L’ansia dell’inconoscibile a Delfi, centro del mondo
Gli inesauribili incanti della Grecia
Il Tempo 03/09/1962
Una prolungata esperienza permette di confrontare gli oracoli delle antiche sibille con quelle di certe moderne «medium»
Delfi, settembre
Tra i molti incanti della Grecia, l’arrivo a Delfi si pone quale esperienza unica, e in certi momenti così intensa da riuscire pressoché insopportabile. Natura, spiritualità ed arte hanno qui trovato una perfetta fusione, un equilibrio supremo. Non si potrebbe immaginare la gloria architettonica di Delfi (di cui restano imponenti testimonianze) se non nello scenario che comprende le alte rocce della Phaidriades, il profondo spacco da cui sgorga la Fonte Castàlia, e giù, in fondo alla gola, le tortuosità del Pleistòs fra gli ulivi, la pianura sacra, e le idilliache acque turchine della Baia d’Itéa. All’orizzonte, le montagne del Peloponneso sfumano in una caligine sottile. Nell’ardore meridiano, le colonne doriche del tempio di Apollo sembrano dita divine che impongano il silenzio.
In antico, si credette che qui fosse il centro del mondo; e ancora si mostra, nel Museo, l’omphalos che simbolicamente lo rappresenta. E’ una grossa pietra ovoidale, coperta di bende spioventi a rete. Segnava, secondo la leggenda, il punto d’incontro di due aquile inviate da Giove dalle estremità opposte della terra, ed era conservato nell’àdito del tempio, dove la Pizia rendeva gli oracoli.
Delfi propriamente non si concepisce se non come punto oracolare, come luogo dl riferimento e di responso per coloro cui era altrimenti impedito l’accesso a conoscenze sottili, o forse addirittura extra-sensoriali. La sua impareggiabile cornice naturale, i suoi edifizi marmorei, non avrebbero altrimenti significato. Si può agevolmente ritenere che qualsiasi persona sensibile, anche se non informata, avvertirebbe qui la presenza inaudita di un mistero che non è quello di altri luoghi di culto. A Delfi l’individuo doveva trovarsi veramente a tu per tu con le proprie insondate profondità. Non a caso il « Conosci te stesso » era scritto a grandi lettere sul frontone del tempio.
Gli storici e gli archeologi si sono tenuti in genere piuttosto al largo dal problema di Delfi « oracolare » – pur annotando scrupolosamente ciò che di esso risulta sul piano descrittivo, e attraverso i secoli. Quale fosse lo spirito che muoveva i pellegrini a percorrere la Via Sacra, in base a quali criteri venisse scelta e «condizionata» la Pizia, come e perché questa entrasse ogni tanto in uno stato dl esaltazione o di estasi profetica – tutto ciò, si direbbe, e stato preso assai poco in considerazione, e viene di solito annoverato fra i tanti fantasiosi e strani aspetti dell’esperienza religiosa. Non diversamente si sono comportati molti studiosi moderni nei riguardi dei culti Vodun dl Haiti, o dello Shamanismo siberiano.
E invece appare chiaro che il movente principale di chi veniva a Delfi era l’ansia di fronte all’inconoscibile: il quale, quasi sempre, era costituito più da conflitti interni che da problemi esteriori – domestici, economici o politici che fossero. E il «Conosci te stesso» che subito ammoniva il pellegrino era, in fondo, il primo intervento – oggi diremmo – psicoterapico da lui subìto, ossia un’esortazione a non « esternalizzare » troppo i suoi problemi, a non scagionarsene rimettendo al dio la soluzione: bensì a guardarsi profondamente dentro, per ivi trovare il più vero bandolo della propria psicologica matassa…
Il resto veniva poi, sotto forma di avvisi e di enunciati che il consultante doveva di solito cercar di capire. Nella frequente ambiguità oracolare, molti hanno voluto vedere malizia, confusione, o insipienza. In realtà, ogni interpretazione relativa a situazioni psicologiche profonde è necessariamente ambigua, nel senso che la vera esplicitazione del problema non può esser data se non da atti interiori e soggettivi. Anche oggi, lo psicoanalista non può, in fondo, se non cercar d’indicare i termini di un conflitto: e il paziente riesce, oppure no, a utilizzare le sue parole, proprio come il consultante riusciva, oppure falliva, nel suo sforzo d’« integrare » le comunicazioni della Pizia.
Di questa, della sua personalità, del modo in cui veniva preparata e disciplinata, poco sappiamo. Ma molte acquisizioni psicologiche recenti fanno considerare il problema sotto una luce assai diversa da quella con cui certi storici del secolo passato hanno creduto d’illuminarlo. Ancora oggi, si può leggere in talune opere che la Pizia doveva essere una sorta di stolida marionetta, i cui fili invisibili erano tirati da sacerdoti del tempio; e che tutta la vicenda oracolare era un ben congegnato e spettacoloso inganno: laddove un’ormai prolungata esperienza psicologica, psicoanalitica, parapsicologica permette dl confrontare le antiche profetesse o sibille con certe « sensitive » o medium dell’epoca nostra, e le espressioni oracolari con ciò che alcuni soggetti, per vie talora intuitive, talvolta extrasensoriali, appaiono scorgere nell’animo stesso di chi li interpella. Non è inopportuno pensare che in antico, certe disposizioni o doti di speciali individui venissero coltivate con maggior pervicacia e cura di quanto oggi non si sappia; e che coloro che si occupavano della « preparazione » di una profetessa la sapessero abbastanza lunga nei riguardi di taluni fattori condizionanti quali l’ambiente formativo, l’età, la vita sessuale o il regime alimentare. Lo « scatenamento » della trance avveniva, come si può leggere nei testi specializzati, in base ad un preciso cerimoniale, che comprendeva la purificazione alla Fonte Castàlia, la masticazione di una foglia d’alloro, l’assidersi, in sontuose vesti, sul tripode sacro. Discussa e dubitata dagli studiosi la più popolarmente nota di tali azioni preparatorie: quella della fumigazione, ossia dell’esporsi, da parte della Pizia, all’azione di vapori, o di esalazioni, provenienti dal sottosuolo. Ma a parte la continua, tradizionale inserzione di tale fattore nella descrizione del cerimoniale, colpisce ancora una volta la rassomiglianza fra rito antico ed esperienze moderne. I « sensitivi » e le medium dell’epoca nostra si dispongono alla trance mediante una serie di atti convenzionali e prestabiliti (abbassamento di luci, suono di speciali musiche, recitazione di particolari formule): e quanto a elementi « scatenanti » di ordine farmacologico – ebbene, è precisamente questo uno dei problemi all’ordine del giorno della parapsicologia modernissima: studiare se e come certe sostanze possano mettere talune persone in condizioni psichiche particolari, atte a favorire la manifestazione dl conoscenze paranormali, o extra-sensoriali!
Lasciamo Delfi – dopo aver buttato giù gli appunti qui sviluppati – con enorme rammarico, mentre il tramonto comincia ad incupire le pendici, e a dorare i marmi dissepolti. Sarebbe mai possibile riprendere qui certi antichi, misteriosi fili? far rivivere, a moderne creature e con moderni mezzi, il senso più vero e profondo di questo centro sottile di sapere?…
Forse. A Delfi converrà, in ogni caso, tornare.
Emilio Servadio