Psicopatologia dell’internamento
Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte, Anno II, n°1, 1946
Questo lavoretto fu scritto dall’Autore nel 1940, nel Campo di Concentramento di Ahmednagar, India Britannica. Destinato allora ad alcuni internati che s’interessavano alla psicoanalisi, esso è rimasto inedito, e vede ora per la prima volta la luce.
La situazione dell’internamento, come quella della guerra, è una situazione anormale. Non è quindi da stupirsi se essa dà luogo a reazioni psichiche particolari, che la psicoanalisi, per lo meno nelle linee generali, può aiutarci a comprendere.
Circa mezzo secolo fa, e proprio in un periodo nel quale molti nutrivano l’illusione che l’umanità s’incamminasse verso un’era di grande civiltà e di pace perpetua, Freud apriva nuove vie alla psicologia ed esponeva le sue prime sensazionali conclusioni. Una fra esse è la seguente: lo spirito umano racchiude, sotto la superficie della coscienza, un assieme di forze esplosive, che sfuggono per gran parte al nostro controllo e che, per loro natura, sono in opposizione e in conflitto con le esigenze della vita civilizzata. Queste forze appartengono a stadi primitivi, arcaici, di evoluzione psichica, e perciò si scorgono assai bene nel bambino piccolo e nel selvaggio. Nell’uomo cosiddetto civile, esse sono coperte da veli alquanto più spessi che non quelli, di solito assai trasparenti, dell’infante o del primitivo: ma questi veli sono sempre tenui rispetto all’entità e alla potenza dell’istintività inconscia; la quale, non appena si verifichino circostanze favorevoli, rompe le dighe e si manifesta con il suo vero volto.
Le guerre di cui siamo stati testimoni hanno recato una conferma clamorosa all’anzidetta affermazione freudiana. Si può dire, infatti, che la guerra è l’assoluta negazione dei criteri della civiltà. Per citare le parole di un illustre psicoanalista, Ernest JONES, « durante la guerra, la popolazione maschile di una nazione è non soltanto autorizzata, ma incoraggiata e spinta a condursi in un modo che ispira il più profondo orrore allo spirito dell’uomo civile, a commettere crimini e ad assistere a spettacoli che urtano profondamente la nostra coscienza morale e il nostro gusto estetico. Tutti gli impulsi che erano rimasti repressi – impulsi crudeli, sadistici, omicidi – si risvegliano, e manifestano una forza straordinaria… ». Aggiungerò che sebbene queste azioni siano commesse in nome di un’idea o di un ideale, ciò non toglie proprio nulla alle loro fondamentali caratteristiche. Anzi, la constatazione che certe idee e certi ideali non possono essere affermati e difesi se non mediante l’omicidio su larga scala dimostra semplicemente che l’umanità non ha ancora trovato la maniera di far corrispondere i propri istinti ai propri ideali.
Nel corso dell’evoluzione individuale, il conflitto fra le anzidette forze impulsive e quelle che – conformemente ai criteri dell’ambiente e dell’Io – tendono a reprimerle, trova svariate soluzioni. La più comune è quella per cui le tendenze istintuali vengono in parte spazzate via dalla coscienza – «rimosse », come si dice in psicoanalisi – e mantenute quindi, con un continuo sebbene inconsapevole dispendio di energia psichica, permanentemente nell’inconscio; e in parte deviate, trasformate, «sublimate», ossia rivolte verso altri fini, di solito superiori. Quando questa rimozione o questo deviamento non riescono, e la tensione tra i due gruppi di forze porta a una rottura d’equilibrio, abbiamo le principali malattie psichiche, le cosiddette psiconevrosi. S’intende che tra un massimo di soluzione favorevole, ossia di normalità psichica, e un massimo di nevrosi, abbiamo tutta una gamma di variazioni e di sfumature – giacché nessun criterio, in psicopatologia come in patologia generale, permette di tracciare una frontiera precisa fra il territorio della salute e quello della malattia.
Quando l’individuo si trova – come nel caso della guerra o in quello più particolare del campo di concentramento – in condizioni di ambiente molto difficili ed anormali, il suo apparato psichico è sollecitato e spinto a un riadattamento tanto brusco quanto considerevole, e il sapere se il suo equilibrio psichico reggerà o meno, se le sue reazioni saranno più o meno clamorose rispetto alla sua condizione psichica precedente, è una questione puramente quantitativa. Vi sono individui talmente predisposti alla nevrosi, che un piccolo mutamento di situazione basterà a rompere l’equilibrio quanto mai precario preesistente; altri, invece, possiedono quel che volgarmente si chiama una grande riserva di forze mentali e morali, sì che possono ottimamente resistere a gravi difficoltà e situazioni critiche in cui vengano a trovarsi. Ma nella massima parte dei casi, abbiamo soluzioni intermedie: soluzioni, cioè, che appartengono a una zona grigia fra psicologia normale e psicopatologia, pur dovendo essere classificate, a rigor di termini, sotto il segno di quest’ultima.
Le tendenze che nell’individuo normale sono di solito più o meno stabilmente rimosse nell’inconscio trovano la loro energia in due grandi gruppi di istinti, ai quali sono stati dati i nomi rispettivamente di istinti dell’Eros (i quali comprendono principalmente gli istinti sessuali) e di istinti distruttivi. S’intende che la rimozione investe non già certe manifestazioni istintuali perfettamente compatibili con la vita civile – come p. es., la sessualità entro certi confini e con certe limitazioni, o l’aggressività sportiva – bensì le espressioni e i livelli arcaici ed infantili sia della sessualità, sia dell’istinto di aggredire e di distruggere.
Esaminiamo, ora, il destino di questi gruppi istintuali nel caso, che più c’interessa, del campo di concentramento.
Una delle conseguenze più appariscenti della nuova situazione in cui l’individuo viene a trovarsi è per es. quella della forzata astinenza sessuale. Quali modificazioni psichiche possono effettuarsi a questo proposito?
Vi è una legge psicologica, scoperta dalla psicoanalisi, per cui un istinto, qualora non possa manifestarsi in alcun modo, e non possa venir convenientemente sublimizzato, tende a regredire su posizioni – chiamiamole così – anteriori e più primitive. Come le acque di un torrente a cui venga posta una diga non si arrestano, ma refluiscono all’indietro, così l’istinto ostacolato tende a ripiegare su una linea evolutiva precedente. Ora, nell’evoluzione degli istinti che si compie nella prima infanzia e tocca il suo culmine alla pubertà, le «posizioni » che precedono la fase genitale della sessualità, e l’amore per l’oggetto, sono, principalmente: quella per cui si conferisce un interesse sessuale alla zona anale, tutte le manifestazioni autoerotiche e narcisistiche, e quella dell’omosessualità. Per chiarire questa enunciazione ricorderò uno o due punti essenziali. Anzitutto occorre tener presente che il concetto usuale di « sessualità » è molto limitato e impreciso in confronto al concetto scientifico. Per sessualità s’intende, secondo i più moderni punti di vista, un assieme di tendenze e d’impulsi che l’individuo porta con sé ed esprime sin dal primo giorno di vita, e che assume varie forme a seconda del livello evolutivo raggiunto dall’individuo stesso, sino a che, con l’età pubere, non si fissa stabilmente sotto il primato delle funzioni genitali. Le principali tappe di questa evoluzione si compiono nei primi cinque o sei anni, ed è ormai stabilito senza possibilità di dubbio che quelle che nell’individuo adulto sono definite «anormalità» o « perversioni » sessuali non sono in massima che arresti o regressioni a fasi infantili della sessualità stessa: fasi, che nel bambino sono al tempo stesso transitorie e normali. E’ perfettamente normale, ad esempio, che nel bambino dai due ai tre anni le manifestazioni dell’istinto sessuale abbiano come zona erogena principale la zona anale, così come è normale che prima del raggiungimento e della stabilizzazione dell’eterosessualità e dell’amore per l’oggetto l’individuo attraversi dei periodi in cui la manifestazione della sessualità è autoerotica, o in cui nella scelta dell’oggetto sessuale la diversità del sesso è molto meno sentita che nell’adulto normale, o è addirittura respinta. Nell’individuo normale, queste fasi infantili della sessualità vengono, come abbiamo detto, in parte rimosse, in parte sublimizzate; e s’intende che nella persona la quale possiede difese sufficientemente forti, le tendenze rimosse non vengono soddisfatte neppure nelle circostanze eccezionali di cui stiamo trattando. Ma allora, che cosa ne deriva? Ne deriva un sensibile aumento della tensione intrapsichica rispetto a quella normale, e questo aumento di tensione, se non trova alcuna via di sfogo laterale o di deviamento, provoca quel fenomeno che è noto sotto il nome di angoscia, e che può manifestarsi in varie guise: senso di accasciamento o addirittura di disperazione, oscuri sentimenti di colpa e di condanna subita, sonni penosi e interrotti, oppure semplicemente l’esperienza di una noiosa e continua irritazione che non trova un oggetto o un contenuto, e che può quindi esplicarsi di punto in bianco in forme quanto mai strane e irrazionali Questa angoscia deriva, tanto per esser chiari, dall’esacerbarsi delle istanze rimuoventi sotto l’aumentata pressione di quelle rimosse, e dal peso intollerabile che esse esercitano, dall’inconscio, sull’Io.
Ho parlato di vie di sfogo e di deviazioni. Queste formano, più o meno, il pane quotidiano della maggioranza, e costituiscono, psicologicamente parlando, la loro àncora di salvezza perché impediscono loro di cadere nell’angoscia nevrotica o nell’aperta perversione. Dato che l’ambiente del campo di concentramento , prendendo la parola nella sua accezione più lata, omosessuale, cioè composto soltanto di individui dello stesso sesso, esso favorisce grandemente quelle manifestazioni larvate o scherzose dell’omosessualità che sono frequenti anche nelle scuole, nelle caserme, nei collegi, e in genere dove si trovino radunati individui dello stesso sesso. Il dare a uno un nome femminile, il lodarne scherzosamente la bellezza del viso o del corpo, l’adoperare con particolare frequenza parole tratte a prestito dal linguaggio sessuale – e omosessuale -, anche il «perseguitare» con dispetti di vario genere questo o quello; tutte queste sono manifestazioni larvate e trasformate di istinti in parte francamente sessuali, in parte di un’aggressività infantile e primitiva, che non trova altra via di sfogo.
La parziale regressione degli istinti alla fase cosiddetta « anale » è particolarmente evidente nella grande libertà con cui molti adoperano parole o compiono gesti inerenti a certi atti che l’uomo civile compie di solitamente completamente in privato. Parole scurrili, frasi a contenuto scatologico, trascuratezza in quel che riguarda la proprietà personal o la decenza, sono tulle espressioni di questo fenomeno: il quale anche esso è favorito dalle circostanze d’ambiente, che certo non consentono di mantenere quei livelli di ritiratezza e di contegno che sono tipici della vita civilizzata.
La tendenza più o meno contrastata e parziale alla regressione verso livelli infantili di manifestazione istintiva si fa sentire, come abbiamo avuto occasione di accennare, anche per quanto riguarda il secondo grande gruppo di istinti, quelli aggressivi e distruttivi. Piccoli diverbi ed alterchi assai di frequente scoppiano qua e là in simili circostanze; e credo che anche all’osservatore più superficiale non sarà sfuggito un fatto: che cioè nella massima parte dei casi i protagonisti del dissenso si comportano molto più come dei bambini che come uomini adulti – e ciò sia per le parole e per i gesti che adoperano, sia soprattutto per il contenuto e per l’importanza reali del litigio. Abbiamo dunque, da un lato, una maggior disposizione e facilità ad esprimere attraverso queste vie di sfogo l’aggressività che non si riesce a manifestare altrimenti, o a sublimizzare sufficientemente; e d’altro lato una certa regressione a tipi infantili di aggressività, ben diversa dal modo adulto – contenuto anche se energico – di agire e di comportarsi.
In alcuni individui l’esacerbamento dei conflitti psichici, di solito totalmente o quasi totalmente inconsci, porta all’angoscia nevrotica o ad altri sintomi di nevrosi. Un caso capitato in campo, e di cui ho avuto ad occuparmi, è particolarmente interessante. Questo individuo aveva avuto, nella sua infanzia, un padre eccessivamente autoritario e severo.
Naturalmente, non aveva potuto manifestare in alcun modo quella rivalità che tutti i maschietti, a una certa età, sentono nei riguardi del proprio padre (componente aggressiva del complesso edipico positivo), e l’immagine di questi, deformata dalla sua fantasia, era diventata nel suo inconscio il prototipo e il modello dell’autorità severa, implacabile e persecutrice. I suoi sentimenti e risentimenti aggressivi, s’intende, erano rimasti, in tutta la loro intensità, e condannati aspramente dalle istanze rimuoventi, nell’inconscio; e l’individuo aveva condotto una vita senza rilievo, sempre oppresso da un senso esageratissimo del dovere, da iperscrupolosità che assumevano spesso carattere religioso, ecc. Quando fu condotto nel, campo d’internamento, la sua reazione fu quale era da aspettarsi. Per il suo inconscio, essere internato voleva dire aver commesso qualche trasgressione, e dover pagarne il fio. Contro questa nuova manifestazione. dell’ «autorità severa» insorsero nuovamente i sentimenti d’ira e di aggressività infantili, i quali si espressero qui con una continua, sorda irritazione contro le autorità del campo grandi e piccole -, contro i reticolati, il vitto, le restrizioni, i comandi, e via discorrendo. D’altro canto, il suo inconscio effettuava tentativi quanto mai infantili di « rabbonimento » delle «autorità », e il soggetto manifestava volta a volta svariati sintomi di sofferenze organiche – veri e propri sintomi isterici il cui significato profondo era più o meno questo: «vedete come soffro? sono malato, non posso far nulla, sono incapace non solo di far del male, ma di agire; sono come un bambino impotente; perchè mi perseguitate?». In qualche seduta, riuscii: a mettere in luce questi ed altri meccanismi nevrotici su cui qui non posso soffermarmi; il paziente migliorò un poco, e credo sarebbe guarito se avessi potuto portare a termine mio trattamento psicoanalitico lege artis. Naturalmente, mentre gli andavo con cautela spiegando che cosa avveniva nel suo inconscio, lo esortavo a cercar di adattarsi alla realtà, e ad applicare in altro modo le energie psichiche mobilitate nel mantenimento dei sintomi. Facendo ciò, tuttavia, io sapevo di correre il rischio che il paziente, nel suo inconscio, lui mettesse in un sol mazzo con i suoi supposti «persecutori». La messa in libertà del paziente avvenne appunto mentre io stavo tentando di sciogliere questa che in psicoanalisi si chiama «traslazione negativa ». Non feci pero in tempo, e il paziente partì senza neppure salutarmi. Beninteso non me ne adontai, conoscendo i motivi sotterranei del suo modo di comportarsi, abbastanza contento di quel poco che avevo potuto fare a suo vantaggio, e pensando che in sostanza la libertà, per questo individuo, non era un bene inferiore alla guarigione.
Ciò che nel caso anzidetto si è verificato in forma decisamente anormale e nevrotica, può verificarsi su scala minore in molti di noi. L’avvicinamento spaziale e la vita in comune con persone dalle quali, nella vita normale, ci dividono tutte le barriere delle cosiddette convenienze sociali, permettono facilmente ad antichi conflitti non ben superati dell’epoca infantile o dell’adolescenza di riprodursi, o, come diciamo noi psicoanalisti, di «trasferirsi » su persone e cose, rispetto alle quali noi siamo dunque inclini a condurci in modo poco o tanto infantile, impulsivo, irrazionale.
Per l’inconscio dell’uno, il colonnello, o il capo-gruppo, o un qualsiasi compagno, diventerà l’oggetto di un’aggressività, altra volta repressa, contro il fratello maggiore o il padre; in un altro, il conflitto troverà una soluzione in curiose forme di servilismo e di passività; in un terzo, in manifestazioni ambivalenti, ossia volta a volta di affetto e di antagonismo. E via discorrendo. Molte altre cose si potrebbero dire intorno ai vari problemi psicologici che la condizione dell’ «internamento» solleva. Ma ci basta averne indicati alcuni per sommi capi.
Vorremmo concludere dicendo che la psicoanalisi, così come addita ed illumina, con la sua fredda luce, situazioni spiacevoli o dannose, può indicare altresì qualche rimedio. Tutte queste forze istintive di cui abbiamo parlato sono, più o meno, suscettibili di sublimazione, ossia di convogliamento verso fini più utili e più elevati. Nell’aiutarsi e nel lavorare l’uno per l’altro, ad esempio, molta parte di istintualità viene deviata e si trasforma in attività infinitamente superiori e spiritualizzate rispetto alla loro origine. Nel lavoro manuale, molta aggressività viene sublimizzata, e nello sport si fondono e si armonizzano, su un piano sublimativo, tanto energie sessuali quanto tendenze aggressive ed è perciò che a mio avviso lo sviluppo degli sport in simili campi va giustamente incoraggiato. Insomma, vie ce ne sono, anche senza ricorrere alla psicoanalisi terapeutica la quale, in casi ben precisi e particolari, potrà essere tuttavia necessaria, come di fatto si è alcune volte verificato.