Teoria e tecnica della telepatia.
Luce e Ombra 1933
Poiché il fenomeno della telepatia è uno di quelli circa i quali la Ricerca psichica ha già avuto partita vinta (chi ne dubita ancora dà semplicemente prova d’ignoranza, per giudizio ormai comune), è naturale che l’attenzione dei metapsichisti si sia rivolta negli ultimi tempi a precisare le modalità della trasmissione telepatica, e il suo determinismo, piuttosto che ad accertarne ulteriormente il verificarsi. Due recenti scritti considerano appunto questo lato più teoretico della questione: il rev. dott. Leslie J. Belton, in « Psychic Science» (gennaio 1933) si occupa delle ipotesi generali esplicative, mentre l’ing. R. Desoille, nella « Revue Métapsychique» (novembre-dicembre, 1932) esamina particolarmente il problema della telepatia sperimentale e delle condizioni più adatte perchè essa possa aver luogo.
Il Belton ricorda anzitutto la ben nota distinzione delle teorie riguardanti la telepatia: le une sono di carattere «fisico», le altre di carattere «psichico i. Le prime hanno in comune l’idea che una ((corrente vibratoria» colleghi il soggetto trasmittente al soggetto ricevente: che si tratti in sostanza, di una specie di «radio» mentale (e il libro che da ultimo ha avuto più successo al riguardo è stato proprio quello del Sinclair, intitolato Mental Radio). Ma il Belton respinge decisamente le teorie di ordine fisico, facendo rilevare: a) che esse non chiariscono quali siano gli organi specifici trasmittenti e riceventi delle supposte onde o radiazioni; b) che tanto meno esse chiariscono come il pensiero si trasformi in onde, e viceversa; c) che la telepatia « ritardata » non si spiega con le teorie di carattere fisico; d) che se si trattasse di onde, la distanza tra i soggetti dovrebbe pur avere una qualunque funzione nella telepatia, mentre, come è noto, non ne ha alcuna. Eccetera. In base alle teorie più recenti relative alla psicologia delle masse, e particolarmente all’inconscio collettivo e all’« anima del gruppo » (Jung, Drieseh, Becher ecc.), egli suppone invece « la possibile esistenza di uno strato psichico sotterraneo che unisca ogni individualità ad ogni altra singola individualità». Evidentemente tale concezione abolirebbe, per così dire, lo spazio, e chiarirebbe senz’altro ogni e qualsiasi problema inerente alla telepatia.
Giova dire che la teoria del Belton – sebbene egli la presenti in forma particolarmente chiara ed efficace – non è affatto nuova. Tra gli altri, il Bergson l’ha sostenuta ripetute volte nei suoi scritti. Indubbiamente essa si fonda, oltrechè su ragionate deduzioni, anche su di una base sperimentale assai solida, e pure a nostro avviso essa è tra le più seducenti sin qui formulate per una miglior comprensione (se non proprio « spiegazione ») tanto della telepatia quanto di vari altri fenomeni mentali della Ricerca psichica.
L’ing. Desoille, nell’articolo più sopra menzionato, partendo dal presupposto che la trasmissione telepatica abbia sempre luogo attraverso l’inconscio (che cioè senza la « collaborazione » dell’inconscio essa non possa verificarsi) fa osservare che l’inconscio è il dominio dell’affettività, e che il coefficiente affettivo sembra essere essenziale a una buona trasmissione telepatica (osservazione del resto già compiuta da vari altri sperimentatori). Ne desume, quindi, che per condurre a buon termine un’esperienza di telepatia provocata occorrerà allenarsi: 1°) a produrre delle rappresentazioni immaginose intense; 2°) a mantenerle senza distrarsi; 3°) a vivere volontariamente uno stato affettivo scelto arbitrariamente. Seguono alcuni consigli pratici per il conseguimento di questi tre fui, e il Desoille mostra da ultimo come si debba applicare il calcolo delle probabilità ai risultati ottenuti.
Molto vi sarebbe naturalmente da dire anche intorno a questa «tecnica» della telepatia sperimentale; ma ci limiteremo ad una sola osservazione. Il Desoille, che nel suo saggio introduce qualche punto di vista psicoanalitico, dovrebbe aver chiaro il concetto dei «complessi» personali e delle loro propaggini inconscie, e non dovrebbe quindi parlare di « stati affettivi scelti arbitrariamente ». Noi crediamo, al contrario, che tanto lo stato affettivo quanto l’immagine abbiano una particolare importanza nella trasmissione, in ragione appunto della maggiore o minor sensibilità, riguardo ad essi, dei complessi personali dell’agente e del percipiente. Da ciò esigenze «tecniche» alquanto più complicate e sottili di quelle proposte dal Desoille. Il quale peraltro ha avuto il grande merito di scorgere anch’egli come solo cercando di avvicinarsi più che sia possibile alle condizioni della telepatia spontanea si possano rendere sempre più frequenti i successi nel campo di quella provocata. Intorno al « come » di questo avvicinamento, crediamo che il lavoro d’indagine non mancherà per molti anni ancora.
EMILIO SERVADIO.