Droghe scientifiche che rivelano il mondo oscuro e surreale della psiche
La Stampa, 13 febbraio 1959
Luce e Ombra 1959
E’ una nuova metodologia psichiatrica che fa uso di prodotti chimici per stimolare e produrre allucinanti apparizioni della vita interiore – Aperte le «porte della percezione», scienziati americani affermano il valore sperimentale di questi sondaggi nella misteriosa personalità umana.
Il più importante lavoro che Freud lasciò inedito, e che uscì dopo la sua morte, è quel Sommario di psicoanalisi che chi scrive ebbe l’onore di presentare ai lettori italiani nel 1951. Tra i molti passi che rivelano sino a qual grado di lucidità fosse arrivato il pensiero freudiano, vale la pena di ricordare il seguente: «L’avvenire ci insegnerà forse ad influenzare direttamente, con speciali sostanze chimiche, le quantità di energia, e la loro distribuzione nell’apparato psichico».
Queste parole sono state scritte prima del 1939, e appaiono oggi tanto più singolari, in quanto l’ « avvenire » preconizzato da Freud si sta rapidamente attuando sotto i nostri occhi. Subito dopo la guerra, la biochimica e la farmacologia si sono aperte larghissimi varchi nelle mura della psicologia e della psichiatria, facendo mutare e avanzare certe posizioni in modi tanto notevoli quanto, spesso, imprevisti. Per quel che riguarda la psicoterapia, basterà menzionare l’ormai lunga serie dei farmaci psicotropici e dei tranquillanti, e la loro indiscutibile utilità a fini immediati e pratici (anche se controversa e improbabile sia una loro capacità di sostituire gli interventi psicoterapici profondi e «di soluzione»).
Nel campo della psicologia e della psichiatria teoretiche, le esperienze e le prime messi di risultati sono, forse, ancor più affascinanti e promettenti. Vogliamo alludere alle nuove prospettive aperte all’indagine psicologica dall’uso controllato e dallo studio attento di talune sostanze che sono state chiamate o «psicomimetiche»: sostanze, cioè, che provocano stati psichici analoghi a quelli delle psicosi. Ma qui occorre subito chiarire e rettificare. Se la « psicomimesi » fosse la sola caratteristica di tali droghe, esse avrebbero un interesse vasto ma ben circoscritto: un interesse, vogliamo dire, limitato al campo dell’indagine psichiatrica. Ma la mescalina, l’LSD 25, l’adrenocromo, la bufotenina, il TMA e varie altre sostanze, producono stati e permettono esperienze che non sono necessariamente quelle del delirio schizofrenico o dell’introllata allucinosi. Talune condizioni psichiche, indotte da particolari accadimenti, sono speciali o eccezionali senza che si debba perciò qualificarle come patologiche: per esempio, certi stati e momenti d’ispirazione artistica, di volo ad alta quota, di trasporto religioso, di entusiasmo ideologico, di esaltazione erotica…
In queste, e in varie altre condizioni, si direbbe che i confini dell’esperienza percettiva (le « porte della percezione », come le ha chiamate Aldous Huxley) sono suscettibili di spostarsi, di modificarsi e di aprirsi, permettendo in primo luogo di constatare che il nostro modo consueto di sperimentare la realtà è come la parte più nota e visibile dello spettro rispetto all’intera gamma dell’energia radiante; e inoltre consentendo – o per lo meno facendo intravedere – una prima, elementare ricognizione cartografica di aree misteriose della personalità, rimaste a lungo terra incognita per la psicologia tradizionale.
Se si leggono i resoconti – sinora in numero limitato – delle varie persone che hanno sperimentato su se stesse una o più delle sostanze menzionate, e che sono state in grado sia di « registrare» da sè ciò che provavano, sia di descriverlo ad altre persone presenti, ci si trova dinanzi a una diversità e a una vastità di vicende interiori assolutamente sbalorditive. L’impressione è naturalmente più accentuata se chi descrive possiede, per indole e per educazione, particolari qualità letterarie o artistiche – e a tal riguardo i documenti sinora più ragguardevoli sembrano essere i due libri di Aldous Huxley (The Doors of Perception, 1954; Heaven and Hell, 1956) e i due di Henri Michaux (Misérable miracle, 1956; L’infini turbulent, 1957).
Huxley raggiunge altezze veramente cospicue di pacata poeticità, riuscendo spesso a dominare l’intensità delle impressioni mediante una vigile elaborazione concettuale, e con il magistero di un linguaggio squisitamente controllato. Michaux lascia libero sfogo al dettato interiore, e le sue allucinanti vicende (spesso ai limiti, si direbbe, dell’umana sopportabilità) sono espresse con surrealistiche libertà di vocaboli, di disposizioni sintattiche, di accorgimenti tipografici. Tutt’e quattro le opere sono «di rigore» per chi si occupa di questi problemi: ma non sappiamo da quanti, in Italia, esse siano state veramente studiate e meditate.
Il campo, oltre che nuovissimo e complicato, si presenta di esplorazione particolarmente difficile perchè ben pochi, di fatto, sono gli studiosi preparati ad affrontarlo. Certi psichiatri possono portare in simili ricerche la loro equazione professionale, e affermare p. es., contro le testimonianze di chi veramente « sa », che l’LSD 25 o altre sostanze producono «stati di delirio» – senz’altra qualifica o determinazione (mentre altri psichiatri, per esperienza anche diretta, sono di ben diverso parere!).
D’altronde è chiaro che il poeta, si chiami anche Michaux o Huxley, può offrirci prezioso materiale, ma non sostituirsi allo scienziato (biochimico, psicologo o psicoanalista che sia). Si aggiunga che parecchi studiosi qualificati esitano – e chi potrebbe condannarli? – a far uso essi stessi di sostanze indubbiamente pericolose, e i cui post-effetti sono ancora molto imperfettamente noti…
Tuttavia le ricerche proseguono in modo quanto mai vivace. Abbiamo sotto gli occhi due documenti estremamente significativi: uno regolarmente pubblicato, l’altro distribuito privatamente a una ristretta cerchia di studiosi. Il primo è un numero speciale, il 66°, degli Annals of the New York Academy of Sciences, interamente dedicato alla « Farmacologia delle droghe psicomimetiche e psicoterapeutiche ». Questo poderoso « simposio » comprende ben 34 lavori di studiosi qualificati, e include i primi, timidi tentativi di discriminare questo o quel tipo di processo psichico (e non soltanto neurofisiologico) in rapporto alla somministrazione di questa o quella sostanza.
Di particolare rilievo, in questa eccellente pubblicazione, ci è sembrato il lavoro del dott. Humphry Osmond, psichiatra, Direttore dell’Ospedale canadese di Saskatchwan, in cui si esaminano panoramicamente gli effetti clinici degli agenti psicomimetici. Uomo di larghi orizzonti mentali, il dott. Osmond non fa mistero di aver sperimentato su se stesso, a varie riprese, gli agenti che egli preferisce chiamare o psichedelici» (dal greco: letteralmente «manifestatori della psiche»). A suo avviso, lo studio e l’uso oculato di tali sostanze possono aprire nuove strade non soltanto alla psichiatria, ma alle principali scienze dell’uomo – e non è dir poco.
Ma ancor più sensazionali prospettive sembra offrire ciò che è contenuto in un fascicoletto dalla copertina verde, il quale riporta, tuttora inediti, i riassunti di ciò che è stato detto in una ristrettissima conferenza tenutasi a New York il 15 e il 16 dello scorso novembre, sul tema « Parapsicologia e psichedelica ». Alcuni studiosi ritengono, sulla base sia di tradizioni etnologiche di tipo religioso o magico, sia di certe moderne singolari esperienze, che l’uso di taluni agenti chimici faciliti o promuova, nell’uomo (o per io meno in taluni soggetti), quelle facoltà di «percezione extrasensoriale » (telepatia, chiaroveggenza) di cui si occupa ormai da vari anni, faticosamente, la giovane scienza chiamata «parapsicologia». E fondata questa opinione? E se lo è, come si può dimostrarne la validità? Quali sono le droghe, le loro dosi, le condizioni, i soggetti, che più si presterebbero a questo singolare tipo di esperimenti? Quali, in sostanza, dovrebbero essere i piani d’investigazione per questa specialissima, nuova «avventura» della personalità umana alla ricerca della sua stessa profondità?
Del problema si sta occupando una nota e potente Fondazione scientifica americana, la Parapsychology Foundation presieduta da Eileen J. Garrett. La Conferenza del 15 e del 16 novembre è stata appunto promossa da tale Fondazione, ed è risultata una prima, interessantissima delibazione del tema, permettendo utili scambi d’idee tra studiosi di varie discipline (vi era anche il citato dott. Osmond). Ma già si profila una Conferenza alquanto più specifica, nella prossima estate, con l’intervento di biochimici, psichiatri, psicoanalisti e parapsicologi di chiara fama. L’«avvenire» delle esplorazioni psicologiche, psicofarmacologiche, «psichedeliche», sembra, veramente, evolvere per vie e verso mete che neppure il genio anticipatore di Freud avrebbe potuto indicare.
Emilio Servadio
(da La Stampa, 13 febbraio 1959)