Il Popolo di Lombardia 14 gennaio 1928
Caratteristiche
Empirista e dottrinario, scrittore di volgo e di « élites », il professor Sigmund Freud è tra le più straordinarie figure di quest’era fin troppo sacra agli esploratori del mistero psicologico. Tanto straordinaria, da indurmi a tracciare un profilo delle sue teorie; poiché saldo contro il dissidentismo dei vari Maeder, Adler, Stekel e C. sta il complesso delle teorie Freudiane ortodosse, edificate dal Freud in anni di attività febbrile, e secondo me inseparabili da chi le ha originariamente costruite.
Da una lettura anche superficiale delle sue opere il Freud ci appare sotto una simpatica luce rivoluzionaria; è né più né meno che un divertimento assistere all’enunciazione progressiva di schemi teorici che sovvertono in modo implicito od esplicito idee e sistemi, in un crescendo d’audacia che termina invariabilmente con la rumorosa chiusura del libro da parte del novizio indignato. (Salvo poi a ritornar sul già letto, e a sceverare, nell’edifizio rapidamente innalzato, il mattone consistente dalla calce che si sgretola fra le dita).
Perché una tra le pecche del Freud, e parimenti una tra le cause della fortunata divulgazione delle sue teorie è appunto l’abituale eleganza espositiva, direi quasi la « verve » dialettica, che a volte cela le sconnessioni del ragionamento logico o l’insufficienza della dimostrazione. Freud è sempre brillante e sicuro di sé (e ciò giustifica la lettura facile dei suoi scritti), ma anche assai spesso poco profondo (e questo, se non giustifica, spiega in parte i pronunciamenti antifreudiani delle Accademie di Medicina).
Origine delle teorie
Nell’ultimo decennio del secolo scorso iniziò il Freud studi e ricerche; e l’origine del suo interessamento ai problemi di analisi psicologica pare da ritrovarsi nei primi contatti del medico ancora incerto con i gravi maestri della Salpétrière. Erano appena trascorsi i tempi nei quali lo Charcot asseriva che l’ipnosi è una forma dell’isterisnio, e dimostrava l’esistenza dei famosi « tre stati » ipnotici spaventando le sue isteriche a colpi di gong o a spiazzi di luce violenta nei quali per contro i leaders della scuola di Nancy dicevano di ipnotizzare il 97% delle persone più normali. Erano i tempi , infine in cui dagli entusiasmi generalizzantori si passava a indagine più serie e meno avventate: allo Charcot succedeva il Janet.
Quest’ultimo, scienziato vero e incapace di « bluff » quando, in un suo volume uscito da non molto (La médecine psychologique) parla dei suoi primi contatti col Freud perde in verità un po’ le staffe. Non potendo in alcun modo misconoscere con quanta genialità il consulente d’allora abbia messo a frutto le osservazioni compiute sotto la sua guida, il Janet rivendica la priorità delle idee se non dei vocaboli, e farebbe quasi passare il Freud o, per un plagiario se la paura di andar tropp’oltre non gli facesse impuntare il pennino. Non risulta d’altronde che il Freud si sia curato di ribattere le chiamate in causa del Janet, e comunque non si può fare, dell’enunciazione dl una teoria così complessa come la Psicoanalisi una questione di priorità. Il fatto si è che dopo aver visto come « quando un malato presentava certi accidenti che potevano essere in rapporto con dei ricordi traumatici fosse bene (Janet) incoraggiarli ad esprimere nettamente i ricordi di epoche diverse della loro vita…» sorse nella mente del Freud il pensiero che questo scandagliamento negli strati profondi della psiche del malato nervoso potesse costituire la base di tutto un sistema di cura della neurosi in genere. Era nato così il germe della Psicoanalisi.
Psicoanalisi nell’etimologia stessa del vocabolo è la dichiarazione implicita che si tratta di un metodo, nient’altro che di un metodo. Con qual vantaggio scientifico il Freud abbia poi fatto di un criterio terapeutico un « enorme sistema di filosofia medica », come il Janet lo ha definito, è questione che riguarda solo fino un certo punto noi contemporanei. Limitiamoci per ora a seguire l’autore nei graduali sviluppi della sua dottrina.
Introduzione alla Psicoanalisi
Incatenati, compresi, mascherati dalle forme della nostra esteriore vita di nomi stretti in gruppi, gli umani istinti primordiali regnano nel subcosciente e determinano, attraverso legami ed ostacoli posti dalla ragione e dalla convenienza, nostre azioni. Primordiale per eccellenza l’istinto della conservazione individuale, che si manifesta però soltanto come reazione ad un pericolo che pregiudichi l’esistenza; mentre invece, sempre attivo ed affermante, l’istinto della conservazione della specie appare come il primo mobile, nel giro vorticoso dell’esistere. L’importanza data dal Freud agli istinti primordiali e in primis all’istinto sessuale la pietra base del monumento psicoanalitico.
L’asserire che ogni nostra azione è subordinata all’impulso degli istinti sessuali è uno di quei tali enunciati che fanno sobbalzare chi legge; ma il Freud non è così brutalmente assolutista: e spiega infatti come le attività superiori dell’uomo (citiamo, esemplificando, le attività artistiche), si determinino mediante un processo di trasformazione degli istinti, un processo che è stato chiamato, con vocabolo calzante preso a prestito alla Fisica, sublimazione. La metamorfosi ascensionale degli istinti fa sì che nell’essere umano questi non si esauriscano mediante la loro soddisfazione diretta, bensì trovino foce in campi più o meno superiori. Comunque, esistenza, forza e valore degli istinti primordiali sono presupposti necessari.
Supponiamo ora che una persona normale qualsiasi riceva, in un dato momento una scossa nervosa (un trauma) riannodabile a un fatto sessuale; essa non e ne rende conto, coscientemente, ma i suoi istinti subcoscienti reagiscono… o meglio, vorrebbero reagire; però ne sono impediti dai frammentati ostacoli di ordine sociale (pudore, ecc.). Che cosa avviene? Avviene un respingimento forzato di questi ricordi traumatici, un « refoulement » per adoperare un mai traducibile vocabolo francese; che dà origine a tutto uno stato patologico della psiche, stato che ricomprende disturbi i svariatissima natura, e che il Freud chiamato un «complesso». Non è però indispensabile un trauma, per la generazione di un complesso: basta che vi siano istinti che vorrebbero manifestarsi, che gli ostacoli costringono a rimanere nelle zone celate della coscienza.
Posta così l’origine delle nevrosi in generale, occorre trovare il sistema di cura adeguato, e cioè veder dl liquidare il ricordo traumatico, o di lasciar affiorare le tendenze che urgono nel subcosciente. Ma questo scopo bisogna conoscere di che cosa si tratti: bisogna trovare quali siano generalmente gli indici che il terapeuta possa consultare, le zone della vita psichica dell’ammalato nervoso nelle quali si possa affondar lo scandaglio dell’analisi con qualche speranza di raccoglier dati di fatto e non vane illusioni.
(Vedremo in un prossimo articolo quali siano questi indici, ed in qual modo possibile giovarsene per lo scopo perseguito).
E. ESSE.