Gli incidenti stradali e l’inconscio
Rivista Giuridica della Circolazione e dei Trasporti Anno XI – Fasc. 7-8, 1957
Roma Tipografia Luigi Morara
E’ ormai dimostrato che molti incidenti automobilistici sono dovuti a conflitti psichici inconsci, che la psicoanalisi può individuare e risolvere.
L’idea che molti avvenimenti della nostra vita corrente – piccoli o grandi, innocui o dannosi siano dovuti al « caso », tramontò definitivamente nel 1904, anno in cui Freud pubblicò la sua famosa Psicopatologia della vita quotidiana. In questo libro, tradotto nelle principali lingue, Freud dimostrò che molti lapsus, dimenticanze ed incidenti, che si solevano ritenere « casuali », erano invece determinati da dinamismi psichici inconsci, che potevano essere individuati e descritti mediante speciali tecniche di esplorazione psicologica.
Da allora, il concetto base della dottrina psicoanalitica freudiana – quello cioè di situazioni dinamiche inconscie, le quali determinano od orientano l’attività psichica cosciente e il comportamento – ha permeato di sé interi settori della psicologia pura ed applicata, della medicina psicologica, e anche discipline assai lontane da quelle psicologiche e mediche, come l’etnologia o l’estetica. Tra gli ultimi sensazionali sviluppi dei principii analitici figura la medicina psicosomatica, ossia una estensione dei concetti psicodinamici e delle possibilità psicoterapiche a malattie che parevano di esclusivo dominio della medicina organicistica: esempi, l’ulcera gastrica o duodenale, le neurodermatiti, l’asma bronchiale, l’ipertensione essenziale.
Assai vicini a tali sviluppi sono quelli che riguardano l’infortunistica. Da quindici o vent’anni, ormai, si è fatta strada la nozione che ci sono bensì infortuni dovuti al « puro caso »; ma che ve ne sono altri determinati o resi più probabili dalle speciali condizioni del soggetto e dell’ambiente; e che, infine, vi sono incidenti attribuibili esclusivamente a problemi inconsci e non risolti di colui o di coloro che ne sono vittime. Qui ci occuperemo solo di questi ultimi, i quali sono molto più frequenti di quel che non si creda, e tali che una miglior conoscenza dei meccanismi in giuoco potrebbe sensibilmente ridurli, se non propriamente eliminarli.
Una serie di indagini statistiche effettuate in vari Paesi, ma specialmente negli Stati Uniti d’America, ha dimostrato oltre ogni possibile dubbio che vi sono persone, a parità di condizioni, alle quali gli incidenti – compresi quelli automobilistici – avvengono con maggior frequenza che non ad altre.
Una delle maggiori autorità in tema di medicina psicosomatica, la dottoressa Flanders Dunbar, nel corso di un’inchiesta in una fabbrica ha potuto rilevare, sul totale degli incidenti accaduti in un anno, che il 70% degli infortunati era rappresentato dagli stessi individui. Uno di questi aveva avuto, nel giro di un anno, la bellezza di 37 incidenti sul lavoro!
Abbiamo detto: a parità di condizioni – poiché è chiaro che se si confrontano mille acoolizzati con mille astemi, non fa alcuna meraviglia che certi incidenti accadano di preferenza ai primi piuttosto che ai secondi. La psicologia può essere d’aiuto appunto laddove la relativa facilità ad incorrere in incidenti – la cosiddetta accident-proneness, come la chiamano in America – non si può attribuire a fattori come l’ubriachezza, la fatica, il sonno o altra consimile. Dove questi fattori mancano e gli incidenti, ciò malgrado, avvengono con singolare frequenza, è necessario pensare all’esistenza di movimenti psichici inconsci, che sfociano in veri e propri atti aventi carattere distruttivo o autodistruttivo.
Un giovane medico da me analizzato aveva avuto, prima dell’analisi, parecchi incidenti di macchina attribuibili ad eccesso di velocità. In lui il desiderio cosciente (così diffuso!) di non lasciarsi sorpassare, e di sorpassare chiunque lo precedesse, era reso più intenso da circostanze nevrotiche. Figlio unico, e rimasto orfano di madre quando era bambino, il giovane era stato abituato dal padre, che lo adorava, a non « avere competitori », a essere «sempre il primo» dovunque le circostanze materiali lo consentissero. La tendenza a « primeggiare » si faceva sentire anche mentre guidava la sua potente macchina, e già questo lo spingeva a correre troppo, e lo metteva, obiettivamente, in situazioni di maggior rischio. Ma nell’inconscio del giovane, «essere primo» voleva anche dire, in ultima analisi, superare e soppiantare persino il padre – l’unica persona dalla quale egli, in sostanza, moralmente e materialmente dipendeva. Questa fantasia inconscia era sentita come illecita e tale da meritare un castigo. Dall’analisi risultò appunto che i ripetuti incidenti di macchina ( nei quali, si noti, il danneggiato era sempre lui!) erano dovuti, oltre che alla prima ragione (velocità eccessiva per desiderio cosciente di primeggiare), anche alla seconda (necessità inconscia di « punirsi » per le fantasie aggressive contro un padre cui per altro verso questo giovane era affezionatissimo).
Il « caso clinico » anzidetto fa, naturalmente, storia a sé. Tuttavia un suo elemento è senz’altro generalizzabile. La persona cui si può attribuire una « disposizione agli incidenti », una accident-proneness, risulta sempre, a una esplorazione psicologica, in conflitto con l’autorità, anche se ciò non appare alla sua coscienza o all’altrui superficiale osservazione. Quando diciamo «autorità» non intendiamo, beninteso, alcunché di esteriore – anche se in certi automobilisti la spinta polemica contro il vigile, contro il codice della strada, o contro il divieto scritto, sia tale da danneggiare o da mettere in pericolo loro e gli altri. L’« autorità » con la quale questi individui sono in conflitto è soprattutto l’autorità psichica, interna, largamente inconscia, risultante dall’interiorizzazione progressiva, sin dall’infanzia, delle « persone importanti » dell’ambiente – a cominciare dai genitori. Questi soggetti possono avere parecchie ragioni – alcune obiettivamente valide, altre del tutto fantastiche – per non aver superato un loro primitivo conflitto con le autorità dell’infanzia. Da bambini, possono essersi sentiti trascurati, o non sufficientemente amati, o troppo severamente trattati. Rimane in loro, inconsapevolmente, un rancore che nulla può neutralizzare (se non, beninteso, un trattamento ad hoc), e che può spingerli a manifestazioni «aggressive» quando dispongono di un mezzo, quale l’automobile, atto a potenziare le possibilità individuali di affermazione e di competizione. Ma a tali manifestazioni affermative e aggressive si contrappone sovente il senso dell’« illecito » – come nel caso del giovane menzionato: oppure una spinta inconscia a «vittimizzarsi», sia per mostrare a tutti quanto sia crudele il « destino » (erede e simbolo delle autorità « cattive » dell’infanzia), sia per aver, a compenso di qualche costola rotta o di altri danni, l’affettuosa premura di parenti e di amici… Tutto ciò, ripetiamo, si svolge in una regione inconscia della psiche, e solo molteplici indagini psicoanalitiche hanno permesso di individuare questi ed altri motivi di tanti « incidenti » dovuti apparentemente al « caso ».
Il fattore autopunitivo già indicato può particolarmente giuocare in certi infortuni automobilistici, nei quali i protagonisti sono impegnati in avventure sentimentali ed erotiche. La valutazione superficiale e consueta di tali infortuni è ben nota: il guidatore – si suol dire – era distratto in conversazioni o schermaglie amorose, e a trascurato qualche indispensabile regola o manovra tecnica!… Ma in certi casi questa spiegazione non è sufficiente: e varrebbe la pena, qualora si potesse praticamente farlo, tentar d’investigare statisticamente se certi incidenti non avvengano per caso più spesso quando chi guida non si sente « in regola » nella situazione, per motivi che possono essere attuali e coscienti, ma che possono far parte di una particolare sindrome nevrotica inconscia. Molti anni or sono un mio conoscente, professore di liceo, che si trovava in macchina sulla Via Appia, di sera, con una sua allieva, ebbe un incidente assai grave, e difficile a spiegarsi. La ragazza dormiva, il mio conoscente guidava assai adagio… e in tali circostanze trovò il modo di mandare la macchina completamente fuori strada! Ferite abbastanza serie per entrambi, « scandaletto » a scuola e in famiglia, ecc. ecc. – Come non pensare che mentre tutto andava apparentemente liscio, l’inconscio del guidatore gli aveva giuocato un tremendo tiro, « punendolo » per l’avventura sentita come illecita, e « smascherandolo » di fronte alle « autorità », familiari e scolastiche, che egli aveva ritenuto di poter eludere?…
(Anche in questo caso, d’altronde, un’analisi approfondita avrebbe rivelato – ne sono convinto – la presenza nel soggetto di conflitti non risolti, relativi ai suoi rapporti passati con le figure familiari più importanti).
Insomma: le « molle » inconscie che possono spingere un certo numero di automobilisti ad incorrere in incidenti non dovuti al caso, o a circostanze eccezionali, sono, fondamentalmente: 1) le tendenze aggressive; 2) le esigenze antopunitive. Contrariamente a quanto alcuni possono ritenere, i due gruppi di tendenze non sono però nettamente separabili. Anzi, nella generalità dei casi troviamo che gli impulsi aggressivi del soggetto vengono sentiti, nell’inconscio, come indebitamente diretti contro l’« autorità » interna: come esponenti, cioè, di una illecita « insubordinazione » e perciò meritevoli di punizione!
Abbiamo lasciato volutamente da parte i casi di gravi disturbi della personalità, e quelli di seri difetti nelle coordinazioni percettive e psicomotorie. E’ chiaro che l’individuo ai margini della psicosi, o colui che di fronte alla più lieve difficoltà perde ogni controllo e ogni possibilità di reazione, costituisce un gravissimo pericolo per sé e per gli altri. A suo riguardo il problema di una «igiene mentale del volante», o di una esplicitazione di qualche conflitto inconscio, non si pone neppure. Deve essergli inibita qualsiasi attività automobilistica, e basta!
Nelle fabbriche, o nelle comunità in cui si riesce a individuare un certo numero di persone che sembrano « andare incontro » agli incidenti per loro motivi psicologici inconsci, si procede cercando di dare qualche spiegazione orientativa, e di far sì che i rapporti interpersonali dei soggetti (specialmente con i capi-reparti, i dirigenti, e in genere coloro che rappresentano l’autorità) siano tali da neutralizzare la loro particolare sensibilità, e da appagare fin dove possibile il loro bisogno di sentirsi riconosciuti e benvoluti.
Più difficile appare il compito per quanto riguarda gli infortuni automobilistici. Tuttavia qualche cosa mi sembra si possa suggerire, sia come profilassi, sia in sede di rimedio e di blanda psicoterapia.
La profilassi dovrebbe principalmente consistere nel fare appello non tanto alla paura (come generalmente si fa allorché si menzionano i morti e i feriti, le percentuali annue d’incidenti gravi, ecc.) quanto alla benevolenza, all’altruismo e al senso di responsabilità. Se si affida un altro bambino alle cure e alla protezione di un bimbo turbolento, questi di solito si calma e diventa un « ometto ». Cerchiamo di ricordare agli automobilisti non tanto i morti e i rottami e le sanzioni e i moti di ostilità che essi possono provocare, quanto il fatto che sono loro, in sostanza, i padroni della strada, e che non si può affidare ad altri che a loro l’incolumità e la tutela di chi della strada si serve. In altre parole: cercar di neutralizzare il « conflitto con l’autorità » sottolineando il fatto che chi guida, di fatto, è arbitro e giudice del proprio destino.
Inoltre, è chiaro che una maggior conoscenza delle possibili «intrusioni» dell’inconscio nella nostra vita cosciente – vale a dire, di alcuni elementi fondamentali di psicologia dinamica – potrebbe giovare non poco a qualsiasi automobilista sufficientemente preparato e colto.
Quanto alla terapia, essa può andare da semplici colloqui orientativi sino a un trattamento psicoanalitico lege artis, a seconda di ciò che le circostanze suggeriscono. Ma in linea di massima, é da ritenere che le forme più blande e abbreviate di psicodiagnosi e di trattamento possano generalmente bastare. Talvolta, il « trattamento » può consistere in una piccola misura indiretta di correzione e di freno (un guidatore mio conoscente non ha avuto più incidenti da quando ha messo sul cruscotto il ritratto della sua bambina). Molto dipende, in questo come in tanti altri casi, dalla coscienza e dalla competenza di chi è chiamato a chiarire, a suggerire, e possibilmente a risolvere.
Emilio Servadio