Sguardo generale sulla rabdomanzia
Luce e Ombra 1930 pp.287-288
Nel numero 2 (marzo-aprile) della « Revue Métapsychique », F. de Briey pubblica un notevole articolo su « l’arte dei rabdomanti», esponendo in proposito alcune idee generali e un progetto di studi sperimentali. Può essere interessante riassumerlo perchè, come è noto, la rabdomanzia è, tra i fenomeni metapsichici, uno dei meglio accertati e studiati, tanto che anche negli ambienti scientifici più severi si tende ormai quasi universalmente a riconoscerne la validità.
Il de Briey ricorda anzitutto come dalle innumerevoli relazioni circa le esperienze rabdomantiche, si ricavi in genere un’impressione confusa e caotica, tanto son varie le modalità di queste esperienze, tanto son diverse le impressioni personali dei singoli soggetti! Egli perciò premette una esposizione riassuntiva dei fatti sperimentali più frequenti: in primo luogo ricorda le caratteristiche generali di un’esperienza rabdomantica; quindi accenna alla differenza tra gli strumenti adoprati come « detectors», sia nell’ambito della ricerca di falde acquee, come nei vari campi cui la rabdomanzia suole applicarsi (ricerca di metalli, di cavità ecc.; insiste poi particolarmente sulle successive approssimazioni che permettono al soggetto di procedere per eliminazione fino alla scoperta del luogo esatto, e sull’influenza che, sulle ricerche dei rabdomanti, sembrano avere la posizione del sole o la presenza di altri soggetti. L’autore crede che esista «un’influenza costante estrinseca, indipendente dall’oggetto e dal ricercatore, e che sembra riferirsi alla presenza dei sole » ; mentre non gli pare che si debba « attribuire alla forma o alla natura dell’istrumento utilizzato l’importanza fondamentale che spesso si crede di dovergli dare ». Ricorda, ancora, come l’elemento immaginativo non sia da trascurarsi in quest’ordine di fenomeni.
Molto opportunamente il de Briey accenna ai motivi che sin qui hanno fortemente ostacolato uno studio sistematico della rabdomanzia: il segreto, che i rabdomanti hanno creduto opportuno di mantenere circa l’applicazione del loro dono naturale, e l’ignoranza della maggior parte dei rabdomanti, che per lo più, come si sa, sono contadini o pastori. Per fortuna, da un po’ di tempo a questa parte, parecchie persone colte e dotate di spirito critico si sono accorte di possedere facoltà rabdomantiche e possono quindi analizzare sé stesse con rigore e sincerità. « Il: metodo e la divulgazione prendono il posto dell’empirismo e del segreto», così ché è prevedibile che anche questo soggetto, sul quale da ben poco tempo si studia seriamente, possa venire approfondito in un’epoca non troppo lontana.
Se i leggono le relazioni dei rabdomanti, prosegue il de Briey, si è colpiti dalla presenza di un duplice elemento nelle esperienze elemento oggettivo, che si riferisce all’influenza vera e propria che i corpi sembrano esercitare; ed elemento soggettivo, che qualifica le diverse reazioni degli sperimentatori, attribuibili al loro temperamento, alle loro caratteristiche fisiche o psichiche. C’è dunque una parte che dovrebb’essere riconducibile alla fisica quale noi la conosciamo, e una parte assimilabile alla conoscenza paranormale, o metagnomia. Questo elemento soggettivo è innegabile, e non potrà a meno di esser riconosciuto finché degli apparecchi non sostituiranno i rabdomanti (ciò che l’autore non esclude, affermando anzi di sapere che apparecchi di questo genere si stanno appunto studiando). Molti procedimenti apparentemente assurdi, e ad ogni modo personali, di certi soggetti, sono una riprova evidente di questa tesi.
Per uno studio sistematico della rabdomanzia occorre dunque, secondo il de Briey, prendere in considerazione le esperienze più semplici e schematiche, eliminando mediante la loro stessa organizzazione l’influenza dell’immaginazione, giungendo a determinare quali siano i procedimenti migliori a parità di altre condizioni, e secondo quali modi di approssimazione, a differenza di altri, il soggetto giunga al risultato. Le esperienze all’aperto andranno poi integrate con prove sistematiche compiute in laboratorio, per giungere a definire « il grado di possibilità di questo modo speciale di conoscenza e anche la sensibilità più o meno perfetta dello sperimentatore ».
Conclude giustamente il de Briey che, allo stato attuale della questione, occorre « fare totale astrazione da ogni opinione preconcetta ed eliminare con la massima cura qualsiasi costruzione immaginativa ». Oggi una quantità di opinioni tiene il campo, senza che si sia proceduto ad un riesame sistematico dei fenomeni. E’ quindi necessario, come si è fatto ogni volta che la scienza ha voluto giungere a risultati concreti, fare tabula rasa, e ricominciare, cartesianamente, come se nulla si sapesse e nulla fosse stato fatto. Solo così si potrà « fare una scienza di ciò che non era, se non empirismo, per giungere allo scopo finale che, è quello di comprendere».
A queste savie osservazioni del suo collaboratore la « Revue Métapsychique » fa seguire una nota in cui si annunzia la costituzione di una sezione sperimentale per lo studio della rabdomanzia e si invitano tutti coloro che abbiano interesse alla questione a mettersi in rapporto con l’ « Institut Métapsychique International ».
Emilio Servadio