Un’ inchiesta sulla rabdomanzia.
Luce e Ombra 1931
Il numero 4 (luglio-agosto) della « Revue Métapsychique » è occupato quasi per intero dalle risposte a un’ « inchiesta sulla rabdomanzia », promossa dal dr. Osty. Si tratta di un contributo assai notevole all’importante problema, che, com’è noto, è stato oggetto anche in Italia di vivaci discussioni, e che recentemente ha dato motivo ad un vero e proprio Congresso.
In una circolare inviata a vari rabdomanti, il dr. Osty chiedeva: a) se la loro facoltà fosse un dono, una conoscenza scientifica, o un’unione di entrambe le cose; b) quali procedimenti essi impiegassero per riconoscere la natura e la profondità delle sostanze, e, trattandosi di acqua, la relativa portata; c) se e quali sensazioni accompagnassero il moto dello strumento adoperato.
A tali domande hanno risposto, con scritti più o meno diffusi, Henri de France, Henri Mager, F. de Briey, l’abate Mermet, l’abate Lambert e il dr. Jules Regnault: tutti rabdomanti assai noti, o le cui facoltà, comunque, non possono esser poste in dubbio. Riassumeremo brevemente i passi più salienti delle loro repliche.
Secondo Henri de France occorre distinguere tra rabdomanti – per così dire – di serie, nei quali non si avrebbe se non un raffinamento, una estensione del senso del tatto, e rabdomanti sensitivi, le cui facoltà sarebbero più propriamente metapsichiche. Nella annosa e pur sempre viva discussione relativa al « rapporto » che è in giuoco nel fenomeno rabdomantico (rapporto fisico o rapporto psichico?) il de France. come si vede, appare abbastanza conciliante: secondo lui c’è l’uno e c’è l’altro. In massima egli scrive – l’arte del rabdomante non implica un dono speciale, non provoca necessariamente sensazioni particolari in chi la esercita, non richiede per forza l’impiego di determinati strumenti: si tratta, più che altro, di esercizio. Ma non si esclude, però, che, accanto a questa forma ordinaria e più frequente di rabdomanzia, ne esista un’altra, « intuitiva », più sottile, implicante una vera e propria conoscenza sovranormale: senza, beninteso, che dall’una all’altra di tali forme vi sia un abisso, chè anzi, si tratta di gradi impercettibili e di transizioni tenuissime. Quanto al meccanismo intimo del fenomeno, esso rimane ancora assai oscuro.
Il Mager espone, in un breve scritto, alcune idee molto personali, già sostenute in vari volumi ed articoli: per lui il fenomeno è esclusivamente fisico per quanto di una fisica assai particolare e piuttosto… eterodossa e non richiede alcun dono, bensì la conoscenza delle correnti di forza e delle vibrazioni « che avviluppano il corpo umano come un vestito » e delle correnti « che lo utilizzano come conduttore ». Egli lancia una sfida in piena regola ai rabdomanti sedicenti « sensitivi » o « chiaroveggenti » ; dichiara di non provar mai sensazioni speciali durante le proprie esperienze respinge come estremamente fallace l’uso di « campioni » della sostanza ricercata nel corso delle prospezioni. Quanto al suo metodo particolare, si tratta di apparecchi « che riproducono, mediante combinazioni di colori, la manifestazione (o vibrazione) di ognuno dei 92 tipi di atomi ». « Così – egli scrive – io posso identificare senza possibilità di errore tutti i corpi, semplici o composti che siano, e identificare parimenti ogni agglomerato ».
Nelle opere del Mager (particolarmente ne Les sourciers et leurs procedes) si troveranno ulteriori particolari su questi speciali sistemi, intorno ai quali non sarebbe possibile soffermarsi qui.
Le opinioni di F. de Briey sono già note ai nostri lettori, per il riassunto che abbiamo dato tempo addietro (v. « Luce e Ombra », 1930, fascicolo V-VI, p. 287) di un suo articolo sul medesimo argomento. Questa volta egli ci descrive, tra l’altro, il modo con cui venne avviato (« sensibilizzato ») da un rabdomante alla pratica della ricerca d’acqua. Secondo il de Briey il dono esiste, ma embrionalmente, e occorre svilupparlo con l’esercizio paziente e prolungato. Gli strumenti non hanno un’importanza in sé, ma ogni rabdomante adopera quel tipo che più gli conviene. Importanza estrema ha, invece, lo stato fisiologico in cui vengono compiuti gli esperimenti. Contrariamente al Mager, il de Briey attribuisce notevole importanza ai « campioni ». Espone quindi i suoi sistemi pratici per orientarsi, per limitare il campo delle ricerche ecc.: in questi sistemi, come già altra volta abbiamo ricordato (v. art. cit.) ha importanza notevole la posizione del sole, come pure la presenza di « immagini » o « riflessi » della cosa cercata: immagini e riflessi che talvolta possono venir scambiati per la cosa stessa, inducendo in errore. In sostanza (e soprattutto quando si tratta di accertamenti abbastanza precisi) quello che conta è, secondo il de B., la pratica e l’allenamento: i metodi più o meno si equivalgono. Quanto alle spiegazioni, egli esclude, come non rispondenti alle constatazioni di fatto e alle conclusioni della scienza moderna, quelle fisiche (radiazioni, vibrazioni), ricordando rapidamente ma efficacemente le vedute attuali sull’elettromagnetismo e la radioattività, e dimostrando la loro insufficienza di fronte a certi fenomeni della rabdomanzia. La percezione del rabdomante è diretta. « Siamo ai confini della metapsichica, ma con qualche cosa in più, e precisamente un lato sperimentale costituito da particolarità costanti che i diversi corpi sembrano possedere». Anch’egli, del resto, come il de France, ammette una serie di gradi percettivi sino alla vera e propria metagnomia (specie nel caso di ritrovamenti d’acqua a distanza, compiuti mediante carte topografiche).
Secondo l’abate Mermet, invece, si tratta di radiazioni, che vengono percepite, in grado maggiore o minore, dal rabdomante, e trasmesse alla bacchetta o al pendolo. La facoltà rabdomantica non è un dono speciale (secondo il M. circa l’80 per cento degli individui l’hanno in potenza) e non è ancora, naturalmente, una scienza.
I metodi personali di ricerca, adoperati dall’abate Mermet, sono talmente curiosi che vai la pena di soffermarvisi. Dopo un’esperienza di 37 anni, egli scrive, ho constatato che nella sfera delle radiazioni di un corpo vi è sempre un fascio, o raggio azimutale, che ha un orientamento diverso a seconda della sostanza: Sud per il ferro, Est per l’argento, ecc. Inoltre, questo fascio azimutale « ha la forma di un solenoide, il numero delle cui spire è nettamente determinato per ogni corpo radiante: 4 per il ferro, 6 per l’argento, ecc. ». « Così – egli scrive – appena il mio pendolo assume un dato orientamento e il solenoide annovera tante spire, so in modo certo di essere in presenza di questo o di quel corpo… ». La profondità, è calcolata dal M. addizionando lo spessore dei vari strati percepiti; la portata di una sorgente, misurando l’ampiezza e il numero di oscillazioni, una volta stabilitone il valore; le sensazioni da lui provate durante gli esperimenti sono pesantezza e crampi, variabili a seconda delle circostanze.
Il M. ammette in fine che tali metodi possono essere sostituiti dall’impiego di onde cerebrali: impiego che permette di ottenere, a distanza, risultati analoghi, e tanto nei campo della rabdomanzia vera e propria quanto in quello, collaterale, della diagnosi metagnomica, eventualmente esercitantesi su una fotografia dell’ammalato.
Un altro abate rabdomante, il Lambert, ha risposto indirettamente all’inchiesta, riferendosi a una sua conferenza, che vien riprodotta quasi per intero. Egli si diffonde dapprima sui fatti, e ne narra alcuni personali, veramente sorprendenti (rinvenimento d’acqua in un terreno di Perpignano, a Saint-Raphael, a Fréjus ecc.); quindi insiste polemizzando col dr. Bitlard e criticando le conclusioni di Chevreul, sulle realtà delle doti rabdomantiche e sulla vera « scienza» dei rabdomanti sperimentati. Anche per il Lambert i metodi son tutti buoni, e ciò che conta è la pratica. Egli espone i suoi propri, più per soddisfare ad una curiosità che per altro, e si schiera decisamente con i sostenitori della tesi del rapporto «psichico»; il rabdomante è un chiaroveggente sui generis; la teoria fisica non regge, e vari esempi (che egli cita) lo provano: tra l’altro i casi frequenti di autosuggestione o di inibizione psichica.
Opinione diametralmente opposta a quest’ultima ha, infine, il dr. Regnault, che ha inventato una serie di apparecchi assai sensibili per sfruttare e potenziare fisicamente i « riflessi » del rabdomante. L’articolo del Regnault estremamente tecnico e illustrato con grafici e fotografie, non può essere riassunto e siamo costretti a rimandare il lettore, per questa parte, al testo originale.
Come si vede da quanto abbiamo esposto, le opinioni degli stessi « esperti » del ramo sono quanto mai discordi: chi attribuisce importanza agli apparecchi e chi la nega; chi difende teorie fisiche e chi le combatte chi dichiara la facoltà rabdica un potere eccezionale e chi la proclama dote della maggioranza… Che concludere? Quanto personalmente abbiamo letto ci fa propensi a sposar la causa di coloro che difendono la tesi chiamiamola così – metapsichica, e pongono in seconda linea l’ipotesi di radiazioni particolari. Anche a noi sembra che pendolo lungo o bacchetta corta, legno o metallo, campioni o non campioni – siano tutte contingenze d’importanza molto relativa. Ma può anche darsi che siamo in errore, e che ulteriori accertamenti lo dimostrino in modo perentorio. L’essenziale è, comunque, che la rabdomanzia venga studiata sempre su più vasta scala, sempre più profondamente: non possono derivarne che vantaggi, alla scienza come all’umanità.
Emilio Servadio