Un «orribile sogno cinematografico»
l’allucinante vicenda di Terrazzano
Il Tempo 13/10/1956
Con i film, la televisione, i concorsi, la società offre innumerevoli inviti a desiderare una rapida affermazione – In questo ambiente sorge fatalmente un nuovo stile di pazzia
Mentre poco a poco si placano lo spavento e l’orrore provocati dai primi annunci dei fatti di Terrazzano, emergono dal contesto alcuni elementi che a tutta· prima non é stato possibile valutare in modo adeguato. Uno di· tali elementi, sul quale vorremo richiamare anzitutto l’attenzione, è il «senso d’irrealtà» che sembra aver colpito in special modo parecchi tra i piccoli protagonisti. Un bambino, Cipriano Vergani, ha addirittura dichiarato che mentre si svolgevano i vari episodi scatenati dai due folli, gli pareva di vivere in un film televisivo. Anche un corrispondente di giornali, Alberto Baini della Gazzetta del Popolo, ha rilevato che «con l’andare del tempo, tutto diventava più assurdo e irreale». Nei commenti dei più, le parole « incredibile », «inconcepibile», «incubo» e simili sono state le più generalmente adoperate.
Chi ritiene, come noi riteniamo, che simili impressioni o definizioni non siano casuali, ma abbiano un valore psicologico indicativo, non può non chiedersi a questo punto se, per comprendere qualche cosa di più in ciò che è avvenuto, non convenga per qualche momento prescindere dalla concreta realtà dei fatti, e considerare questi, provvisoriamente come se si fossero svolti soltanto nella fantasia dei protagonisti: anzi, in quella di uno solo di essi, Arturo Santato – visto che in tutto l’accaduto il fratello Egidio è stato nulla più che un suo passivo e docile coadiutore.
Se adottiamo per qualche momento questo punto di vista che è poi quello di chi studia e cerca di analizzare un sogno ci accorgiamo subito che il Santato ha inconsciamente utilizzato, nella strutturazione delle sue fantasie, tutta una serie di « resti diurni », come avviene di regola, appunto, nell’elaborazione dei sogni. Sono specialmente da notarsi, a questo riguardo, i richiami ai rapimenti di bambini in America, l’accenno a particolari droghe contro la fatica ed il sonno; ma, soprattutto, l’emergere di alcuni tipici motivi che nel mondo attuale costituiscono altrettanti stimoli· agli impulsi megalomanici dell’individuo qualsiasi.
«Vogliamo duecento milioni». Come non scorgere, in questa precisa cifra, quella del premio massimo di celebri lotterie, moltiplicata per due – ché tanti erano i protagonisti?
«Vogliamo delle cellule fotoelettriche a raggi infrarossi…» Questo è un «resto diurno» di romanzi o di film in cui sempre più abbondano i termini e i riferimenti alle scoperte e invenzioni fisico-chimiche, in un clima, il più delle volte, di «fantascienza».
Ma ciò che dà la sua più tipica fisionomia al « sogno vissuto » del folle è il suo stile cinematografico e televisivo. Attraverso le sue stesse dichiarazioni appare evidente che egli si é immaginato protagonista di un film che, «tutto il mondo» avrebbe dovuto conoscere: uno, di quei film che rendono famoso un individuo, liberandolo di colpo dall’oscurità e dandogli, a tempo stesso, celebrità e ricchezza. Il personaggio può essere, a seconda dei casi, la pizzaiola o il dottor Jekyll, la donna più bella dei mondo o Frankenstein: ma ciò è indifferente. L’intenzione cinematografico-televisiva della orripilante fantasia di Arturo Santato risulta chiara da frasi come: «Voglio delle telecamere», o dalle sue insistenti richieste di servizi radio, di giornalisti, di macchine da presa.
Nel semplice nevrotico, ed anche in individui che si possono considerare normali, non sono infrequenti i sogni in cui vengono utilizzati simili elementi, e in cui il soggetto si vede, «come in un film», dominatore di moltitudini, possessore di ingenti ricchezze, oppure, se prevalgono le tendenze autopunitive, condannato e miserabile. Abbiamo noi stessi potuto notare con quanta frequenza i motivi cinematografici (e, più recentemente, anche quelli televisivi) appaiono nei sogni delle persone in analisi. Ciò non è dovuto soltanto al fatto che nella vita attuale, cinema e televisione sono diffusi e stimolanti, ma si spiega anche e soprattutto tenendo presente che la stessa tecnica cinematografica si avvicina, per molti rispetti, a quella del sogno e, in generale, ai modi regressivi e arcaici di espressione dell’inconscio (linguaggio per immagini, condensazioni, distorsioni, spostamenti, simboli). Nulla, d’altronde, meglio del cinema può rappresentare una esperienza di sogno o di delirio: basti pensare a· «Io ti salverò·», a «La fossa dei serpenti» o, è un livello meno angoscioso ma ancora più irrealistico, a «Fantasia» di Disney.
L’allucinante episodio di Terrazzano è stato dunque un truce, orribile sogno, di stile cinematografico, che ha varcato le frontiere del soggettivo perché ciò, appunto, è proprio della pazzia e della criminalità: tradurre in atto gli impulsi e le fantasie che nella nevrosi o nella normalità si palesano, tutt’al più, in sintomi o in sogni. In questo particolare caso, il protagonista ha reagito su una scala di enormi proporzioni – scala cinematorafica, scala televisiva – a ciò che egli stesso ha descritto come senso lancinante di inferiorità e di oppressione provato sin dall’infanzia: vivendo ed esternalizzando per qualche ora un suo mostruoso film interiore di terrore e di potenza, e riuscendo in certo qual modo a coinvolgere in tale «esperienza di sogno» anche altre persone. Ma non è ciò appunto, quello che carte caratteristiche e possibilità del mondo in cui viviamo sembrano costantemente offrire? Dall’oltremodo stimolante «Lascia o raddoppia» ai film tipo «Incubo sulla metropoli», la società presenta innumerevoli inviti ad immaginare e sognare la – rapida affermazione, la conquista di una dittatoriale preminenza, l’ottenimento di un’improvvisa ricchezza. Da queste mutate circostanze ambientali sorge, fatalmente, un mutato stile, anche nella pazzia criminale. Un’igiene mentale socialmente intesa non potrà, alla lunga, disinteressarsi di tali fattori, e in particolar modo non tener conto degli scompensi che certi prolungati «condizionamenti» possono provocare in una delle più importanti e delicate funzioni dell’Io: quella dell’esame della realtà, e dell’autocontrollo rispetto ad essa.
Emilio Servadio