Cento anni fa è nato Freud
Il Tempo 07/05/1956
La casetta in cui vide la luce Sigmund Freud, il 6 maggio 1856, esiste ancora nella cittadina cecoslovacca che un tempo si chiamava Freiberg, e che poi fu denominata Przibor. E’ una brutta casupola, con un primo piano che è anche l’ultimo, tetto spiovente e finestre disadorne. Una lapide, apposta nel 1931, ricorda che in quella casa nacque il fondatore della psicoanalisi; e la strada che era allora la Schlossergasse conosciuta oggi come la Freudova ulice.
Ma anche se migliaia di lapidi o di insegne stradali recassero, nero su bianco, il suo nome, ciò sarebbe assai piccola cosa – e peritura – in confronto al solco indelebile lascialo da Freud nella cultura contemporanea e nel nostro spirito. Si ha oggi, come in pochissimi altri casi consimili, la netta impressione che la portata della rivoluzione scatenata da Freud sia molto superiore a ciò che egli stesso abbia mai potuto immaginare. E forse nessuno di noi, che dopo tutto siamo suoi contemporanei (la sua morte è del 1989, e sembra ieri), è in grado di esattamente valutare l’entità e le conseguenze dela svolta impressa da Freud al pensiero del ventesimo secolo.
·Per cercare di avvicinarci a tale valutazione, dobbiamo ricordare un fatto essenziale. Freud, come tutti sanno, effettuò le sue prime ricerche e scoperte nei campo delle malattie nervose e mentali; e basterebbero i suoi contributi cimici e tecnici in questo settore per classificarlo tra le glorie della medicina e della psicologia clinica – sol che si pensi che prima di lui non si riusciva a ravvisare alcun significato nei sintomi delle psiconevrosi; che oggi, grazie al suo insegnamento, questi sintomi si delucidano e si capiscono; e che la loro esplicazione fa tutt’uno con l’integrazione psichica e con la guarigione. Ma i suoi contributi di psicopatologo geniale diventano essi stessi un aspetto minore della sua opera rinnovatrice, se si riflette che già nel 1900, con L’Interpretazione dei sogni, e subito dopo, nel 1904, con La psicopatologia della vita quotidiana, Freud mostrò che certe sue nuovissime conclusioni e tesi non riguardavano soltanto i suoi pazienti nevrotici, ma l’uomo della strada – me, te, chiunque! – Con questo non veniva certo annullata ogni distinzione tra normale e nevrotico: ma i problemi delle nevrosi assumevano essi stessi una nuova inquadratura, appunto come manifestazioni particolarmente salienti ed abnormi di una problematica più vasta, che vestiva in struttura essenziale e generale della personalità umana. Da un lato, dunque, veniva superato il vecchio atteggiamento, che portava a considerare il nevrotico o lo psicopatico con meraviglia e con totale incomprensione (spesso non disgiunte da un’ostilità più o meno larvata), quasichè si fosse trattato dell’abitante di un altro pianeta, la cui presenza nel consorzio umano era mal sopportabile e quasi scandalosa. Dall’altro, si scopriva che a tratti, in piccole dosi, o in certi aspetti normalissimi della sua vita – come p. es. il sogno-· ogni uomo sviluppava meccanismi psichici qualitativamente simili a quelli del nevrotico anche se le risultanze erano diverse, e di entità trascurabile. E’ chiaro che con ciò Freud, virtualmente, estendeva il suo dialogo, e la sua influenza, dal proprio gabinetto viennese di consultazione al mondo intero, e dai propri pazienti a tutta l’umanità.
Che cosa, dunque, aveva scoperto Freud di così radicalmente nuovo e diverso, sia nell’individuo oppresso dalla nevrosi, sia nell’uomo normale? Tutta la sua dottrina, pur così ricca e variegata, ruota sostanzialmente intorno al concetto-pernio del conflitto psichico inconscio. Ma già in queste tre parole è contenuta una tremenda forza di urto, rispetto alla psicopatologia e alla psicologia dell’Ottocento. Tali parole affermano infatti: la esistenza di una vita psichica (psichica, si badi, e non soltanto fisiologica) totalmente al di fuori della coscienza; e la caratteristica dinamica (cioè implicante moto e contrasti, e non già quiete) dei mondi sotterranei della psiche. Esse implicano inoltre che specifici conflitti ideo-affettivi inconsci costituiscono bensì le premesse della condizione nevrotica; ma che il conflitto inconscio presiede altresì a moltissimi fenomeni (non nevrotici) della psicologia normale, e che questi ne sono, al pari dei sintomi, gli esponenti ed i termini di compromesso. Se si pensa che sino a Freud, lo psichismo veniva di solito fatto coincidere con il cosciente; e che quei pochissimi che avevano formulato la tesi di un inconscio psichico l’avevano in genere descritto come una specie di ripostiglio o di sottoscala della personalità, togliendogli ogni vero valore e senza lontanamente supporne l’estensione, l’intensa attività, e la enorme importanza nei riguardi della vita psichica cosciente sia del nevrotico, sia del normale, si può ben comprendere quale novità costituissero le prime descrizioni dell’inconscio e dei suoi drammi, elaborate e presentate dal genio di Freud. E le controversie misoneistiche si fecero ancora più intense quando Freud precisò che l’affettività inconscia apparteneva a correnti istintive potenti ed innate – energie erotiche, energie distruttive; che la denominazione e il controllo di tali energie non poteva effettuarsi se non in certi modi e circostanze, pena la nevrosi o la psicosi; che l’evoluzione psichica dall’età infantile all’età adulta presupponeva l’esistenza – e il graduale superamento – di fasi evolutive primordiali, contrassegnata dalla presenza, già nel bambino, di fantasie e desideri altamente irrazionali ed arcaici; e che i conflitti inconsci sia del fanciullo, sia dell’adulto, si potevano descrivere precisamente come urti fra tali impulsi primitivi e le forze antagonistiche (spesso altrettanto dure e poco plasmabili) mobilitate dalle acquisizioni e dai rapporti interpersonali. Di fronte a tali presentazioni di una vita psichica invisibile e tumultuosa, contrassegnata in buona parte dagli errori e dagli orrori della caverna originaria, l’homo sapiens dei nostri tempi non poteva non sentirsi terribilmente scosso nel suo orgoglio di conquistatore del mondo (ma non, ahimè, di se stesso!): e ciò spiega gran parte delle reazioni emozionali che le dottrine di Freud sollevarono all’inizio e che, sebbene molto attenuate, non sono tuttavia ancora spente. A nessuno fa piacere sentirsi tremare il terreno sotto i piedi…
Ma coloro che si allarmarono di fronte alla fredda luce gettata da Freud nei loro stessi abissi, e che cercarono nuovi paraocchi e zone di rifugio, non riuscirono – come alcuni ancora oggi non riescono – a capire che la opera freudiana è opera di bonifica, e che riconoscere e scandagliare una palude è la condizione indispensabile per prosciugarla e per poter fertilizzare il terreno riscattato. Certo, era ed è molto più comodo rinunziare a veder chiaro, e permettere all’irrazionale che è in noi di continuare a celarsi sotto le sembianze della nevrosi socializzata o della pseudo-spiritualità. Giacché il compito che Freud ci propone, e che nulla ha perso della sua attualità ed urgenza, è un compito severo, e vorremmo dire eroico: quello di rivedere le stesse basi su cui poggiano le nostre convinzioni, le nostre abitudini, i nostri costumi, svelandone via via i motivi inconsci, e facendo finalmente prevalere, attraverso inevitabili rinunzie e sforzi di adattamento, un novus ordo individuale e sociale, fondato sulla verità e sulla libertà interiore. Se persino nei nevrotici troviamo malgrado le sofferenze che la nevrosi procura – una riluttanza a rinunziare alle loro pseudo-·· soluzioni, alle loro difese sintomatiche, ai loro tornaconti secondari, o addirittura al loro masochismo, possiamo noi meravigliarci nel constatare che molte persone passabilmente « adattate »· rifiutino tuttora di guardare nelle direzioni indicate da Freud, e si attengano al quieta non movere, anche se ciò significa conservatorismo ottuso e rinunzia al progresso?
Ecco dove e perchè il messaggio di Freud, a cent’anni di distanza dalla sua nascita, ha perso poco o nulla della sua forza· di percussione e del suo valore necessitante. Opere come Tre contributi alla teoria sessuale e Totem e tabu o L’lo e l’Es sono ancora oggi, malgrado il tempo trascorso,· luminose e stimolanti e vorremmo dire provocatorie, come negli anni in cui furono pubblicate. E se è vero che alcuni slogans, alcuni termini tecnici introdotti da Freud sono entrati persino nel vocabolario giornalistico; se è vero che innumerevoli persone sono state “toccate” dal suo pensiero e si sono sviluppate· in modi che non si· possono disgiungere dalla sua influenza; se è vero che letteratura, pedagogia, etnologia, estetica, criminologia moderne – per non parlare della psicologia generale e della neuropsichiatria avrebbero ben diverso aspetto se il 6 maggio 1856 fosse crollate il n. 117 della Schlossergasse a Freiberg, tuttavia oggi, a cento anni di distanza, gli uomini non sono, nel loro fondo, gran che cambiati, e suona perciò sempre vero quel che Freud espresse non molto tempo prima della sua morte, allorché scriveva che l’individuo, nel complesso, è forzato a vivere psicologicamente oltre le sue disponibilità, mentre le pretese istintive insoddisfatte gli fanno sentire le conquiste· della civiltà come un’oppressione permanente. Ma da ciò non emerge, come tanti hanno ritenuto,· che si debba dare soddisfazione – incontrollata all’istinto; scaturisce bensì la necessità che questa situazione sia illuminata, vagliala, e sottoposta a indagine critica, affinché certe inadeguate forme di vita, e certi ordinamenti effimeri, vengano smossi e dissolti e trascesi nell’avvenire, in forme e ordinamenti più sani e superiori.
L’Italia ha commemorato solennemente Freud, circa un mese fa, all’Università di Milano. In questi giorni si adunano a Londra, che lo ospitò esule e che ne custodisce le spoglie mortali,· discepoli e seguaci convenuti da ogni parte del mondo. Numerose saranno le comunicazioni scientifiche in suo onore, e di alto livello le discussioni. Ma ognuno, crediamo, di coloro che partecipano di persona o in spirito a· queste celebrazioni, avrà soprattutto presente quanto scrisse di Freud un uomo non di scienza, ma di lettere, che capì come pochi, nella sua più vera essenza, il posto del grande scienziato nella storia dello spirito moderno.
« La sua dottrina »· – scrive Thomas Mann – « è uno dei pilastri più importanti che mai siano stati eretti a fondamento dell’avvenire, asilo di un’umanità liberata e cosciente. La sua parola è l’amorevole massima di Marco Aurelio: « Fa »· svanire l’illusione! Allora anche il « guai a me! »· sarà svanito; e col « guai a me! »· anche i guai di tutti saranno dissolti· ».
Emilio Servadio