Come si svolge un trattamento psicoanalitico
Rivista di Psicologia,1937, pp.17-25
La domanda a cui vorrebbe – sia pure per sommi capi – dar soddisfazione quanto sto per esporre, è forse la più frequente tra le molte che il pubblico suole rivolgere agli psicoanalisti. Il pubblico sa, infatti, che la psicoanalisi è sorta come metodo di trattamento di disturbi psichici, e non ignora che ancor oggi il lato pratico e applicativo della scienza psicoanalitica conserva tutta la sua validità; esso suppone anzi, e con buon fondamento, che il metodo analitico, a partire dai primi interventi del FREUD, si sia a poco a poco perfezionato, reso più duttile e plastico; si sia cioè, attraverso l’esperienza, e profittando della vasta somma di ricerche compiute in tanti anni, accostato sempre maggiormente alla realtà psichica. Né si può dar torto, poi, a coloro i quali ritengono che da una presa di contatto, anche sommaria, con ciò che è in nuce il metodo psicoanalitico, si possa ricavare una conoscenza particolarmente viva ed essenziale dei fondamenti stessi della psicoanalisi. Il trattamento analitico è infatti una specie di sezione trasversale, di multum in parvo, rispetto alle varie parti della dottrina: in esso convergono da un lato le svariate conoscenze ed esperienze dell’analisi; e dall’altro si manifestano in modo concreto ed evidente quei meccanismi psichici generali che la psicoanalisi ha saputo per prima accertare ed approfondire.
Vien fatto peraltro di chiedersi se anche un semplice accenno alla tecnica psicoanalitica non presupponga una somma di nozioni abbastanza vasta, specie per ciò che riguarda la genesi e le caratteristiche dei disturbi psichici e delle psiconevrosi: circa questo punto sarebbe anzi necessaria, credo, una trattazione a parte, destinata ad approfondire teoricamente assai più di quanto non si possa qui fare il valore terapeutico della psicoanalisi freudiana. Nel caso di questa è da notare, d’altra parte, che la teoria si è venuta poco a poco edificando sulla base dei reperti pratici ed empirici; cosicché non saremo men che coerenti procedendo anche noi empiricamente: supponendo, cioè, di conoscere assai poco dei presupposti teorici della prassi analitica, descrivendo quanto di saliente avviene durante un’analisi e cercando di dar esito volta per volta alle domande, alle obiezioni ed ai problemi che incontreremo si può dire a ogni passo sul nostro cammino.
Supponiamo, dunque, che un individuo, non soddisfatto o disturbato nella propria vita psichica, ricorra ad un psicoanalista sperando in un alleviamento dei guai, piccoli o grandi, che lo affliggono, e che egli sommariamente riferisce. L’analista lo inviterà a sdraiarsi sopra un divano, in piena libertà, e non di fronte a lui, onde ovviare con ciò, tra l’altro, al disagio che potrebbe venire al paziente qualora fosse costretto a guardarlo in faccia per tutta una conversazione; quindi gli enuncierà la regola fondamentale di ogni trattamento psicoanalitico: gli dirà, cioè, che ai fini dell’analisi è necessario che egli racconti di sé ogni cosa, palesando i propri pensieri così come essi gli si presentano alla coscienza, astenendosi da qualsiasi critica di ordine apparentemente razionale; lo inviterà, in altre parole, a comportarsi come spettatore di fronte ai suoi stessi pensieri, senza alcuno dei molteplici riguardi e delle svariate attenuazioni cui si ottempera di solito parlando col nostro prossimo, nella vita quotidiana.
Già questo primo punto solleva vari interrogativi e richiederebbe ulteriori schiarimenti. Senza pregiudizio di quello che potremo dire in proposito più oltre, osserveremo qui soltanto che con ciò viene eliminata la critica che si suole rivolgere, e ragionevolmente, ai trattamenti di carattere suggestivo. L’analizzando non viene infatti indirizzato verso questo o quel corso d’idee: ciò che gli viene via via alla mente non può dunque, per definizione, essere influenzato dall’analista: si tratta di un viaggio di ricerca verso un mondo sconosciuto, che comincia a rivelarsi a partire da un punto qualsiasi del vasto territorio da esplorare.
Non è facile, beninteso, che l’analizzando si ponga senz’altro in una situazione corrispondente alla regola anzidetta: siamo troppo abituati, nel nostro comune parlare e vivere, a trattenere una parte dei nostri pensieri, a modificare ed abbellire quelli che vengono – espressi. « La parola – è stato detto da un umorista – serve all’uomo per nascondere il proprio pensiero »! Ma supponiamo pure il caso più favorevole, che cioè l’analizzando dica effettivamente tutto ciò che via via appare alla sua coscienza, e che quindi ogni forma di inibizione cosciente sia da lui di fatto eliminata. L’analista si trova allora di fronte ai contenuti psichici più svariati: la menzione di un fatto attuale si alterna al racconto di un sogno della notte precedente o al ricordo di un evento dell’infanzia; l’associazione delle idee porta il paziente ad avvicinare luoghi, persone e fatti senza che si veda a tutta prima bene in quale nesso i pensieri corrispondenti stiano fra loro. L’analista segue con attenzione il corso di questi pensieri, si astiene dall’esprimere giudizi; tuttavia gli appare ben presto che molti di questi ricordi, idee, sintomi, sogni e associazioni rimangono gratuiti, senza nesso e incomprensibili fintantoché ci si soffermi solo sulla pura enunciazione fattane dall’analizzando mentre acquistano un sorprendente significato sol che ci si decida a considerarli come espressioni di una realtà psichica più profonda, a considerare cioè l’espressione verbale o mimica come il terminus ad quem di vasti e complicati processi che si svolgono nella zona inconscia della personalità psichica.
In pari tempo l’analista perviene immancabilmente ad un’altra constatazione, la quale non può non meravigliare il profano a cui la si enunci, ma che non desterà certo stupore in chi ha già qualche nozione di psicoanalisi: la constatazione – per esprimerci con le parole che il FREUD adopera nel suo scritto Die Frage der Laienanalyse – «che non si può contare affatto sul concorso e sulla docilità dell’analizzando, e che questi mette ogni sorta di bastoni fra le ruote del lavoro che state compiendo insieme ». Nel suo sforzo, cioè, di vedere più chiaramente e profondamente che cosa si svolge nell’anima del suo analizzando, l’analista s’imbatte fin dall’inizio in gravi ostacoli che – ci affrettiamo a dirlo non dipendono dalla buona volontà del paziente. Questi, come abbiamo supposto, si attiene fedelmente alla regola fondamentale, dire tutto ciò che gli viene in mente, non si lascia trattenere da rispetti umani, da criteri morali o da inibizioni sociali; e, ciò nonpertanto, qualche cosa in lui si oppone a che i contenuti più profondi della sua vita psichica appaiano alla coscienza e possano quindi venire manifestati. Si tratta del fenomeno delle «resistenze » inconsce, ben altrimenti tenaci e difficili a toglier di mezzo che non le difficoltà di ordine cosciente: appare in tal modo chiaro, sin dagli inizi del trattamento psicoanalitico, che nell’apparato psichico esistono forze tra loro contrastanti, e che uno dei compiti principali dell’analisi dovrà appunto consistere nel riconoscimento e nell’esplicitazione di conflitti del genere, e in una presa di posizione di fronte ad essi.
Il fenomeno delle « resistenze », che occorre affrontare e risolvere nel trattamento psicoanalitico, appare dunque come una manifestazione particolare di proprietà generali e caratteristiche della vita psichica: esso non può essere compreso qualora non si ammetta: 1) che esiste un inconscio psichico i cui processi sono radicalmente diversi da quelli della coscienza; 2) che il fatto di essere «inconsci » può qualificare tanto gruppi di forze e di impulsi che cercano di farsi strada verso la coscienza, quanto altre forze che si oppongono alle prime e impediscono loro di divenire coscienti. Occorre ammettere inoltre che se non si vincono le resistenze, è vano sperare in una profonda conoscenza di ciò che si agita nell’inconscio dell’analizzando; e che verosimilmente i disturbi e i sintomi di cui si lagna il paziente son dovuti ad un meccanismo analogo a quello or ora enunciato; sono, cioè, forme di compromesso tra gruppi diversi ed opposti di energie psichiche inconsce, sono il risultato, quanto mai enigmatico se lo si valuta in termini di coscienza, di conflitti psichici che sussistono nell’inconscio, e che spetta appunto all’analisi riconoscere e chiarificare.
Che cosa fa dunque l’analista, in questa prima fase del trattamento?
Egli si trova di fronte, come abbiamo detto, a un materiale più o meno vasto, i cui elementi corrispondono, in profondità, ai più diversi strati dell’apparato psichico, e che si presentano per la gran parte falsati e deformati, se pure si presentano, e se non si mantengono, invece, totalmente inconsci! Occorrerà quindi in primo luogo far capire all’analizzando il carattere delle resistenze che causano tali deformazioni ed obliterazioni, e limitare a queste, in linea di massima, il lavoro iniziale d’interpretazione.
Le resistenze, occorre qui precisare, provengono dalla parte inconscia dell’Io, e in particolare da quella parte differenziata dell’lo che ha caratteri giudicativi spesso crudelmente oppressivi e severi, e che si chiama il Super-Io. Esse si oppongono si può dire automaticamente a che molte tendenze di carattere infantile giungano alla coscienza, e ciò perché queste tendenze si accompagnarono in epoca remota a gravi paure di danneggiamento, e furono quindi relegate nell’inconscio. L’Io dell’adulto, però, è assai diverso da quello del bambino, e deve rendersi conto a poco a poco che nessun nocumento può più venirgli dall’affiorare alla coscienza di quegli impulsi obliterati o – come si suol dire « rimossi » : si tratta, da parte del paziente, nel caso di questi contenuti dell’inconscio, e rispetto ad essi, di un errore di valutazione, di una situazione, per dir così, anacronistica, paragonabile a quella di una città sepolta da gran tempo, in cui tutto si sia mantenuto invariato nonostante il succedersi e il mutare degli eventi esteriori. L’opera dell’analista mira dunque, tra l’altro, a « rassicurare» il paziente, a rafforzare il suo Io, a dirigere su altri binari le energie legate ai contenuti psichici rimossi, a mitigare la severità del Super-Io: tutti mezzi attraverso i quali le resistenze vengono gradualmente indebolite, sì che il panorama diventa più vasto, il materiale analitico si estende a territori prima rimasti in ombra, e i termini più veri ed importanti dei complessi e dei conflitti psichici appaiono lentamente alla luce.
Una parte delle resistenze cui abbiamo sin qui genericamente accennato è poi quasi sempre l’esponente di due meccanismi particolari di carattere inconscio, con i quali l’analista deve fare i conti. Uno di questi meccanismi, il più superficiale, è quello che il FREUD definisce con l’espressione di «tornaconto secondario » della nevrosi (o della disfunzione psichica) : senza rendersene conto, il paziente, che da un lato vuole essere effettivamente liberato dai propri disturbi, dall’altro invece vi è attaccato, per quei benefizi indiretti, talvolta rilevanti, che da essi può ritrarre; il nevrotico, ad esempio, per il fatto stesso della sua nevrosi, può venir trattato con cura ed amore particolari dai membri della propria famiglia, oppure può valersi della sua nevrosi come di un paravento atto a giustificare – supponiamo – una sua -inferiorità nella vita. Più profondo è l’altro meccanismo, in cui entra in primissima considerazione il Super-Io, che, come si è accennato, è spesso severissimo e assoggetta l’Io a vere e proprie torture morali: tra queste figurano il « sentimento di colpa» e i «processi autopunitivi ». Una tra le forme con le quali il Super-Io «punisce» l’Io è costituita appunto dalle sofferenze che la nevrosi o il disturbo psichico procura; e il Super-Io « resiste », com’è ovvio, ai tentativi fatti per mitigare od annullare la sua crudele influenza, ossia per alleviare e ridare la salute psichica al paziente.
Risulta chiara, anche da questi scarsi accenni, che l’opera dello analista urta contro difficoltà veramente formidabili, anche solo per allentare le resistenze che si presentano sin dagli inizi del trattamento. E quasi inutile dire che, oltre all’esperienza, doti particolari d’intuito e di tatto occorrono all’analista perché egli possa a poco a poco creare le condizioni più favorevoli per una ulteriore e discesa in profondità a dell’analisi. Tutto ciò che nell’analizzando vien posto al servizio della resistenza – tratti di carattere, comportamento, silenzi prolungati, atti sintomatici, lapsus, ecc. – va pazientemente identificato e fatto riconoscere al paziente stesso. Nulla potrebb’esservi invece di più erroneo che il dichiarare sic et simpliciter a quest’ultimo, specie nei primi tempi dell’analisi, ciò che l’analista può ritenere di avere compreso dalle sue più profonde e sepolte tendenze inconsce: ciò servirebbe soltanto a determinare nell’analizzando reazioni d’incomprensione e d’incredulità, quando non addirittura di spavento e di orrore, e, in sostanza, a rinforzare le resistenze che occorre invece indebolire.
Si potrebbe ritenere che, superate almeno in notevole parte le resistenze dell’analizzando, il trattamento analitico potesse poi proseguire senza troppi inciampi, nel senso di una elaborazione sistematica dei complessi e dei conflitti incoscienti, causa dei disturbi. L’analista – si potrebbe dire – affronta allora in guisa più diretta quanto il paziente gli racconta, e gli fornisce al momento opportuno schiarimenti che in un primo tempo questi non sarebbe stato in grado di capire. In special modo, l’indagine si vale del metodo delle «libere associazioni », attraverso le quali, come è noto, si giunge a rendersi conto del significato di molte espressioni di processi psichici inconsci – sintomi, lapsus, fantasie, e particolarmente sogni a tutta prima incomprensibili… Ciò facendo, il trattamento psicoanalitico mira a portare sotto il fuoco della coscienza dell’Io sintetizzante le situazioni di conflitto mantenute nell’inconscio, e causa dei disturbi: nella giustificata aspettativa che tali situazioni, patogene finché rimangono tenute lontane dalla coscienza, perdano il loro malefico potere quando vengano considerate e rettificate da un Io più sviluppato e più forte: sul che si fonda, in sostanza, la vera e propria virtus terapeutica della psicoanalisi… Senonché sorge ben presto una complicazione inaspettata, che dovette sorprendere non poco il FREUD e i primi analisti che vi si trovarono dinnanzi. L’analizzando, cioè, incomincia a comportarsi di fronte all’analista in un modo sempre più diverso da quello delle primissime sedute, nelle quali i rapporti fra i due erano quelli, non più che tiepidamente cordiali, che corrono tra persone in sostanza estranee l’una all’altra. L’analizzando, diciamo, si comporta sempre più affettivamente, di fronte all’analista, e rivolge a lui moti emozionali talvolta vivacissimi. Questi moti possono essere di simpatia, di amicizia, di venerazione, di amore; oppure di sfiducia, di critica, di antipatia, di odio; si traducono non solo con parole, ma con ogni sorta di espressioni anche larvate, che talora si capiscono di primo acchito, talaltra richiedono anch’esse un accurato lavoro d’interpretazione.
A volte, tali moti soppiantano addirittura qualsiasi altro interesse dell’analizzando, compreso quello per il trattamento iniziato. Che cosa è avvenuto? Che mai significa questo comportamento del paziente? Come si regolerà l’analista di fronte alla nuova situazione?
Per comprendere bene quanto accade occorre tener presente che le forze operanti, in un senso o nell’altro, durante il trattamento psicoanalitico, sono di ordine affettivo, emozionale, sentimentale, non già concetti astratti o elucubrazioni intellettuali. Questi affetti e queste emozioni che vengono toccati e attivati dall’analisi, appartengono per gran parte alla vita infantile del paziente, e sono stati, al pari di essa, sommersi e mantenuti nell’oblio. Ed ecco ora che l’analisi, spostando a fine benefico l’equilibrio psichico del paziente, – se di equilibrio si potesse parlare nel caso di una situazione così male assestata e precaria qual’è quella di chi presenta disturbi psichici più o meno gravi – ecco che l’analisi, diciamo, richiama in vita fortissime lotte svoltesi nell’individuo stesso, fra tendenze che vorrebbero manifestarsi e altre che vorrebbero opporsi a tale manifestazione. Sotto gli occhi dell’analista, il paziente, in altre parole, ottemperando a una esigenza psicobiologica su cui qui non posso soffermarmi, e a cui il FREUD ha dato il nome di «coazione a ripetere », rivive, senza rendersene conto, passate esperienze che non riesce ancora a ricordare; e poiché attraversando tali esperienze -egli ha rivolto alle persone a lui più vicine, e specialmente ai genitori e ai fratelli, sentimenti fortissimi di amore o di ostilità, ecco che egli proietta inconsapevolmente sull’analista questi affetti del passato: li « trasferisce », cioè, su di lui. La psicoanalisi dà appunto il nome di « traslazione » a questo processo, distinguendo una traslazione «positiva » da una « negativa », a seconda che in essa predomini l’amore oppure l’odio. La stessa traslazione, poi, fa parte a sua volta del processo più generale già accennato, per cui il paziente riproduce inconsapevolmente, in forma spostata e deformata, molte situazioni obliate del tempo che fu: processo che il FREUD ha contraddistinto col termine generico di «agire» (in tedesco: das Agieren).
I problemi che si pongono a questo punto sono naturalmente molteplici, e noi dovremo limitarci a sfiorare appena i più importanti fra essi.
Anzitutto dovremo dire che la scoperta dell’ « agire » e della traslazione ha avuto, oltre che un’enorme importanza pratica nello sviluppo della tecnica psicoanalitica, anche notevoli riflessi sii alcune questioni più generali e di ordine teorico, questioni che tale scoperta ha permesso di meglio comprendere e classificare. Si è visto, fra l’altro, che il processo di traslazione, il quale appare in forma così tipica e saliente durante il trattamento psicoanalitico, si manifesta più generalmente e assai spesso, sebbene in forma di solito più attenuata, anche nella vita e negli individui normali: certe predilezioni e certe antipatie per persone o situazioni, ad esempio, appaiono non essere se non forme, più o meno spiccate, di traslazione e di «agire » : constatazione, questa, che ha recato ad es. notevoli contributi alla psicologia della folla. Per attenerci più strettamente al lato tecnico della questione, osserveremo che lo studio della traslazione ha dato modo di comprendere più intimamente l’essenza dei procedimenti suggestivi, poiché la suggestione è risultata in tanto possibile e – entro certi limiti efficace, in quanto essa sfrutta un rapporto di traslazione positiva tra suggestionato e suggestionatore: rapporto, d’altronde, di cui per solito né l’uno né l’altro si rende razionalmente conto. Inoltre giova qui menzionare il fatto che nei trattamenti suggestivi viene utilizzata la sola traslazione positiva, mentre di fronte a quella negativa il suggestionatore si trova del tutto impreparato e impotente.
Ma – per tornare alla tecnica psicoanalitica che più c’interessa – come si comporta l’analista di fronte all’analizzando, nella fase di traslazione del trattamento? L’analista si trova, nei confronti per esempio di chi adoperasse una tecnica di tipo suggestivo, in una situazione di gran lunga più favorevole, poiché egli conosce assai bene la psicogenesi del fenomeno che si dispone ad affrontare, e gli è ben chiaro il fatto che i sentimenti del paziente si rivolgono a lui come potrebbero rivolgersi ad un altro nelle stesse condizioni, e vengono proiettati sulla sua persona come su di uno schermo. Forte di tale consapevolezza, egli né respingerà bruscamente i trasporti supponiamo positivi dell’analizzando, né tanto meno, e ben s’intende, li ricambierà come sarebbe libero di fare in un rapporto extra-analitico; se si tratta di moti ostili, egli certo non ne sarà, né se ne mostrerà, turbato od offeso: egli lascerà, ai fini dell’analisi, che il processo si sviluppi sino al punto che l’esperienza e l’intuito gli indicheranno, e quindi rivolgerà ogni suo sforzo a creare un « distanziamento», fra l’Io del paziente e quanto in lui si svolge senza cadere sotto il suo controllo, a rendere consapevole l’analizzando appunto del fatto che il di lui comportamento riproduce atteggiamenti del passato: cercherà cioè, attraverso le interpretazioni volte specialmente a tale fine, di « trasformare come si suol dire in psicanalisi – l’agire in ricordo ».
La differenza sostanziale che corre fra un trattamento suggestivo e un trattamento psicoanalitico è dunque la seguente: che nel primo la traslazione viene considerata come un mezzo non ulteriormente analizzabile, e non serve se non a respingere più profondamente nell’inconscio le energie patogene, che poi troveranno immancabilmente modo di manifestarsi ancora, magari in forma più grave; mentre nel secondo il paziente è chiamato a rendersi conto coscientemente del valore e del significato medesimi del processo, che è ricondotto alle sue radici, con altrettanto immancabile alleviamento delle tensioni affettive che lo hanno determinato. Per valermi di una similitudine del WEISS: di fronte alla rottura di un condotto d’acqua, l’operaio che accumulasse, nel punto del guasto, materiale alla rinfusa, in modo da celare provvisoriamente all’uomo della strada che la conduttura è rotta, si comporterebbe come un suggestionatore di fronte ai sintomi del proprio paziente; mentre quello scendesse nel sottosuolo, identificasse in tal modo l’origine del guasto, vi rimediasse, e risalisse quindi alla superficie, si comporterebbe press’a poco come un psicoanalista. E’ facile vedere da che parte stiano il buon senso, la logica e la ragione scientifica.
Ma se l’ « agire » e la traslazione hanno la massima importanza nel trattamento psicoanalitico, in quanto, convenientemente elaborati e interpretati, permettono al paziente prima di rivivere e poi gradualmente di ricordare una quantità di eventi e di conflitti psichici che hanno determinato l’insorgere dei suoi sintomi e dei suoi disturbi, e in quanto conferiscono al lavoro interpretativo un risalto e un’efficacia che altrimenti esso non potrebbe mai avere, occorre tuttavia, nell’ultima parte dell’analisi, che la traslazione stessa venga risolta, o, come si suol dire, « liquidata ». Se l’insorgere della traslazione, infatti, ha operato una prima trasformazione nel paziente, e attualizzando » per così dire i suoi disturbi, e rendendoli pertanto più accessibili all’influenza analitica, quella che si è così formata è però anch’essa una soluzione compromissoria, che non dà all’analizzando la possibilità di sentirsi e di comportarsi come una persona libera e normale. Il compito che si presenta all’analista non appare qui più facile che nelle fasi precedenti: talora la liquidazione della traslazione positiva presenta grandi difficoltà in quanto essa rappresenta, per l’inconscio del paziente, lo svincolamento da legami affettivi profondissimi, l’assunzione di un’autonomia e di una responsabilità che egli non ha mai saputo conquistare e, in sostanza, una nuova nascita nei confronti della vita del mondo. A volte la traslazione positiva si accompagna a un rapido miglioramento o addirittura a una scomparsa dei disturbi, quale si verifica appunto spesso nei trattamenti suggestivi: ma se l’analista si lascia fuorviare, e crede che ciò sia l’indice della fine dell’analisi, va incontro a brutte sorprese, giacché il miglioramento è fittizio, è un’espressione della stessa traslazione, e dopo breve tempo dall’interruzione dell’analisi cede e si annulla. Anche la traslazione negativa richiede una particolare comprensione ai fini del trattamento, poiché il paziente spesso o razionalizza o con grande abilità i moti ostili che rivolge all’analista, giustificandoli apparentemente a se stesso e ad altri… E via discorrendo.
Quando invece si riesca a interpretare a fondo l’agire e la traslazione; a renderne poco a poco consapevole il paziente, e a staccarlo infine dopoché siano state sufficientemente portate in luce e risolte le situazioni psichiche inconsce e patogene – dalla persona all’analista, allora il trattamento è riuscito in tal caso a rendersi conto, da adulto, degli eventi di carattere infantile che, rimanendo inconsci, e tuttavia urgendo verso la coscienza ed essendo contrastanti dalle forze rimuoventi, davano luogo ai sintomi – ma ha anche a disposizione una somma di energie che erano prima impegnate dinamicamente in una sterile lotta, e che ora egli può invece indirizzare in opere utili a lui stesso e alla società. E’ nota l’importanza che la psicoanalisi dà al processo cosiddetto di « sublimazione »: orbene, è appunto nel senso della sublimazione che s’indirizza una parte delle energie liberate dal trattamento; mentre un’altra parte troverà vie di sbocco non sublimative – per esempio la libera e cosciente espressione della sessualità – ma comunque proprie all’individuo normale, e perfettamente compatibili con le esigenze sociali.
Giunti alla fine di questa esposizione senza pretese, ci accorgiamo di aver lasciato da parte moltissimi argomenti particolari, che meriterebbero, ognuno una trattazione a parte. Uno fra i più importanti è certamente quello della durata del trattamento. Esso richiede, per regola generale, un’ora quotidiana: ma per quanto tempo? Quasi sempre parecchi mesi, a volte anni. La lunghezza di una psicoanalisi non stupirà chi si renda conto nelle difficoltà che essa presenta, inerenti alla tenacia dei sintomi e delle resistenze, alla lentezza (il FREUD la chiama « viscosità ») con cui le energie psichiche abbandonano certe rappresentazioni o certi oggetti per rivolgersi altrove, ai gravi ostacoli che intralciano il lavoro d’interpretazione, alla gran massa di materiale da cui vien tratto, come l’oro dal minerale, ciò che è realmente utile per i progressi del lavoro analitico.
Si è spesso fuorviati, valutando la durata di un trattamento analitico, da un pregiudizio erroneo relativo agili eventi psichici; i quali, perché impalpabili, dovrebbero poter modificarsi o scomparire al comando del taumaturgo, mentre nessuno oserebbe pretendere alcunché di simile – poniamo – per una lesione polmonare o per un tumore al cervello. Le cose, purtroppo, non stanno così: il disturbo psichico e la nevrosi danno invece l’impressione di esseri organizzati, tenaci, fortemente attaccati alle loro posizioni: dalle quali non si riesce a smuoverli se non con abilità, pazienza, e tempo.
RIASSUNTO: L’A. descrive le principali tappe di un’analisi condotta secondo il metodo freudiano, mettendo in risalto i seguenti punti principali rapporto fra processi psichici inconsci e manifestazioni coscienti (Sintomi, espressioni verbali o mimiche, comportamento dell’analizzando); resistenze coscienti e resistenze inconscia; analisi delle resistenze; rafforzamento dell’Io dell’analizzando; « tornaconto secondario» del disturbo psichico; processi autopunitivi e sentimenti di colpa; valore catartico della presa di contatto con i contenuti psichici inconsci; comportamento del paziente e suo «agire» nell’analisi; «agire» e «traslazione» e loro interpretazione; «distanziamento» dell’Io dell’analizzando nei confronti del suo comportamento; differenze essenziali fra psicoanalisi e trattamenti suggettivi ; liquidazione della traslazione; fine del trattamento; motivi della sua durata.