La « Donna dai tre volti » ha riscoperto se stessa
Un appassionante studio di Evelyn Lancaster sulla propria «reintegrazione» ripropone, con nuovi interessanti elementi l’enigma psicologico delle personalità multiple
Il Tempo 26/04/1959
Non molti di coloro che hanno visto il film Le tre facce di Eva conoscono il libro omonimo da cui esso è stato tratto, e del quale in Italia non troppo si è parlato. Il caso di «personalità multipla» descritto dai dottori americani Corbett H, Thigpen e Hervey M. Cleckley in The Three Faces of Eve, pubblicato dalla McGraw-Hill Book Company di New York, era sembrato un po’ troppo «scientifico» a molti lettori anche colti, e un po’ troppo «romanzato» a parecchi psicoanalisti e neuropsichiatri. Noi stessi ricavammo dalla opera un’impressione mista, fatta d’interesse, di alternative critiche e di perplessità. Se il caso era autentico – ma di questo non c’era in sostanza da dubitare – si trattava di un vero «terno al lotto» per alcuni studiosi americani, perché i casi di «personalità multipla» investigati scientificamente, si contano, dallo Ottocento in poi, sulle dita. Giova ricordare che la paziente, la venticinquenne signora Eva White, si era presentata al dottor Thigpen lamentandosi di mali di testa e di conflitti col marito. Nella seduta successiva, aveva assunto improvvisamente una altra personalità quella di Eva Black. Tanto la prima era riservata, timida e depressa quanto l’altra era allegra, sfacciata e senza scrupoli. Eva Black « conosceva » Eva White, ma non viceversa, cosicché la «buona» era costantemente vittima delle sregolatezze e dei tiri birboni della « cattiva ». Durante il trattamento psicoterapico, era apparsa una terza personalità, quella di Jane. diversa dalle due prime: una donna savia, piuttosto fredda ed equilibrata, che «conosceva» tanto Eva White che Eva Black. Infine dopo un’intensa esperienza emozionale in cui la paziente aveva sembrato rivivere eventi traumatici della sua infanzia, entrambe le Eve erano scomparse e – c’informano i due Autori – Jane aveva assunto il suo aspetto finale, di donna « ottimamente integrata ». Dopo aver constatato che a due anni dalla fine dei trattamento la situazione non era mutata, i terapeutici avevano considerato « chiuso » l’eccezionale episodio: ne avevano riferito in una tornata dell’Associazione Psichiatrica Americana, e pubblicata la storia: prima nel Journal of Abnormal and Social Psychology, e quindi in forma di libro.
Era stato, dunque, un caso di eccezionale interesse: ma a parte la forma della presentazione (che come abbiamo detto oscillava di continuo tra i due poli della storia romanzata e del rapporto scientifico), non ci avevano convinto né la posizione dottrinale dei due Autori né le, loro tesi principali.
I due psichiatri americani, citavano Freud a sproposito, ironizzavano su certe pretese, interpretazioni che del caso avrebbero potuto dare, a sentir loro, Freudiani, Adleriani o Junghiani: ma non erano riusciti, in sostanza, a propone una plausibile, particolareggiata e razionale psicogenesi (nessuno aveva mai capito, ad esempio, in quale rapporto il trauma infantile del «bacio alla nonna morta» stesse con il sorgere della personalità di Eva Black). La riluttanza ad adottare criteri psicoanalitici aveva reso difficile agli Autori di chiarire in che cosa, e perché, il caso differisse da quello di una personalità isterica.
Analisi tecnica
In sede propriamente tecnica, infine, c’era sia da dispiacersi che la « donna dai tre volti » non fosse stata propriamente analizzata, sia da rimanere esitanti circa la « guarigione » ottenuta, e la vera, solidità psicologica di « Jane ».
D’altronde gli esperti Charles E. Osgood e Zella Luria, adoperando il test cosiddetto « semantico differenziale » in una investigazione a distanza, avevano previsto « un altro collasso in una ulteriore fase della vita di questa persona », lasciando chiaramente intendere di aver trovato una certe rigidezza e artificiosità nell’ultimo volto di Eva.
In una sua breve, magistrale messa a punto, il dottor William H, Gillespie (attuale Presidente dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale) aveva infine contraddetto alcune tesi di Thigpen e Cleckley, e si era mostrato insoddisfatto delle loro conclusioni.
Che le anzidette riserve critiche, nostre ed altrui, fossero fondate, appare ora dimostrato da un altro libro, apparso di recente, e la cui pubblicazione dovrebbe rappresentare l’ultimo atto del complicato ed affascinante dramma. Si tratta dell’opera Strangers in my Body: The Final Face of Eve, scritta dalla protagonista con l’aiuto di James Poling, e pubblicata, questa volta, da una casa editrice inglese, la Secker and Warburg di Londra. L’Autrice principale si cela sotto lo pseudonimo di Evelyn Lancaster (già menzionato nel volume; di Thigpen e Cleckley) e racconta – finalmente a modo suo – la storia della sua cura, e quello che ne seguì. In sostanza, e retrospettivamente, Evelyn Lancaster conferma molte osservazioni effettuate dai due medici, ma fa chiaramente capire di aver cercato, durante tutto il trattamento, di far sue le loro idee, e di modificarsi grado a grado secondo i loro suggerimenti ed i loro ideali.
Casi classici
L’intervento, di conseguenza, mantenne una sua certa artificiosità teorica, che non impedì la « riduzione » e la scomparsa di Eva White e di Eva Black, si mostrò inadeguato e fallace nei riguardi di Jane, la « terza Eva ». Questa, di fatto, fu più o meno «costruita» su un modello che i terapeuti proponevano alla paziente: modello che essa accettò, cercando di adeguarvisi permanentemente, ma che presto o tardi doveva rivelare i suoi piedi d’argilla. Dopo circa due anni e mezzo dalla scomparsa delle prime « Eve », « Jane » ha un momento di collasso psichico e di sconforto, e si dispone al suicidio. (Il tentativo inconscio era verosimilmente quello di « uccidere » la creatura artificiale, prodotta dalla collaborazione con Thigpen e Cleckley). Ingerisce, perciò, una forte dose di sonnifero. Ma subito dopo è colta da una crisi, prorompe in grida strazianti, fa accorrere il marito. Salvata da un rapido intervento, la donna, quando riprende finalmente coscienza, non e più né Eva White né Eva Black né Jane: è una creatura che si rivela, nel libro, umanamente calda e serena, lontana non soltanto dalle contorsioni psichiche del periodo del trattamento, ma anche dalla freddezza calcolatrice, dall’insensibilità, dall’egocentrismo di « Jane ». I coniugi hanno mantenuto il segreto per molto tempo, timorosi che la nuova trasformazione provocasse ulteriori interventi e clamori. Ma ormai, evidentemente, Evelyn Lancaster si sente sufficientemente consolidata per poter mostrare al mondo il sue quarto volto, quello che nello stesso titolo del libro è definito il suo « volto finale ».
Giova sperare che così sia: e in verità, il resoconto della propria reintegrazione spontanea, raggiunta dalla protagonista quasi per un supremo intervento delle sue più riposte energie, proprio sulle soglie della morte, appare assai convincente – certo più convincente di quel che i due psichiatri americani ci avevano detto a proposito di « Jane ». Tuttavia, dinnanzi a una vicenda come questa, che anche in confronto ai casi ormai classici di «Felida», di «Sally Beauchamp» o di «Doris» appare più unica che rara, lo psicologo avvertito non può non porsi grossi interrogativi. Vi é, anzitutto, il problema diagnostica e strutturale della « personalità multipla ». Dal punto di vista psicoanalitico, sappiamo che le funzioni della coscienza e dell’Io sono parti della personalità totale, e che le altre parti sono « tenute a bada » da ben noti meccanismi di copertura e di difesa. Ma quali sono le caratteristiche intrinseche per cui, in certi rari individui, il difettoso funzionamento di tali meccanismi, e il mancato assestamento della personalità, si risolvono in una suddivisione della personalità stessa in due o più «compartimenti», anziché in un semplice sviluppo di sintomi nevrotici, o nello sgretolamento – totale della schizofrenia? A questo interrogativo, non si può rispondere se non postulando «gravi difetti dell’Io», il che ci riporta sul piano del costituzionalismo e del « perché sì » di Petroliniana memoria. Occorreranno più casi (ma dove? ma quando?), rigorosamente studiati e analizzati, per avere, forse, un principio di risposta.
Ma soprattutto, il caso di questa donna una e quadruplice, è, pensiamo, un invito all’umiltà psicologica. Oggigiorno, psicologi e psicoanalisti dispongono dl strumenti preziosi per modificare le strutture anche profonde di una personalità. Cerchiamo, in questo nostro lavoro, di non commettere certi errori, di non fare i demiurghi, di non creare personaggi modellati secondo ciò che « ci piacerebbe che fosse ». Le Eve che escono dai nostri gabinetti non debbono somigliare a un’artificiosa Jane di laboratorio. La psiche rinnovata – Eva che si sveglia alla vita – non è « creata » da noi: e perciò deve apparire semplice e autentica nella luce, come l’Eva del mito.
Emilio Servadio