Un notevole caso di xenoglossia.
Luce e Ombra 1934
Dopo la pubblicazione dell’esauriente saggio del nostro Ernesto Bozzano, varie riviste straniere hanno ripreso in considerazione l’interessantissimo fenomeno della xenoglossia, e tra gli altri vi ha dedicato un acuto studio Cesare Vesme, nei fascicoli 6 (1933) e 1 (1934) della « Revue Métapsychique ». Un contributo originale alla casistica è recato inoltre, nella « Zeitschrift für Parapsychologie », da F. M. Fellmann (fasc. 4 a. c.). L’Autore menziona in primo luogo i precedenti storici del fenomeno, e fa presente come sia spesso assai difficile effettuare in proposito accertamenti sicuri. Pure ammettendo pienamente i casi di « linguaggio lunare », e marziano e, ecc. (casi di « glossolalia », interessanti più da un punto di vista psicologico che non metapsichico), il Fellmann ritiene che in varie occasioni in cui un medium si esprime in modo incomprensibile, possa trattarsi di una lingua del tutto morta, o parlata da popoli scarsamente noti. Egli cita, al riguardo, l’esempio seguente:
Una medium non professionista, che scrive e parla automaticamente allo stato di veglia, e che aveva già presentato fenomeni di xenoglossia in presenza di persone che conoscevano le rispettive lingue, disegnò un giorno uno strano ritratto, che venne dichiarato esser quello di un annegato; essa tracciò inoltre la parola e Bolivia». Più tardi incominciò a sentire, quasi « mormorate » dall’interno, molte parole del tutto incomprensibili, che trascrisse nel modo foneticamente più semplice. A volte queste frasi si accompagnarono a dei loro « equivalenti » tedeschi (senza che però né la medium né alcun altro si rendessero conto del nesso logico tra le proposizioni tedesche e quelle enunciate nella lingua ignota). Talvolta delle parole udite come separate formarono delle frasi dopo qualche giorno o qualche settimana.
Finalmente un giorno la presunta « entità » comunicante (giova notare che la medium non è spiritista) dichiarò trattarsi del «linguaggio delle Ande e, e indicò sopra una carta geografica la costa occidentale dell’America del Sud, aggiungendo che la maggior parte del suo paese era stata ricoperta dalle acque. Dalle parole, frasi e saluti trascritti dalla medium (e in parte riespressi in tedesco) sembrò che la « entità » comunicante dovesse aver coltivato un’antica religione di tipo solare.
Nell’estate 1933 la medium conobbe un certo « Dr. K.», persona che è dotata di facoltà chiaroveggenti, ma che si astiene dal palesarlo per motivi professionali. Senza saper nulla della medium, tranne che del suo «interessamento» per la metapsichica, il « Dr. K. » dichiarò che dietro di essa stavano tre indiani, due uomini e una donna; ne descrisse l’aspetto, aggiungendo che a suo avviso doveva trattarsi di gente scomparsa da 2000 anni o più. «Debbono aver servito un dio solare», aggiunse.
Dopo queste dichiarazioni, la medium espose il suo caso al «Dr. K.», ed entrambi ebbero dopo di allora varie comunicazioni analoghe alle precedenti. In una occasione la medium ebbe da un tale, che aveva abitato a lungo nel Sud-America, la spiegazione di mia parola che essa stessa aveva scritto automaticamente senza la corrispettiva spiegazione tedesca: la parola si rivelò perfettamente calzante alla situazione nella quale era comparsa.
Poiché però di molte altre frasi e parole ottenute gli sperimentatori non hanno avuto conferma, il Fellmann ne riporta una serie, nella speranza che qualche linguista possa fornire al riguardo una completa informazione e interpretazione. Ne trascriviamo anche noi alcune, sostituendo al presunto senso tedesco le corrispondenti parole italiane:
Zo ra bol atus! (E’ nell’eternità e qui)
Su rei! (Sii lieto).
Bo rae ixpentesi isch tabul! (Sii nella potenza, non legato alle cose terrene).
Tankin tenda tschorr bee: beh it cix tenda bena-uta mo. (Press’a poco: Un suono vagante chiede ascolto: vuoi udire, esso suona gioioso al tuo orecchio).
Bor ista? (Lo conosci?)
Amp ulo, sixpentesi zischta loo. (Distrutto il cerchio, anello della vita, sempre rimane la potenza del sapere).
Il Fellmaun fa seguire alcune osservazioni sulla ricorrenza di certi termini e sulla forma concisa delle frasi. Lasciando naturalmente insoluto l’aspetto filologico e linguistico della questione, noi notiamo che il « caso », anche dal punto di vista metapsichico, non può considerarsi chiuso, ma che tuttavia esso presenta varie circostanze degne di esser considerate fin d’ora da chi s’interessi al complicato problema della xenoglossia.
Emilio Servadio