Il sogno prima di Freud
L’Illustrazione scientifica, anno VII, n. 73, dicembre 1955, pp. 24-26
Il sogno è stato oggetto in tempo recentissimi di accurate indagini psicologiche. Qui sono indicate le opinioni che di esso si ebbero nei tempi passati
Il problema del sogno ha sempre attirato l’attenzione tanto del filosofo o dello scienziato, quanto dell’uomo della strada. Entrambi – qualunque sia il rispettivo grado di cultura – sono infatti obbligati a riconoscere che durante il riposo notturno si svolge, in una specie di “cinema interno” della mente, una serie, spesso assai strana di immagini e di vicende. Né il filosofo, né l’analfabeta hanno alcun modo di dirigere questo “film” interiore: cosicché esso rimane, il più delle volte, come un corpo estraneo rispetto alla sequenza dei pensieri e degli atti della veglia e, in quanto tale, viene eliminato (ossia, dimenticato) il più rapidamente possibile.
Non si può, tuttavia, impedire che il fenomeno si ripeta. Ed ecco, quindi, l’attenzione degli uomini volta al tentativo di capirlo, di classificarlo, di spiegarlo.
La Bibbia. I Greci
Un indirizzo esplicativo seguito sin dai tempi più remoti, e che sussiste ancora a livelli non scientifici di cultura, è stato quello per cui al sogno vengono attribuite origini e caratteristiche essenzialmente soprannaturali. I sogni narrati nella Bibbia hanno appunto questa connotazione: sono profetici, ossia rivelano, se bene interpretati, cose che gli uomini non sono in grado di sapere normalmente. Nei poemi omerici, i sogni sono inviati spesso dagli dei, o vi intervengono spiriti di defunti. In certi templi greci, i fedeli andavano a dormire nella speranza di avere sogni importanti e rivelatori: cioè sogni, anche in questo caso, di origine ultraterrena. Correnti importanti del pensiero indiano antico hanno visto nel sogno un mezzo di conoscenza di realtà metafisiche. Peraltro, già in Omero troviamo distinti i sogni in due categorie: quelli a cui si può, e quelli a cui non si deve prestar fede. E un autore indiano di circa duemila anni fa distingue cinque tipi di sogni falsi ed un solo tipo di sogni veri! Sin dall’antichità, quindi, troviamo espressa anche l’opinione che i sogni possono avere una spiegazione naturalistica – oggi diremmo psicologica – e non trascendentale.
La prima di queste due linee di pensiero domina nel più noto e popolare tra gli antichi studiosi del mondo dei sogni: Artemidoro di Daldi (2° secolo d.C.). Artemidoro distingueva, è vero, i sogni in due categorie, includendo nella prima i sogni originati nel passato o nel presente, e che non riguardavano l’avvenire; mentre la seconda categoria comprendeva i sogni profetici. Tuttavia, la sua opera si occupa soprattutto dei secondi, giacché l’autore mostra, sin dall’inizio, di disdegnare i primi, negando loro addirittura la qualifica di veri sogni. I cinque libri dell’Oneirocritica di Artemidoro costituiscono più che altro un particolareggiato dizionario esplicativo del significato oracolare, profetico, allegorico di innumerevoli tipi di sogno – sempre nel presupposto che i veri sogni contengono avvertimenti o anticipazioni. Ecco alcuni esempi, che riportiamo nella versione cinquecentesca di Pietro Lauro: «Sognare di aver chiome lunghe e fluenti è buon segno, specie per la donna, per l’uomo di studi, l’artista e il sacerdote. Indica elevazione d’animo…».
«Aver lana in luogo di capelli è indizio di malattia, rossi, reumatismo…»
«La lenticchia reca pianto, l’orzo fatica… Seme di lino, sesamo e senape portan bene ai cerusici, ma agli altri significano fatiche gravi e fallimenti…»
«Sognare albergatore significa morte al malato, ché costui alla morte è simile, in quanto tutti accoglie e nessuno respinge. Agli altri è auspicio di angustie, pericoli e lunghi viaggi…»
Non mancano tuttavia, in Artemidoro, accenni e intuizioni di quanto ha potuto poi appurare l’indagine psicologica moderna: così l’idea che una o più immagini del sogno possano rappresentare il proprio contrario, o quella che certi oggetti abbiano un preciso valore simbolico (es. «nella luna si raffigurano la moglie o la madre di colui che sogna»; «il mortaio indica la moglie, il piccone il marito»). L’Oneirocritica ha avuto, comunque, influenza su altre opere antiche di ugual e argomento.
Mentre Socrate sembra ritenere che i sogni rappresentino la voce della coscienza e che siano, pertanto, da ascoltare e da seguire (così, almeno, risulta da quanto cita Platone nel Fedone), l’opinione di Platone stesso è assai diversa. Nella Repubblica, infatti, dopo aver parlato degli “illeciti appetiti” dell’uomo, egli scrive che tali appetiti «son desti quando il ragionamento e il controllo dell’uomo dormono… e non c’è follia o crimine concepibili… che l’uomo non possa allora commettere». Più oltre, Platone precisa che «in tutti noi, anche negli uomini buoni, c’è una natura senza leggi, di bestia selvaggia, che si manifesta durante il sonno…». Tale impostazione anticipa di oltre duemila anni alcuni accertamenti della psicoanalisi freudiana.
Aristotile è, naturalmente, di tutt’altro avviso. I sogni sono o ingrandimenti e deformazioni di stimoli che occorrono durante il sonno, o accenni a pensieri ed azioni (già in sviluppo) del sognatore. Quanto ai cosiddetti sogni profetici, essi secondo Aristotile, sono per lo più da classificarsi tra le coincidenze. Il razionalismo, come si vede, domina sovrano in ogni settore del pensiero aristotelico! Analogamente Ippocrate – dopo aver peraltro dichiarato, da uomo prudente, di non aver competenza per giudicare dei sogni soprannaturali – considera i sogni ordinari come “visite” che l’anima, durante il sonno, effettua nelle varie parti della sua dimora, ossia del corpo. Essa può, così, scoprire fenomeni e disturbi propri ad ogni organo, e avvertibili attraverso le immagini del sogno. In tal modo si possono altresì, dai sogni, ricavare diagnosi mediche. Ippocrate fornisce vari esempi di simili deduzioni: e anche in questo caso è d’uopo riconoscere il fondamento di certe sue vedute.
I Romani
In Roma, Cicerone, pur ammettendo la sporadica possibilità di sogni che oggi chiameremmo telepatici (come quello celeberrimo da lui citato, in cui un tale appare in sogno al suo amico e lo informa di essere stato assassinato dall’albergatore di Megara) manifesta grande scetticismo e dichiara a un certo punto seccamente: «…Non si deve ai sogni alcun credito o rispetto… Respingiamo questa divinazione per mezzo dei sogni, come qualsiasi altra: poiché a dire il vero, questa superstizione si è estesa a tutti i popoli, ha oppresso gli spiriti di quasi tutti gli uomini, e fatto loro commettere un’infinità di sciocchezze».
Lucrezio manifesta invece, nei duecento e più versi del De rerum natura dedicati ai sogni, una straordinaria perspicacia psicologica e scientifica: « La natura produce queste illusioni perché le membra e i sensi, immersi in profondo sonno, non possono opporre la verità all’errore… I docili simulacri spiano le nostre inclinazioni per accorrere al loro primo segnale…» Secondo Lucrezio, i sogni degli uomini variano conformemente alle loro singole occupazioni e preoccupazioni. Sognano i bambini e gli adolescenti, stimolati da bisogni fisiologici. Sognano, a suo avviso, anche certi animali. «Io stesso, in sogno, non depongo la mia lira: continuo a esplorare la natura e a rivelarne i misteri…»
Il pensiero ebraico e medioevale
L’idea che il sogno potesse e dovesse essere interpretato è sostenuta anche da antichi autori ebraici, come Rabbi Chisda («Un sogno non interpretato è come una lettera non letta»). Nel Talmud si dà molta importanza allo stato d’animo del sognatore, alla fase del sonno in cui il sogno si è verificato, al simbolismo nei sogni e ai sogni ricorrenti – in modo assai analogo a quanto si fa oggigiorno. Che dal sogno si potessero trarre utili insegnamenti per ampliare le nostre conoscenze di veglia è brillantemente sostenuto da un autore del quarto secolo, Sinesio da Cirene, secondo cui la virtù oracolare sta in noi, non già fuori. «Il sonno si offre a tutti: è un oracolo sempre pronto a fungere da consigliere infallibile e silenzioso; in questi misteri di nuovo tipo è al tempo stesso sacerdote ed iniziato…»
Secondo S. Tommaso, i sogni si dividono in due categorie a seconda che la loro causa sia interna o esterna a noi. La causa interna può riguardare l’anima del dormiente, cioè i suoi affetti e preoccupazioni, e il sogno non ha in tal caso alcun valore profetico; o può riguardare il suo corpo, e il sogno può allora in qualche caso dare indicazioni sullo stato del medesimo. La causa esterna può essere corporea (come un qualunque stimolo fisico che vien tradotto in immagini di sogno), o spirituale: nel qual caso il sogno può esser causato da Dio per mezzo degli angeli o, talvolta, dal demonio. Solo i sogni mandati da Dio sono suscettibili, secondo l’Aquinate, di interpretazione divinatoria; negli altri casi, questa è assurda o condannabile.
I filosofi moderni
Siamo arrivati, così, alle soglie dei tempi moderni. In essi le discordanze fra gli autori che si occupano del sogno sono solo in parte analoghe a quelle degli scrittori antichi e medioevali. Eccettuati certi scrittori religiosi, i filosofi del Settecento e dell’Ottocento respingono l’idea che i sogni possano avere un’origine soprannaturale, e oscillano fra la tesi secondo cui essi sono provocati esclusivamente da stimoli somatici (come sostiene Hobbes) e quella per cui nel sogno possono aversi processi di pensiero altrettanto validi, elevati e creativi quanto nella veglia. Voltaire ammette entrambe le possibilità (dopo avere, beninteso, respinto e condannato l’idea che il sogno possa in qualsiasi modo essere considerato profetico). Per Kant, la base dei sogni è in generale «uno stomaco in disordine»; ma anch’egli pensa che «le idee nel sonno possano essere più chiare e più vaste che nel più chiaro stato di veglia: il che ci si può attendere da una essenza attiva come l’anima, allorché i sensi esterni stano in così completo riposo…». Anche Goethe vede nel sogno possibilità creative. Ed Emerson giungerà ad attribuire ai sogni «poetica integrità e verità», riconoscendo ai processi mentali durante il sonno il carattere di una razionalità superiore.
Prima di accennare a coloro che nel secolo XIX si occuparono del sogno da un punto di vista strettamente psicologico e sperimentale, gioverà ancora ricordare l’originale teoria di Bergson che in un certo modo concilia le due tesi estreme già menzionate. Anche per Bergson, come per altri, gli stimoli somatici interni ed esterni danno origine al sogno: ma il sogno stesso si configura secondo gli specifici “incontri” di tali stimoli con talune tra le moltissime immagini mnemoniche interiori che, nel sonno, vorrebbero farsi strada verso la coscienza. Come da svegli – scrive Bergson – le memorie che riescono ad affiorare sono quelle che hanno rapporto con la situazione presente, così nel sonno le sole che vi riescono sono quelle che possono in qualche modo assimilarsi alle nostre sensazioni del momento, esterne o interne…
Precursori dell’Ottocento
Nel secolo scorso, l’atteggiamento della maggioranza degli scienziati nei riguardi del sogno è svalutativo e negativo. I sogni vengono in genere considerati come dovuti a eccitazioni fortuite – endogene ed esogene – del cervello, e altrettanto privi di senso e d’interesse quanto potrebbe essere una successione di suoni ricavati da uno strumento percosso o maneggiato a casaccio. Futile, quindi, l’occuparsene. Carl Binz, nel 1876, affermava che il sogno «è un processo corporeo in ogni caso inutile e qualche volta patologico». Qualsiasi avvicinamento psicologico è in tal modo escluso.
Non mancarono, tuttavia, alcuni studiosi di tutt’altro avviso; e vale la pena di citarne almeno cinque: due francesi (Hervey de Saint-Denis, Maury), due tedeschi (Hildebrandt, Scherner) e un norvegese (Mourly Vold).
Hervey de Saint-Denis fu probabilmente il primo a tentar di provocare un sogno mediante stimolazioni particolari. Fattosi svegliare innumerevoli volte, constatò sempre che stava sognando, e concluse che durante il sonno si sogna in continuazione.
Maury verificò più volte la straordinaria capacità di elaborazione che ha il sogno rispetto agli stimoli risentiti dal dormiente. È universalmente noto il sogno in cui a Maury sembrò di essere processato durante il Terrore, lungamente interrogato, condannato a morte. Trasportato alla ghigliottina in mezzo a un’immensa folla, sale sul palco, viene afferrato dal carnefice. La lama fatale cade… e il sognatore si sveglia: un regolo del baldacchino del letto gli era caduto sul collo. Il sonno può dunque, secondo Maury, durare pochissimo, anche se appare soggettivamente molto lungo. Esso – sempre secondo Maury – è per così dire messo in moto dalle immagini che appaiono spontaneamente a chi riposa nel periodo che precede immediatamente il sonno – cioè dalle cosiddette “allucinazioni ipnagogiche”.
Anche Hildebrandt cita alcuni suoi sogni nei quali, apparentemente, era avvenuta una complicata elaborazione scenografica in cui si inseriva a sua volta uno stimolo improvviso (suono di una sveglia). Mourly Vold studiò invece particolarmente, attraverso ingegnose esperienze, i rapporti fra certe posizioni delle membra durante il sonno, e certi tipi di sogni. Fu il primo a scoprire un legame fra i ben noti sogni di “volare” e un’eccitazione sessuale.
Un posto a parte, per le sue intuizioni geniali, anche se non sufficientemente corroborate in sede teorica, merita Scherner, la cui opera (1861) è anteriore a quelle degli autori or ora citati. Per Scherner, ciò che soprattutto domina nel sogno è la sfrenata immaginazione, che elabora stimoli e sensazioni sia attuali, sia del giorno precedente. Il sogno predilige l’esagerato, lo smisurato, il mostruoso. Respinge le astrazioni, e tutto gli appare concreto. Inoltre, spesso, non rappresenta cose, ma loro simboli. E Scherner, con singolare acume, indica la “casa” come simbolo del corpo umano, un “corso d’acqua” come simbolo del processo o del bisogno di orinare… Talune di queste sorprendenti “equazioni simboliche” sono state poi riprese nell’opera di Freud.
Emilio Servadio
(Testo tratto dal volume “Il Sogno”, Ed. Garzanti)