Pietre 1926
Waldo Frank è uno degli scrittori più rappresentativi della·nuova generazione Nord-Americana. Generazione che, nei suoi elementi intellettuali, ha numerose e profonde prese di contatto con le
correnti culturali dell’Europa, di cui sa facilmente appropriarsi i·migliori risultati, è, talora, superarli. Voci di un più vasto dramma·spirituale, alcuni giovani letterati americani esprimono, nei loro libri, la tragedia incolore, ma non perciò meno terribile, della vita·delle tasse New-Yorkesi, che un vento di fatalità pare implacabilmente sospingere.
Il Frank, dopo « Our America », semplici impressioni, e dopo·veri e propri romanzi, quali: « Rahab », ha pubblicato or non è·molto « City block », ·libro che ne consacra decisamente il valore.
In questo, dal quale traduciamo il brano che segue, l’attore esprime, con stile audacemente innovatore; alcuni episodi della vita·quotidiana degli abitanti di un « block », di un isolato di case di·una cellula della tentacolare New-York.
« Camminava da un pezzo. Gli pareva di aver sempre camminato…·di andare verso il nulla …. di andarsene. Si vedeva come qualcosa·di assai bianco, di sfuocato, eppure di angoloso: bianca gola magra·stracca di respirare, fronte bianca stanca di fendere l’aria nera,·piedi bianchi stufi di camminare. Si vedeva come una cosa bianca,·sfuggente senza tregua il nero.
Non pensava. Il passato non era che la scia dei suoi passi. Lo·sentiva slanciarsi dietro di lui, come un’arcata, verso un orizzonte·nero …. Lo sentiva come una cosa che non era più lui e non eran le·tenebre, come la macchia che faceva la sua bianchezza passeggiera·sul nero che non passa ….
Era del biancore in marcia. Il suo passato non aveva né corpo,·né pensiero, e non si distingueva dalla sua marcia. Pure, delle certezze lo scortavano. Non avevano dimensioni. Erano impalpabili·come odori. Andava in compagnia di effluvii …. le cose che sapeva·di sé stesso e del mondo… gracili e miserabili conoscenze.
Una certezza: era solo, e aveva abbandonata l’amata sua, perchè era solo. Si amavano. E poi, tra loro, come un albero che fende·la roccia, era cresciuto il suo isolamento. Quando si stringevano, quando le sue braccia abbracciavano il suo corpo, quando la sua·bocca era sulla sua bocca …. l’isolamento li divideva. L’albero si·dispiegava. Fiorì. I suoi rami furono cielo, le sue radici terra, il suo·tronco fu la vita che congiungeva il cielo alla terra. E il suo isolamento gli nascose l’amata, lo nascose a sé stesso.
Si fermò all’angolo del Block e cercò di mutarsi in cosa che·pensa.
Ci si mise sul serio. Le gambe gli dolevano: si sforzò di pensare a quello. Aveva nello stomaco un vuoto bianco. Si sforzò di pensare nel modo più semplice …. poi che aveva denaro… di ritingerlo in rosso. Contro la sua fronte le genti, neri vapori, passavano con tragica lentezza, spingendo le loro facce bianche e tuffandosi senza tregua nel nero.
Lunghi lineamenti smarriti… bianca fuliggine sulle tenebre, uomini e donne s’ingolfavano nelle lontananze feconde. Pallottole di·attività vibrante …. dei bimbi notavano, biancore rivestito di nero.
Sopra il suo cappello, l’Aereo vibrava in un nero sonoro, ove tutto·l’alto, tutto il basso s’inghiottivano. La strada ferrata, così vicina,·ma che si allungava all’infinito, era una parola. Il suo rombo intermittente e senza senso aveva per lui un senso. Si fermò, bianca festuca, tese l’orecchio alla parola del treno che mormora, martella,·svanisce, e al rintocco delle lunghe travi nere che separavano le dimore degli uomini, e si dondolavano tra due nebbie.
Accettava quello, soddisfatto, a mo’ di pensiero.
Si lasciava carezzare dagli effiuvii delle sue certezze. Capiva di·errare per la città. Da un pezzo aveva ricacciato ogni pensiero, ogni·preoccupazione relativa all’amata. Sapeva che si sarebbe fermato·presto. Biancore semovente, sapeva, perchè ne aveva la speranza e·il bisogno, che stava per trovare il riposo.
L’angolo della strada in cui stava era acuto. Sempre tenebre.·Ma ogni atomo era distinto ai suoi occhi, si drizzava a un tratto,·come della limatura di ferro sotto l’influsso di un magnete nascosto, senza cessare di esser immobile.
Un bar dalla luce gialla acciecante e dai legni gialli rischiarava·il marciapiede grigio. Scorse delle ombre solitarie d’uomini, simili·al fumo delle lampade, sui legni gialli e sulla luce gialla.
A un tratto, in primo piano, una forza pesò su di lui: un lento e·magro profilo di donna. Vide il suo gran cappello barocco, le sue·scarpe che uscivano da un mantello rigido come legno. Vide i polsi·che uscivano dalle maniche rigide: due mani, luminose, sinuose,·flesse… mani che battevano l’aria come ali. L’aria in movimento gli·saliva alla testa, in volute simili a quelle di un fragile gambo di·fiore. Vide sotto il nero del cappello un sorriso per lui. Intravide·la gola.
Lasciò la luce gialla. Il marciapiede grigio riluceva d’un chiarore di gaz, e, più lontano, era avviluppato di nebbia. Nella penombra, capì che la donna era accanto a lui.
Camminava. Fendendo le tenebre lasciava ella un solco che l’aspirava misteriosamente, lentamente. Andavano a passo uguale, e·il loro passo aveva i sussulti e i tuffi a spirale di un cerchio gibboso.
Ci fu una porta pesante e una camera …. ed egli si trovò, muto, al·suo fianco.
Ebbe la nozione del silenzio. Il becco, a gas sputacchiava la sua·luce con un ansimo miserabile. Quel lume, il suo respiro e quello·della donna erano incastrati nel silenzio. La stanza spessa e ovattata, i muri untuosi e spessi, la pesante coperta rossa del letto. la·porta tinta… erano una matrice mostruosa, che imprigionava il respiro dei due esseri e il becco a gaz.
Ella si tolse il cappello. Si levò il mantello color legno. Volse·gli occhi verso di lui… il bianco degli occhi. Poi le sue mani salirono. remeggiando sul suo corpo come pesci in fondo ad acque. Si·levò il vestito vistoso, le scarpe pesanti e le grosse calze. Si strappò·via una una camiciola macchiata, gialliccia. Sollevò la coperta rossa·e il suo corpo nero scivolò nel letto.
Egli scostò la coperta. Il corpo nero era steso sul drappo bianco.·Lo guardò. Ella si guardò. Era una cosa nera e immobile, un fiotto·perpetuo di forza rattenuta, senza un movimento che ne varcasse i·bianchi confini. E dentro quella cosa nera riluceva una bianca nube,·che la colorava di giallo e di azzurro, che faceva vivere quel nero.
Egli si disse: « E’ il momento di riflettere ».
Si tolse i vestiti. Lasciò che la camera ovattata, d’unto si chiudesse su di lui, lo palpasse dappertutto …. alla gola, alle ascelle, alle·coscie… Si stese vicino a lei. Si disse: «Ora, rifletti ».
Rimase disteso, immobile, rigido. Ella sembrò accorgersene e si·fece flessibile al suo fianco. Nel letto stretto si sfioravano appena.·Rimasero così, con lo sguardo innalzantesi come un calmo nastro·di fumo; lui contratto, lei ondulante, pronta alle carezze, nera come·un mare sotterraneo: ambedue immobili.
Ella era un’onda smisuratamente allungata, come se qualche marea misteriosa… più forte d’una tempesta …. l’avesse fatta nascere·dalla sua forza infinita.
Egli sentì d’esser bianco. Ciò nonostante e restò dappresso. Di·là da quel nero, indovinava la bianca nube di vita invisibile, e volle·unirvisi.
Una passione pura lo trasportò. Prese il corpo della donna: non·era che un corpo nero e morto. Lo prese. Lo vivificò. Fu un canto.
Davanti ai suoi occhi era un abisso nero. Vi cadde.
Era steso, con gli occhi chiusi, supino.
Ella uscì dal letto e s’ inginocchiò sul pavimento vicino a lui.
Gli baciò i piedi. Gli baciò i ginocchi. Gli prese le dita, e le premette una ad una, contro i suoi occhi. Le sue dita erano fredde.
Cozzò la sua fronte, battè la sua fronte e i suoi seni contro il letto di ferro …. »
(Traduzione di E. S.)