergine (1905), Cristo a Getsemani (1905-7), Il Crocifisso (1906-8), Gesù sulla via di Emmaus (1909-10), La Trasfigurazione (1911), La Sacra Famiglia (1911-12), Elena e il suo Angelo custode (1912), La Vergine della Croce (1912-13), Giuda (1913), La figlia di Giairo (1913). Unica pittura di soggetto non religioso è il Ritratto di Cagliostro (1908-9). Quadri non condotti a termine: L’Angelo della Pace, Il battesimo di Cristo e l’effigie di un « grande amico italiano» della Smith, morto nel 1915.
Il modo con cui la medium concepisce, inizia e conduce a termine i quadri merita la più attenta considerazione. Cercheremo di riassumerlo in brevi parole.
Hélène Smith ha, inizialmente, una visione complessiva del dipinto: visione che assume per essa tutti i caratteri dell’obiettività, ma che effettivamente è solo allucinatoria. Un angiolo, o un altro personaggio celestiale, le parla, le dà consigli, ordini, ecc., relativamente alla pittura da eseguire. Dopo un tempo più o meno lungo (talvolta l’intervallo è di molti mesi) la visione si ripete sulla superficie destinata al quadro (quasi sempre i dipinti vengono eseguiti su legno); ma non già nella sua iniziale completezza, bensì solo parzialmente. In stato di completa incoscienza la medium dipinge meccanicamente il particolare visualizzato, e lavora in genere con le dita, senza pennello. Appaiono così p. es. successivamente, allorché essa si desta, uno sfondo dl paese, gli occhi di un personaggio, la mano di un altro, un cane, un oggetto, senza che si possa capire l’organizzazione finale del dipinto. Ma la Smith prosegue senza esitare, guidata ciecamente dalle sue visioni. E da ultimo i vari elementi si compongono, si fondono, formano il quadro. Questo, discutibile in sede estetica, è però del tutto omogeneo, razionale, veristico, e non tradisce affatto il modo eccezionale con cui è stato eseguito (cfr. figg. 4, 5 e 6).
Prima di esaminare i quadri come tali, cioè come espressioni analoghe, sotto altra forma, alle manifestazioni del «ciclo Flournoy», dovremo cercare di ragguagliarci più esattamente sulla personalità di Hélène Smith, e sul « clima » psicologico che ha consentito tanto gli uni quanto le altre. I nuovi elementi forniti dalla stessa Smith, e i progressi compiuti dalle scienze psicologiche da una trentina d’anni a questa parte, hanno consentito allo stesso Deonna, che pure è archeologo e non psicologo, di procedere ad alcuni accertamenti in proposito: accertamenti che noi riassumeremo e tenteremo di completare per quanto ci sarà possibile.
Giova anzitutto osservare che le manifestazioni del «ciclo Flournoy» (manifestazioni assai tipiche ed originali, ma non poi senza precedenti né senza analogie) sono state, al pari di quelle del ciclo successivo, mezzi dei quali la personalità inconscia di Hélène Smith si è servita per esprimere le proprie tendenze. Solo una vera e propria analisi avrebbe permesso di chiarire con precisione le cause prime di tali tendenze; qui dobbiamo accontentarci di verificarle e di interpretarne il senso. Appare dunque abbastanza evidente a un primo esame che la Smith, insoddisfatta del suo stato familiare, della sua situazione sociale e delle sue condizioni psico-fisiologiche, ha proiettato i suoi desideri latenti nelle personalità fittizie di Maria Antonietta, della principessa Simandini, di Cagliostro dapprima, e poi della Vergine, di Cristo, degli angeli e del suo «grande amico» lontano. Le « fasi principesche » tradiscono quello che è un segno frequente di certe nevrosi e psicosi, ossia la credenza a una illustre origine (si pensi in proposito agli «spiriti-guida» di molti medium: capi pellirosse, antichi corsari celebri, grandi uomini del passato, maestosi saggi d’Oriente). Nelle figure immaginarie di Cagliostro, dell’Angelo custode, del Cristo, Hélène Smith proietta i suoi desideri inappagati e sublimati di donna nubile. Nella realtà questa traslazione di sentimenti rimossi si effettua su persone della categoria del padre: il prof. Flournoy, l’abate G., il «grande amico d’Italia». Per contro, sembrerebbe che nei confronti di persone della categoria materna Hélène Smith finisse col ripetere antiche situazioni di antagonismo. Una signora americana che l’ha largamente beneficata, consentendole una vita indipendente, viene da lei maltrattata, e la Smith sembra poco tempo dopo soddisfatta nell’apprendere che quella signora è stata colpita da paralisi, ravvisando in ciò una punizione divina. E’ presumibile che uno dei fattori più importanti delle sue manifestazioni sia stato in Hélène Smith il cosiddetto « complesso edipico» non ben superato.
Nelle visioni di Hélène Smith la traslazione positiva appare con maggior frequenza: Cristo, il « grande amico », Cagliostro l’abbracciano affettuosamente, la baciano in fronte, le porgono rami di fiori il cui simbolismo non sfuggirà a chi conosca anche un poco le tipiche « equazioni » dell’inconscio. Anche qui notiamo i meccanismi dello spostamento e della sublimazione di tendenze rimosse. Il Deonna considera con notevole acume, alla luce del simbolismo psicoanalitico, vari ‘sogni e visioni della medium: quello di una colomba (p. 10), in cui è una condensazione di significati («purezza» di Hélène, raffigurazione fallica); quello di un giardino, di un ponticello da attraversare, di un uomo che l’attende dall’altra parte e che essa sfugge indietreggiando e penetrando in un luogo chiuso (pp. 60:-61: qui i simboli sono, così chiari che non mette conto neppure di menzionarli); quelli, varie volte ripetuti (p. 102 segg., 246), in cui Hélène è come ossessionata dal numero 3 (simbolo fallico secondo una documentazione pressoché universale). Aggiungiamo la paura delle armi da fuoco (p. 17), e avremo un’ulteriore conferma della situazione psicologica di Hélène Smith: il non avvenuto superamento del complesso edipico la porta da un lato a trasferire i sentimenti infantili nei riguardi del padre su persone o su figure ideali della stessa categoria; dall’altro la rimozione delle tendenze sessuali si manifesta con sogni e visioni in cui la realizzazione di tali tendenze viene volta a volta respinta, o soddisfatta in forma velata e simbolica. Appare abbastanza evidente che una compiuta analisi della medium l’avrebbe probabilmente ricondotta a condizioni molto più normali di esistenza, distruggendo però in pari tempo le manifestazioni da essa fornite.
Il Deonna non rileva un particolare strutturale della psicologia di Hélène, che a noi invece sembra assai chiaro. Il contegno di Hélène nei riguardi di chi misconosce la sua opera, o agisce verso di lei in modi non graditi, è assai poco caritatevole, e non corrisponde per nulla a quello che ci si attenderebbe da una persona che ha continuamente visioni divine, che discorre con gli angeli, che si professa portatrice di tin messaggio agli uomini. Se taluno di coloro che essa considera suoi nemici muore o subisce una disgrazia, Hélène ravvisa in ciò una sanzione superiore e non se ne commuove affatto. Abbiamo citato più sopra il caso della signora americana da lei maltrattata. Queste circostanze ci portano a ritenere che nella personalità psichica di Hélène Smith agisse una forte componente sadica, rimossa di solito vigorosamente, ma tanto più manifestantesi nell’eccessiva reazione dei suoi quadri e delle sue visioni, che son tutti dolcezza e purezza. Un’ulteriore conferma a tale tesi è data da un elemento integrativo, che nel bambino piccolo si accompagna costantemente al destarsi degli istinti di distruzione: l’aderenza alla cosiddetta «fase anale» (che meglio si chiama, appunto, «sadico-anale»). La reazione ad essa si manifesta nella celestialità e purezza delle visioni e dei quadri, l’aderenza inconscia in un particolare completamente sfuggito al Deonna: nel fatto cioè che la Smith dipinge con le dita, imbrattandosi dita e mani in modo eccessivo. Questa sostituzione è tipica e ben nota, e una delle sue prime forme si ravvisa nella tendenza (e nel relativo piacere) del bambino, anche grandicello, a giocare con la terra o la creta, a sporcarsi con sostanze coloranti, con cioccolata, uova, ecc. (7).
Dati così alcuni pochi cenni sui « motivi » fondamentali dell’orientamento psicologico di Hélène Smith (nel volume del Deonna si contiene un amplissimo materiale di osservazione, cui rinviamo i desiderosi di ulteriori conferme), esaminiamo in modo particolare le espressioni del « secondo ciclo », ossia i quadri più sopra menzionati (8).
Abbiamo già accennato alla proiezione in forma sublimata, da parte di Hélène Smith, delle sue tendenze e fantasie. L’Oriente sacro (la Terra Santa), si sostituisce all’Oriente profano, patria della principessa Simandini. E’ supponibile che l’evoluzione di Hélène sia stata in realtà una regressione, e che alle visioni d’Oriente o a quelle del pianeta Marte, frutto di fantasie di adolescenza, siano subentrate quelle più proprie all’età infantile, in cui si è svolta l’educazione religiosa della medium. Comunque, non è questo ciò che più importa. La domanda che sorge ora spontanea è quella relativa ai motivi che hanno determinato la sostituzione dell’espressione pittorica a quella verbale o scrittoria. Secondo il Deonna (p. 159) la produzione pittorica dà a Hélène l’illusione dell’attività materiale perduta (9); le offre il mezzo si sottrarsi alle domande e alle ricerche tanto dei fanatici dome degli uomini di scienza, di fissare intorno a sè le immagini degli esseri soprannaturali che le sono cari, colmando il vuoto lasciato dalla scomparsa di altri esseri amati …. Ciò è indubbia mente esatto, ma occorre aggiungervi, a nostro avviso, il desiderio di « fissare » le proprie visioni meglio che mediante descrizioni o semplici disegni, e tener conto altresì della tendenza inconscia cui abbiamo più sopra accennato a proposito dell’impiego diretto dei colori.
La nostra supposizione, che il « secondo ciclo e di Hélène Smith indichi una regressione della medium a situazioni psichiche anteriori, riceve poi una conferma qualora si consideri la tecnica con la quale essa realizza i propri quadri: tecnica, come abbiamo più sopra accennato, che presuppone una forza notevolissima di «visualizzazione» del quadro stesso non ancora eseguito, tanto nel suo insieme quanto nei singoli particolari. Questa capacità allucinatoria, accresciutasi nel « secondo ciclo », testimonia appunto un regresso psichico a forme più primitive e infantili di espressione (10).
Tale facoltà non è certo una prerogativa di Hélène Smith, neppure considerata in rapporto all’attività pittorica. Il Deonna cita vari esempi di artisti i quali “vedevano” ciò che disegnavano, dipingevano o scolpivano, con una evidenza pari a quella di una percezione reale. Così William Blake, il quale giungeva al punto di abbandonare l’esecuzione dei propri lavori allorché il suo modello allucinatorio «se ne andava»; così Martins, che non «vedeva» più l’immaginario soggetto del suo quadro se qualcuno s’interponeva tra il pittore e la visione; così Thomas-Casimir Regnault, che incideva direttamente sul metallo, senza un pentimento, vedendovi già tracciati tutti quanti i particolari che il suo bulino si limitava in apparenza – soltanto a «seguire». Evidentemente, in questi e in simili casi, siamo già nel campo della psicologia artistica anormale.
Ma il caso di Hélène Smith è più complesso, dato il carattere «ispirativo» e «medianico» delle sue pitture, e si raccosta per questo lato agli altri «casi» più o meno noti di medianità pittorica. Chi si occupa dei nostri studi avrà probabilmente presenti i pittori-medium Lesage e Grujevskij, di cui si occupò esaurientemente la «Revue Métapsychique» (1927 e 1928). Il Deonna menziona ancora, in una rapida rassegna, Fernand Desmoulins, Hugo d’Alési, la signora Assmann, l’orefice Thompson, Käthe Fischer, ecc. Anche il celebre drammaturgo Victorien Sardou appartenne, come è noto, a questa categoria, per i suoi disegni medianici di paesaggi extraterrestri.
Non possiamo certo soffermarci qui a descrivere nei singoli particolari ognuno degli undici quadri lasciati dalla Smith, quadri attualmente conservati nel Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra. Dovremo limitarci a rilevare i caratteri salienti ch’essi hanno in comune, e a metterne in evidenza gli elementi psicologicamente più notevoli.
Ciò che prima colpisce, nei quadri di Hélène Smith, è lo scrupoloso realismo dei particolari e, nello stesso tempo, l’assoluta freddezza e inespressività delle figure. I personaggi non vivono: sono assenti, privi di slancio, figés in atteggiamenti di bambole o di manichini. E’ inutile cercarvi non solo un qualsiasi «soffio sacro» di ordine soprannaturale, ma anche un lievito purchessia di sentimento umano. Le lacrime che scendono dagli occhi del Giuda (fig. 4) sono aggiunte, sovrapposte, lacrime di vaselina: si potrebbe toglierle senza mutare né poco né punto l’aspetto del volto del protagonista. Per contro, ripetiamo, gli oggetti, gli elementi del paesaggio, le vesti, sono eseguiti con somma cura, s pur nel modo più accademico e scolastico. Persino il Crocefisso (fig. 1), che dovrebbe esprimere spasimo e tristezza infiniti, ha un volto senza gioia e senza dolore: neppure il particolare dei denti scoperti giova a dare un orientamento sentimentale qualsiasi a questa pittura. Tale gelidità di atteggiamenti, riscontrabile in tutti i quadri della Smith, finisce quasi con l’esasperare, e ci si chiede di qual natura potessero mai essere le emozioni religiose, certamente intense, provate dall’autrice. La quale, si noti, scorge invece nei propri dipinti tesori di sentimento, espressioni ineffabili e sovrumane: le sue descrizioni delle singole pitture lasciano, a questo riguardo, meravigliati ed increduli, tanto esse differiscono da ciò che può dire di esse un osservatore spassionato.
Anche a non voler entrare in giudizi motivati di ordine estetico, che sarebbero fuori luogo in questa sede, non si può a meno di pronunciarsi negativamente (come lo stesso Deonna non esita a fare) circa il valore artistico delle produzioni Smithiane. Il raccostamento, che si è voluto proporre, tra esse e certe pitture egizie, o arabe, o primitive, potrà essere formalmente difendibile: ma è chiaro che manca nelle pitture della medium contemporanea quel coefficiente di originalità, di «voce del tempo o, di forte primigeneità che ci permette di apprezzare anche esteticamente talune delle antiche pitture menzionate. In questo loro carattere antistorico, in questo loro presentarsi come immagini di un mondo interiore, estraneo alla vita e alle correnti estetiche odierne, consiste forse la sola originale prerogativa delle pitture di Hélène Smith.
In esse espressioni ultime e sublimate del travaglio psichico interno – riesce assai malagevole rilevare elementi a conferma delle osservazioni fatte più sopra in merito alla psicologia profonda dell’autrice. Il Deonna si limita a notare (osservazione esattissima) che gli occhi di tutti i personaggi sono smisuratamente grandi, e riferisce al riguardo quanto la Smith stessa ci ha fatto conoscere della propria infanzia, e della dimensione eccessiva dei suoi propri occhi rispetto al volto, specie nella prima età. Potremmo aggiungere che gli occhi sono un simbolo genitale assai noto e frequente, e che, a chi osservi bene, altri simboli analoghi sono ravvisabili nei quadri di Hèléne: primo fra questi la preminenza dell’elemento ternario (cfr. più sopra quanto abbiamo indicato circa questo simbolo): sono tre le masse pittoriche del quadro Gesù sulla via di Emmaus (fig. 2), due gruppi di tre personaggi ci presenta La Trasfigurazione, nel qual dipinto sono anche tre i raggi luminosi che avvolgono Cristo, Mosè ed Elia; nel quadro La Sacra Famiglia (fig. 3) sono tre le persone, tre i recipienti, tre i rami dell’albero, due gruppi di tre i rametti che si dipartono dal virgulto posto fra le mani di Gesù giovinetto; trilobati sono i rami di fiori che recano i personaggi del quadro Elena e il suo Angelo custode …. Non pensiamo che l’insistente presenza di tale elemento possa essere casuale, specie dopo quanto il Deonna (p. 102) ci ha riferito intorno all’importanza del numero 3 nella vita della medium. Citiamo ancora dal Deonna ciò che avrebbe dovuto essere il quadro L’Angelo della Pace, che, come abbiamo detto, non è stato condotto a termine:
Le visioni dell’Angelo della Pace cominciano il 3 agosto 1914, si ripetono 3 volte, e dal 3 dicembre 1914 essa (Hélène) è ossessionata dalla visione della cifra 3; il quadro comincia infatti il 3 marzo 1915, ossia esattamente 3 mesi dopo. L’Angelo suona 3 volte la tromba; gli angeli, le anime, l’amico celeste depongono ai piedi di Hélène 3 rose bianche, 3 bianche viole del pensiero. Sono 3 i troni risplendenti. Intorno alla Vergine si affollano bambini dai 2 ai 3 anni (11).
Evidentemente un esame dei quadri condotto con tali criteri non potrebbe compiersi in modo separato. Esso, ad ogni modo, non fa che confermare quanto più innanzi è stato esposto.
Come si vede, non abbiamo preso in considerazione, in questo esame, i fenomeni più propriamente metapsichici connessi alla personalità di Hélène Smith (chiaroveggenza, profezie, fenomeni fisici come raps, telecinesi, ecc.); e ciò, per non allargare troppo il campo già abbastanza vasto che ci si offriva. Pensiamo comunque che, anche dai soli punti di vista qui indicati, le manifestazioni singolari di Hélène Smith siano tali da richiamare la più viva attenzione dei cultori di psicologia, anormale e paranormale.
Emilio Servadio
(1) TH. FLOURNOY, Des Indes a la planète Mars, Ginevra e Parigi, 1900 (trad. ital., Milano, 1905). ID., Nourelles observations sur un cas de somnambulisme avec glossolalie, Ginevra, 1902.
(2) Principali tra questi gli scritti di A. Lemaitre, in Annales des sciences Psichiques, 1907 e 1908. Senza valore scientifico quelli del CUENDET, Les tableaux d’Hélène Smith peints à l’état de sommeil, Ginevra, 1908, e Judas, tableau d’Hélène Smith, peinture inspirée, in quanto suggeriti dalla stessa H. S. Cfr. anche: FLEURY, Une opinion sur les peintures de H. Smith, in Arch. de psychologie, VII, 1908; le Annales des sciences psychiques dal 1907, e La Suisse, quotidiano ginevrino, dalla stessa data. Molti ragguagli sulla mediauità pittorica di H. Smith sono apparsi in Luce e Ombra, nei fascicoli di ottobre e novembre 1907.
(3 )W. DEONNA, De la planète Mars en Terre Sainte. Art et Subconscient. Un Médium peintre: Hélène Smith, pp. 403, 24 tavv. f. t., Paris, E. de Boccart, 1932
(4) Nouvelles observations, p. 154 segg.
(5) Nel corso dell’articolo riproduciamo alcuni quadri di Hélène Smith, per speciale concessione del prof. Deonna, al quale porgiamo i più vivi ringraziamenti (N. d. D.).
(6) Una delle «guide» del periodo antecedente. Lepoldo è una rappresentazione di Giuseppe Balsamo (Cagliostro). Su questa e sulle altre «personalità» create da Hélène Smith, vedi appresso.
(7) Pensiamo che a taluni queste nostre osservazioni appariranno gratuite o incomprensibili. Non possiamo che invitarli a mettersi a giorno in materia di psicologia del profondo: questo articolo non intende dilungarsi in spiegazioni di carattere propedeutico.
(8) Sulle esigenze religiose in generale, e sui relativi moventi di carattere inconscio, cfr. anche SIGM. FREUD, Die Zukunft einer Illusion, Vienna, 1927.
(9) Abbiamo già ricordato che gli aiuti finanziari di una ricca signora americana avevano posto Hélène Smith in condizioni economicamente indipendenti
(10) Cfr. quanto abbiamo brevemente esposto a proposito delle allucinazioni in generale nel nostro saggio: Sul meccanismo psichico delle allucinazioni telepatiche, in La Ricerca Psichica, n. 10 (ottobre), 1933.
(11) Sul simbolismo del numero 3 cfr. anche Weiss, Elementi di Psicoanalisi, 2° ed., Milano, 1933, p. 52-53.