La Luna fonte perenne di fantasia
Il Tempo 22/09/1959
Accanto alla soddisfazione d’ordine razionale e scientifico che anche l’uomo della strada e la persona non specializzata hanno provato all’annunzio del primo collegamento terra-luna, c’è un sentimento particolare, un’intensa commozione che molti hanno cercato invano di manifestare in parole. Tutti, comunque, abbiamo avuto la sensazione non soltanto di una formidabile « novità » di ordine tecnico, matematico e balistico, bensì anche di una nuovissima esperienza psicologica ed emozionale.
Amore e odio
Se si prescinde dal freddo e distaccato, anche se pervicace, interesse degli astronomi, e se si pensa agli infiniti sentimenti e fantasie che lo uomo, dai più lontani secoli fino a ieri, ha rivolto alla luna, non si può non constatare che poeti e sacerdoti, favolisti e romanzieri, semplici passanti e spiriti contemplativi, hanno in un modo o nell’altro cercato di smentire la nozione razionale della luna come oggetto inanimato, silenzioso, e in sostanza disumano. Gli occhi e il cervello accertavano che il nostro satellite era un mondo morto e indifferente: il cuore e la fantasia lo volevano vivo, carico di significati e d’intenzioni, testimone attivo e sensibile delle umane vicende. Per molti uomini si é trattato di una presenza dolce e benefica, di un grande volto materno o sororale, premuroso delle sorti di innumerevoli figli o fratelli: è stata la luna degli antichi culti druidici o etruschi, l’argentea compagna dei naviganti fenici e, più tardi, l’indulgente protettrice degli innamorati nelle notti serene. Altri hanno voluto vederla come un’entità nefasta e sinistra: è la luna di certi tenebrosi riti occulti, l’Ecate dell’antichità classica, la torva ispiratrice di sortilegi e stregonerie, l’esangue lampadofora di scene cimiteriali nella più sfrenata letteratura romantica.
C’è chi l’ha amata e chi l’ha odiata. Le sono stati rivolti i nomi più teneri e le invettive più atroci… Ma comunque, quasi mai l’uomo ha veramente accettato, nel suo profondo, l’idea che la luna fosse completamente estranea alle vicende di quaggiù. All’ansioso interrogativo leopardiano – «Che fai tu. luna, in ciel?.., » – sono state date infinite risposte : mentre la fredda ragione avrebbe dovuto semplicemente indicare che la domanda stessa non aveva senso.
La verità è che sin dalle origini, e anche da quando la natura ed il cielo hanno assunto per l’uomo valore non soltanto di spettacoli, ma di campi da investigare, la mente umana ha mantenuto nei loro riguardi – accanto agli atteggiamenti inerenti alla valutazione estetica e alla ricerca scientifica – anche una posizione emozionale, irrazionale e mistica. Questa posizione, che le acquisizioni culturali non sono riuscite a demolire completamente neppure nell’uomo più colto, è quella che può far guardare un corpo celeste come misticamente legato a specifici eventi umani e ciò, senza pregiudizio del punto di vista astronomico (osservazioni, calcoli) o di quello estetico (« lo bel pianeta », la «silenziosa luna», e via discorrendo).
Solo comprendendo tale posizione noi, uomini del secolo ventesimo, possiamo ammettere che si siano volute vedere, in certe zone del cielo, cose come orse, cigni, strumenti musicali, mostri mitologici, eroi leggendari o divinità: poiché, obiettivamente e concettualmente parlando, scorgere simili oggetti o personaggi nella volta celeste è altrettanto privo di senso quanto vedere pipistrelli, giganti, giocatori di calcio o conchiglie nelle macchie di inchiostro del test di Rorschach – le quali macchie, appunto, per definizione, non significano umanamente nulla, così come non significa nulla la disposizione delle stelle nella costellazione dell’Orsa, o quella delle zone di ombra e di luce nel « volto » della luna.
Congiunzione ideale
Da questo punto di vista, tutto il cielo è come un gigantesco test proiettivo, come uno straordinario disegno di Rorschach nel quale l’umanità ha « visto » ciò che il cuore e la fantasia (oltre che la ragione) le hanno suggerito di vedere. E che cosa poteva scorgervi, questa umanità, se non il mondo delle immagini appartenenti sia alla sua esperienza cosciente, sia al suo inconscio? Ecco perché nel cielo l’umanità ha proiettato, in sostanza, una replica trasfigurata e frastagliata della grande famiglia umana, con i personaggi, veri o immaginari, che la costituiscono o l’arricchiscono. Perciò troviamo il padre nel sole, la madre nella luna, i figli nei pianeti… E animali, e personaggi di leggenda, e intere fiabe: tutto il mondo psichico terrestre si riorganizza e si ritrova, sub specie interioritatis, nell’ordine cosmico e stellare.
Ma si tratta – o si è trattato sino a ieri – pur sempre di sogni, e d’irrealtà. All’innamorato che dice « la luna veglia su di noi », al poeta che descrive la « falce d’oro, lanciata con negligenza nei campi delle stelle », l’astronomo oppone i rilievi dei telescopi, le analisi spettrali e le mappe selenografiche…
Tuttavia anche ai nostri giorni, nei quali certe elementari nozioni sono diventate dominio di tutti, la fantasia inconscia che la luna fosse viva e non spenta, palpitante e non inerte – fosse «nostra», insomma – ha continuato, come si è detto, ad albergare nei cuori. Perciò la congiunzione ideale fra la terra e la luna, prodigiosamente attuata giorni or sono, è stata in fondo sentita come una prima, quasi incredibile conferma di millenarie speranze, come un fremito umano che ha varcato gli spazi. Un oggetto semovente, plasmato dall’uomo, toccato da mani umane, si è affondato nelle pieghe del volto lunare! L’uomo sente, o quanto meno spera, che sia questo l’inizio di una nuova, meravigliosa e veridica fiaba, e che in qualche modo non meglio precisabile la luna torni ad essere la dolce compagna, o la mutevole idea, che videro, amarono o temettero i nostri padri antichi.
Emilio Servadio