L’Italia Letteraria, 14/4/1929
La notizia della morte di Schuré ci coglie mentre stiamo sfogliando la traduzione delle sue memorie («Il sogno della mia vita») apparse in questi giorni.
Nato il 21 gennaio 1841 a Strasburgo, lo Schuré studiò dapprima diritto, ma lo abbandonò ben presto per dedicarsi interamente alla letteratura e alla critica musicale, che poi in parte lasciò per approfondirsi nello studio delle religioni e dell’esoterismo. Meraviglioso rievocatore degli antichi miti e, in genere, delle tradizioni sacre e iniziatiche d’Oriente e d’Occidente, ha avuto lo Schuré un solo torto, agli occhi del mondo accademico: quello di aver dato alla sua viva cultura una veste letteraria fascinosa e smagliante, e di aver sempre esaltato le doti d’intuizione e di veggenza sopra quelle di pura e semplice erudizione. Questo è, a un dipresso, il filo conduttore per orientarsi attraverso la complessa sua opera, che va dalla poesia al romanzo, dal dramma alla biografia, dal saggio critico ed esegetico all’esposizione di insegnamenti mistici. Non ricorderemo qui diffusamente le vicende della sua vita: ma chi non conosce l’influenza ch’ebbe su dilui Margherita Albana, la prima fra quelle ch’egli chiamò le «donne ispiratrici»; o la illuminazione wagneriana che gli dettò i due volumi sul dramma musicale? A noi importa piuttosto, riservandoci di entrare in altra occasione in un esame particolareggiato dell’opera sua, ricordare l’importanza avuta, nello sviluppo spirituale dello Schuré, dalla terra d’Italia e da coloro ch’egli conobbe nel nostro Paese. Il suo debito all’Italia egli lo confessò in tante e siffatte guise, da non lasciarci che l’imbarazzo della citazione. I «Profeti del Rinascimento»sono l’esaltazione di cinque grandi geni Italiani. Tutta la seconda parte del «Sogno della mia vita» è un canto d’amore all’Italia, alle città di questa «regione benedetta», e specialmente a Firenze, dove fu perla prima volta concepita l’opera più celebre dello Schuré: «I grandi Iniziati» . Le riserve che in sede critica si potrebbero e si potranno fare sulle sue dottrine scompaiono oggi, di fronte al doveroso riconoscimento della sua altezza intellettuale e del suo entusiasmo vivificatore, teso verso l’affermazione di tutto ciò che rappresenta idealitá e spirito contro le concezioni materialistiche di ogni specie.
Lascio il mio sogno ai dì futuri come un’arma di combattimento» – egli scrive, nell’ultima pagina del «Sogno». E noi, che combattiamo, per quanto sta nelle nostre forze, in difesa di un ordine di valori che in buona parte coincide con quello esaltato dallo Scomparso, possiamo assicurarGli che l’arma è stata raccolta, e non rimarrà inoperosa.
EMILIO SERVADIO