Esther Harding: La strada della donna. – Roma, Astrolabio, 1947. L. 1000.
Luce e Ombra 1948
Questo di Esther Harding è un libro veramente femminile; ed anche se non si sapesse che l’ha scritto una donna, non sarebbe difficile indovinano sin dalle prime pagine.
Con ciò non intendiamo muovere all’Autrice né una lode né un biasimo. Giacché alcune caratteristiche del volume possono essere considerate, a seconda del punto di vista, qualità oppure difetti. Una certa « diffusività » verbale, ad esempio, potrebb’ essere fastidiosa per taluni, mentre per altri costituirà un pregio, e una prova non soltanto della facilità stilistica di Esther Harding, ma dell’interesse veramente amorevole che essa porta ai temi trattati.
Questi temi investono, praticamente, quasi tutto ciò che riguarda la vita della donna: lavoro, amicizia, relazioni sessuali, matrimonio, maternità, vita sociale. I criteri psicologici adottati dalla Dr.ssa Harding sono in massima quelli della psicologia junghiana: e lo stesso C. G. Jung ha dettato per questo libro una lusinghiera prefazione.
E’ possibile ricavare in poche battute una « morale » da un libro di questo genere? Forse si. La donna – dice la Harding sin dall’inizio – è la controparte dell’uomo; i pericoli principali inerenti a questa situazione sono due: da un lato vi è quello di essere un semplice specchio su cui l’uomo proietta fantasie inconsce (la sua «anima», secondo Jung); dall’altro vi è quello di trascurare la realtà e di proiettare su un personaggio o su situazioni in tutto o in parte fantastici un proprio ideale irrazionale, anch’esso inconscio. In un caso come nell’altro la donna si trova avulsa dal mondo reale, la sua personalità non si integra. Gli anzidetti pericoli sono praticamente immanenti in qualsiasi campo od atteggiamento femminile. Perciò l’Autrice, dopo averli dimostrati nei primi due capitoli « La donna dell’uomo » e « L’amante-ombra »), ne tratta più indirettamente anche nel resto del libro.
La trattazione, giova avvertire, non è schematica, e alcuni casi brevemente riferiti e commentati, sia pure en passant, dalla Dr.ssa Harding, servono d’illustrazione alla sua dottrina. Ciò nonostante, anche questo libro, come molti prodotti e sottoprodotti della scuola junghiana, desta varie volte un’impressione d’indeterminatezza. Jung stesso, nella introduzione al Mistero del fiore d’oro, ha avvertito, è vero, che « i più importanti problemi della vita sono tutti fondamentalmente insolubili, e cosi devono essere in quanto esprimono la necessaria polarità inerente a ogni sistema che si regoli da sé ». Tuttavia in certi casi, come p. es. nella spinosa questione dei rapporti sessuali extramatrimoniali, si desidererebbe una più chiara presa di posizione, e un’adesione più concreta e realistica alle situazioni generali e particolari dell’epoca attuale.
Allo psicologo informato vien fatto quasi inevitabilmente di raffrontare il volume della Harding, che è uscito in originale, salvo errore, nel 1932, con l’opera assai più recente (1944) di un’altra donna, la famosa psiconalista Helene Deutsch: la quale, anch’essa, ha trattato ampiamente in due grossi volumi, della psicologia della donna (The Psychology of Women). L’opera non è stata ancora tradotta, per quanto ci consta (sicuramente non in italiano), e non è nostra intenzione farne qui un resoconto. Ad ogni modo ci sia permesso menzionarla per l’interessante contrasto che vi è tra essa e quella della Harding. Nell’esposizione di Helene Deutsch i problemi sono trattati con la massima concretezza possibile, sviscerati clinicamente, alla chiara implacabile luce freudiana. E’ un’opera che « consola » assai meno della Strada della donna, ma che accresce per contro molto di più la nostra conoscenza profonda della femminilità nella sua complessa struttura e psicogenesi.
Sarebbe vano cercare nel volume della Harding qualche esempio di vera, esauriente esplorazione psicoanalitica. Nel capitolo dedicato al « lavoro » si è sorpresi di non trovare neppure un accenno alla « protesta virile » che determina certe donne a compiere lavori considerati per solito di pertinenza dell’uomo; ed è un evidente errore lo scrivere che « George Eliot e George Sand furono costrette a nascondere la loro identità sotto pseudonimi maschili » – mentre nulla vietava a scrittrici loro contemporanee di pubblicare e di firmare col loro vero nome. A questo punto un breve cenno analitico su qualche tipo di donna mascolinizzata sarebbe stato quanto mai opportuno. Esther Harding preferisce invece parlare genericamente di « identificazione con l’animus ».
Malgrado gli accennati difetti, La strada della donna è un libro che farà certamente del bene al pubblico italiano – specialmente a coloro che non sono ancora familiarizzati con le nuove correnti psicologiche, e che trovano difficoltà non facilmente sormontabili nei testi psicoanalitici rigorosi. La « mitologia dell’anima » – per adoperare una espressione di Baynes attira in genere più della sua anatomia; ed è evidentemente più gradevole l’interpretazione della mascolinità femminile in termini di «identificazione con l’animus» che in quelli di « complesso di evirazione non superato ». Riteniamo quindi che la pubblicazione in lingua italiana di quest’opera – tradotta ottimamente da Adriana e Tomaso Carini – abbia reso un ulteriore servigio alla diffusione delle idee psicologiche nel nostro Paese: al pari, d’altronde, della bella collezione « Astrolabio » di cui fa parte.
EMILIO SERVADIO