La serietà scientifica dell’opera di Alfredo Kinsey
Il più discusso sessuologo dei nostri tempi
Il Tempo 27/08/1956
Le due poderose inchieste dello studioso americano, pur presentando parecchie lacune, non possono assolutamente essere tacciate di immortalità e di scandalismo
Il destino di Alfredo Kinsey non è stato dei più lieti. Di fronte alla sua opera si è manifestata infatti una enorme reazione d’opinioni favorevoli o contrarie, per gran parte dettate dall’emozione e non dalla ragione. Ciò ha impedito che in merito ai suoi lavori si facesse più largamente sentire l’unica voce veramente legittima: quella della scienza.
Il motivo di questo fenomeno, che lo stesso Kinsey deprecava, è perfettamente analogo a quello che determinò le reazioni nei riguardi di Freud, quando apparvero i suoi primi lavori sulla sessualità. Molti ancora ricordano che cosa avvenne allorché Freud, nel 1905, pubblicò i suoi « Tre contributi alla teoria sessuale ». Benché più circoscritta, l’accoglienza fu analoga a quella che hanno avuto in tempi più recenti le “due « inchieste Kinsey » sul comportamento sessuale dell’uomo e della donna: esaltazioni acritiche da un lato, diffusa indignazione dall’altro. E la· spiegazione delle « tempeste » di allora vale, ahimé, ancora oggi, e si può indicare molto semplicemente come segue: l’argomento della sessualità è scottante; a suo riguardo vigono tuttora, anche in larghi strati della cultura, prevenzioni, tabù e, soprattutto, ignoranza. Su di esso è facile abbandonarsi allo scherzo, all’ironia, alla razionalizzazione, al fanatismo. Estremamente difficile è, invece, considerare i fenomeni della vita sessuale con distaccata obiettività,
Colui che si accinge, o si accingerà in un prossimo futuro, a rivedere criticamente l’opera di Kinsey, deve o dovrà pertanto in primo luogo scindere la propria responsabilità sia rispetto a coloro che hanno accusato Kinsey di immoralità di imprudenza o addirittura di corruzione delle masse, sia nei riguardi di chi ha creduto di poter considerare le investigazioni dello scienziato americano come impeccabili, o come le sole metodologicamente legittime. E noi stessi, che già in passato abbiamo avuto occasione di muovere al metodo e ai risultati di Kinsey serie obiezioni, non possiamo non dichiarare subito, e apertamente, che di fronte alla pseudo-moralità di coloro che cercano di giustificare e di razionalizzare la loro virtuistica insopportazione per le inchieste di Kinsey, la nostra solidarietà con l’uomo e con lo scienziato piena é assoluta. Accusarlo, come si è fatto, di avere incautamente «popolarizzato» le delicate ricerche sessuologiche non ha senso per coloro che hanno studiato i due poderosi volumi delle sue inchieste: studiato, diciamo, e non giudicate per sentito dire, o dopo averne lette tre pagine (si è detto, in America, che i rapporti Kinsey, irti di cifre e di diagrammi statistici, erano, i best-sellers che nessuno leggeva).
Dal punto di vista scientifico le inchieste Kinsey hanno avuto due grandi meriti: uno più generale, uno specifico. Il primo consiste nella dimostrazione, data da lui e dai suoi collaboratori, che l’argomento della sessualità umana non poteva e non doveva ormai più sfuggire a uno studio severo, sistematico, capillare, a una ricerca dei fatti in quanto tali, a una fredda constatazione dei fenomeni quali sono, e non quali si vorrebbe o si spererebbe che fossero (e in questo, come si è accennato, Kinisey è stato largamente se pur meno rumorosamente preceduto, per altre vie e con diversi intenti, da Freud e dalla sessuologia psicoanalitica). Il secondo merito consiste nell’averci dato una prima sezione trasversale – sia pur limitata, condizionata e imperfetta – relativa ad alcuni aspetti dei fenomeni della vita sessuale presentati da gruppi discretamente vasti di cittadini americani.
Due grandi meriti
In queste ultime parole sta, come è ovvio, una delle prime· critiche metodologiche fra le molte che si possono muovere all’opera dello scienziato immaturamente scomparso. Definire «comportamento sessuale del maschio umano» (o « della femmina umana ») i risultati di inchieste condotte rispettivamente su 5.300 uomini e su 5.940 donne degli Stati Uniti, rappresenta, già di per sé, una indifendibile « estrapolazione » statistica, come di chi volesse estendere agli uccelli – così, in generale – le osservazioni compiute su un certo numero di passeracei nostrani. E il difetto metodologico appare ancora più grave se si pensa ai molti ragguagli etnologici già disponibili, i quali hanno rivelato, pur senza approfondirle, le enormi differenze di comportamento sessuale che gli uomini e le donne presentano nelle più diverse e distanti aree culturali!
Si prenda, ad esempio, il più recente tra i due rapporti Kinsey: quello sul comportamento sessuale della donna. Come non rilevare che i dati e le conclusioni relative alla « femmina umana » si riferiscono, in realtà, a neppure 6.000 donne, tutte americane (e neppure appartenenti a tutti gli Stati della Federazione, ma solo a dieci tra essi), in un limitato periodo storico (dal 1937 al 1952), senza alcuna considerazione preliminare di tipo, salute o conformazione somatica, e isolando le loro esperienze sessuali dal loro ciclo riproduttivo? Si aggiunga che delle 5.940 donne interrogate, il 75% erano state all’Università (mentre ciò caratterizza solo il 7,5% delle donne americane); che si trattava, per il 58%, di donne nubili (per le quali, ovviamente, il problema sessuale si pone in modo diverso rispetto alle coniugate); che circa il 60% fra esse appartenevano all’alta classe professionale o impiegatizia… Come si possono estendere le eventuali conclusioni di un’inchiesta sul comportamento sessuale di queste donne a quelle appartenenti ad altri ceti o ad altre condizioni, a quelle degli altri 38 Stati della Federazione americana, e via discorrendo?
Ma le critiche a Kinsey possono andare, e in parte sono andate, assai più oltre. La sua mentalità rigidamente naturalistica lo ha costantemente trattenuto a livello del comportamento -_ quasiché nella specie umana si potesse prescindere, analizzando questo o quel fenomeno, dai fattori ambientali e psicologici i quali possono dare, a comportamenti simili, significati completamente diversi. I fenomeni della vita sessuale umana sono, ancor più di altri, largamente dettati da serie variabilissime di condizionamenti in gran parte inconsci: cosicché una loro descrizione al semplice livello fenomenologico deve risultare a priori ancor più imperfetta di quella di chi volesse studiare e classificare, supponiamo, i « mali di capo », prescindendo dal fatto che un « mal di capo » può essere dovuto a intossicazione, a tumore cerebrale, a ipertensione, a nevrosi isterica, a nevralgia facciale o a colpo di sole; e accantonando i motivi per cui questa o quella delle anzidette cause può presentare· una maggiore o minore incidenza a seconda degli ambienti, dei climi o delle latitudini…
La deliberata – e, a nostro avviso, estremamente fallace trascuranza dei fattori psicologici, si rivela sin dalla prima impostazione delle inchieste Kinsey: nel fatto, cioè, che Kinsey e i suoi collaboratori non sembrano essersi chiesti quali potessero essere i motivi inconsci che muovevano le persone, da essi interrogate, allorchè si « confessavano », e sino a qual punto tali motivi potessero, senza loro intenzione, falsare le risposte. Qualsiasi psicologo analiticamente orientato può legittimamente supporre che in taluni interrogati, l’inchiesta sia stata sentita come un autorevole invito a dar via libera all’affermazione di vedute e di impulsi che in genere la società accantona o non approva; per altri, le domande possono aver provocato reazioni difensive, scotomi psichici, rimozioni o formazioni reattive (sempre, ripetiamo, al di sotto del livello di coscienza). I risultati non possono, pertanto, non essere stati almeno parzialmente alterati.
Errore frequente
Ed infine, nelle deduzioni sia pur caute tratte dalle sue indagini, neppure Kinsey è andato esente dall’errore, così spesso compiuto in simili ricerche, di considerare «normale » ciò che risulta dalla media o dalla percentuale statistica, prescindendo da quanto altri studi possono aver concluso in merito ai criteri per cui questo o quel fenomeno può ritenersi normale o meno. In simili casi, e dopo avere accuratamente delimitato il campo di investigazione, si può tutt’al più concludere che un dato comportamento è più o meno frequente in tali o tal altre coordinate – ma non già che esso rappresenti la norma! Altrimenti, dovremmo considerare «anormale» chi, in un’inchiesta effettuata nel Villaggio sanatoriale di Sondalo, non risultasse affetto da tubercolosi! Questa parificazione di « frequenza », o di « modalità », con « normalità », ha portato Kinsey ad errori addirittura grossolani, come quello di dichiarare « normale » un certo tipo di frigidità femminile, sol perchè un notevole numero delle donne da lui interrogate ammisero di non raggiungere, nei rapporti sessuali, una piena soddisfazione…
Non intendiamo proseguire nelle nostre critiche, sia perché ci sembrerebbe, con ciò, quasi di infierire su una figura di scienziato defunto per cui abbiamo avuto, e sempre manterremo, il più alto rispetto, è la cui morte profondamente ci addolora; e sia perchè esiste già, sui lavori di Kinsey, una letteratura ampia ed autorevole (basterebbe ricordare quanto hanno scritto in proposito studiosi come Knight, come Kubie, come Bergler). In conclusione, desideriamo additare la opera di Alfredo Kinsey come un poderoso, se pur manchevole, lavoro di sterro. Noi non dubitiamo che le sue indagini potranno e dovranno essere largamente riprese rivedute alla luce di nuovi e più accurati criteri metodologici, e avviate verso risultati più vasti e più sicuri. A chi, pur talvolta sbagliando, ha comunque aperto nuove vie incurante dei facili sarcasmi e solo proteso alla ricerca del vero, coloro che hanno creduto di poterlo serenamente e non partigianamente criticare, debbono, oggi, rendere l’onore delle armi.
Emilio Servadio