Alice Balint: La vita interiore del fanciullo, Casa ed. Astrolabio, Roma, 1948, L. 400.
Luce e Ombra 1948
Le linee maestre dello sviluppo del bambino per ciò che riguarda i suoi istinti, gli urti di questi con l’ambiente, l’interiorizzazione delle esperienze e degli « oggetti » esterni, ecc., sono state tracciate da Freud e da altri psicoanalisti, fra i quali primeggiano Karl Abraham, Anna Freud, Siegfried Bernfeld, e – con notevoli divergenze teorico-pratiche Melanie Klein e la sua scuola. Alice Balint (la cui recente scomparsa è stata un grave lutto per la psicoanalisi) espone in questo volumetto, con garbo e chiarezza, i temi essenziali dell’argomento secondo la «scuola di Vienna »; e per molti rispetti la sua esposizione ci ricorda quella dell’«Introduzione alla psicoanalisi per gli educatori» di Anna Freud, che noi stessi anni or sono volgemmo in italiano.
Il primo capitolo dei quattro che compongono il volumetto (tradotto direttamente dall’ungherese da Emerico Gyarto) riguarda l’educazione degli istinti, e contiene ragguagli sui « punti di vista » della prima infanzia (tanto diversi da quelli degli adulti); nonché divertenti citazioni di episodi e costumi, riguardo all’infanzia, di popoli cosiddetti « primitivi ».
I due « complessi » principali dello sviluppo istintuale infantile quello di Edipo e quello di evirazione – sono trattati, sempre secondo le linee freudiane, nei capitoli secondo e terzo. Il quarto capitolo è dedicato ai processi di « identificazione », per cui si formano il Super-Io e la coscienza morale: istanze, queste, troppo spesso anelastiche, irrazionali, psicologicamente non convenienti. Almeno in questo capitolo, e in quello dedicato al complesso edipico, l’Autrice avrebbe potuto accennare, anche senza aderirvi, ai contributi della « scuola inglese ». Invece il nome di Melanie Klein non è neppure citato nel corso del libro.
Si potrebbe osservare, a proposito de « La vita interiore del fanciullo », che molti aspetti della psiche infantile non vi sono accennati. L’Autrice avrebbe potuto facilmente evitare l’accusa di unilateralità se avesse introdotto una premessa: non essere stata, appunto, sua intenzione quella di scrivere un trattatello di psicologia infantile, ma solo di lumeggiare alcuni lati del problema: lati che prima delle indagini analitiche erano stati (e lo sono del resto largamente ancora!) completamente trascurati anche da psicologi e pedagogisti.
EMILIO SERVADIO